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The Camilleri's fans club

(Associazione culturale)




Un Camilleri tutto da scoprire

Lo scrittore ha pubblicato un giallo strano. Basato su documenti d'epoca. E spiega qui come decifrarlo

Davvero insolito il nuovo romanzo di Andrea Camilleri, lo scrittore campione d'incassi con un record di due milioni di copie vendute. Si intitola La scomparsa di Patò (Mondadori) e racconta come, oltre cent’anni fa, durante la rappresentazione della Passione di Cristo, tal ragioniere Antonio Patò sarebbe precipitato dentro una botola scomparendo per sempre. Inghiottito dal nulla.
Questa volta Camilleri ha proprio voluto sorprenderci. Perché il libro, che potremmo definire un giallo d'epoca, è fatto esclusivamente di documenti, allineati uno dopo l'altro. Articoli di giornale, lettere ufficiali, missive anonime, verbali di polizia, perfino scritte murali. Che raccontano, da diversi punti di vista, la scomparsa di Patò e la successiva indagine. Ogni testo è riprodotto pari pari, con tanto di grafia e caratteri tipografici originali. Ed è da guardare come si può guardare un vecchio film, in grado di farci tornare indietro nel tempo. Come mai un giallo così? "Ho proprio voluto divertirmi" dice lo scrittore. "Più passano gli anni, più scopro di avere dentro di me la vena del falsario. Perché, a parte il nome del protagonista e la leggenda che lo riguarda, ho inventato tutto. Con un obiettivo: far rivivere il passato, con la sua atmosfera". Ne è uscito un libro rompicapo, un labirinto in cui dobbiamo cercare da noi la strada. Che consiglio dà l’autore ai lettori? "Di leggere attentamente ogni singolo documento cercando di immaginare il personaggio che ci sta dietro. Cioè il prefetto che manda una nota al suo sottoposto o l’uomo politico che esorta le autorità responsabili dell'indagine a non sollevare scandali. Perché in questo libro la descrizione di ogni personaggio è affidata esclusivamente al linguaggio, al modo di esprimersi". Infatti, come sempre nei libri di Camilleri, la lingua ha il posto d'onore. E qui non è quasi mai il dialetto siciliano, ma un italiano antiquato, fatto di termini provvisti di un notevole effetto comico come "putacaso", "immantinenti", "battibaleno" e così via. "Ho usato un dizionario dei termini in disuso che è stato per me una gran fonte di divertimento" dice Camilleri. "Perché certi linguaggi, come quello burocratico, sembrano fatti apposta per essere presi in giro. Insomma anche in questo libro un po' bizzarro, ritroviamo il Camilleri di sempre. Manca solo il commissario Montalbano. "Al suo posto ci sono due suoi antenati" dice. "Il delegato dì Pubblica Sicurezza Ernesto Bellavia e il maresciallo Paolo Giummaro". Ma cos’hanno in comune i due con Montalbano? "Un sano buon senso. L’unica differenza è che Montalbano è un po' più coraggioso".

Silvia Sereni

Donna Moderna, 29/11/2000



Repubblica 29.11.2000

E Camilleri diventa un cartone animato
Il cd rom di Sellerio ispirato a "Il cane di terracotta": un gioco interattivo per indagare insieme a Montalbano

Il commissario Montalbano ha i baffoni alla messicana e un accento inequivocabilmente siciliano. Niente pelata alla Luca Zingaretti, il suo interprete televisivo, ma i modi spicci, l'appetito e la terminologia sono quelli disegnati da Camilleri. È "Il cane di terracotta" in versione cd rom, un cartone animato interattivo realizzato da Sellerio, editore di Camilleri, e da Im Media che sarà presentato il 7 dicembre nella libreria di via La Farina. Si tratta di un gioco da computer che consente al giocatorespettatore di interagire con la storia raccontata e di partecipare all'inchiesta del commissario. Un clic del mouse permette di scegliere fra le varie opzioni offerte dalla narrazione: si può decidere di dare un appuntamento immediato alla «gola profonda» di Montalbano oppure di aspettare in commissariato, ma una scelta sbagliata rispetto al testo del romanzo farà lampeggiare sullo schermo la finestrella «Malafiura», che in siciliano significa brutta figura. La parola d'ordine di Antonio Sellerio, curatore del progetto, è, infatti, fedeltà assoluta al romanzo. «È un lavoro durato sei mesi — spiega Sellerio junior — Con Pasquale Esposito abbiamo lavorato sul libro, pensando una riduzione e scrivendo una sceneggiatura per il cartone animato, utilizzando le stesse parole e le stesse situazioni scritte da Camilleri». Il cartoon, della durata di oltre 150 minuti, è costruito sui disegni di Luigi Ricca che s'è divertito a dare le fattezze dello stesso Camilleri al preside Burgio. Quaranta i personaggi «in scena», doppiati da attori siciliani: a dare la voce a Montalbano è Gigi Borruso mentre Livia, la fidanzata del commissario, è un'attrice genovese, proprio come il personaggio di Camilleri, Micaela Gregorini. Fra i doppiatori c'è anche Michele Perriera, protagonista di un cammeo. Il cd rom è completato da quindici giochi interattivi, da ventuno schede di approfondimento, da dodici ricette di gastronomia siciliana; già, perché se il racconto nomina i «mostazzoli di vino cotto» si può fare un salto avanti per scoprire ingredienti e ricetta. Col cd rom, del costo di 36 mila lire, sarà venduto anche un vocabolario vigateseitaliano forte di 750 voci, indispensabile per i non addetti al «camillerese».

MARIO DI CARO


la Repubblica - Sabato, 25 novembre 2000 - pagina 46
Cartoni animati
CAMILLERI DEBUTTA IN CD ROM CON UN GIOCO DA COMPUTER

Il commissario Montalbano ha i baffoni alla messicana e un accento inequivocabilmente siciliano. Niente pelata alla Luca Zingaretti, il suo interprete televisivo, ma i modi spicci, l'appetito e la terminologia sono quelli disegnati da Camilleri. È Il cane di terracotta in versione cd rom, un cartone animato interattivo realizzato da Sellerio, editore di Camilleri, e da Im Media che sarà presentato a Palermo il 7 dicembre. Si tratta di un gioco da computer che consente al giocatorespettatore di interagire con la storia raccontata e di partecipare all'inchiesta del commissario. Un clic del mouse permette di scegliere fra le varie opzioni offerte dalla narrazione: si può decidere di dare un appuntamento immediato alla «gola profonda» di Montalbano oppure di aspettare in commissariato, ma una scelta sbagliata rispetto al testo del romanzo farà lampeggiare sullo schermo la finestrella Malafiura, che in siciliano significa brutta figura. La parola d'ordine di Antonio Sellerio, curatore del progetto, è, infatti, fedeltà assoluta al romanzo. Col cd rom, del costo di 36 mila lire, sarà venduto anche un vocabolario vigateseitaliano. Una curiosità: fra i quaranta personaggi del Cane di terracotta ce n'è uno, il preside Burgio, che ha le fattezze proprio di Andrea Camilleri. M. D. C.

la Repubblica - Venerdì, 24 novembre 2000 - pagina 54
IN VETTA CAMILLERI CHE SUPERA COELHO

Novità in vetta alla classifica di questa settimana: Andrea Camilleri con "La scomparsa di Patò", la storia del tentativo di far luce sulla misteriosa sparizione di un ragioniere durante una rappresentazione sacra, fa il suo ingresso in classifica conquistando immediatamente la prima posizione. Ormai puntualmente ogni suo libro diventa un caso editoriale. Una nuova entrata si rintraccia anche al decimo posto: si tratta di Roberto Gervaso con "Appassionate", ritratti di quattordici donne, dominatrici o dominate, comunque protagoniste del loro tempo. In salita Bruno Vespa con "Scontro finale" e Maria Venturi con "Incantesimo", mentre Luis Sepúlveda si conferma in settima posizione con "Le rose di Atacama". Perdono alcune posizioni Paulo Coelho con "Il diavolo e la Signorina Prym", che scende in seconda posizione, e Ken Follett, al terzo posto con "Codice a zero". In discesa anche "Gli arancini di Montalbano" di Andrea Camilleri (quinto), "Solstizio d'inverno" di Rosamunde Pilcher (sesto) e Vittorio Messori con "Dicono che è risorto" (nono). Ricordiamo che la classifica è stata effettuata dall'Istituto Cirm esplorando sessanta librerie a rotazione, tra cui alcune del Gruppo librerie informatizzate Libris. La settimana di rilevazione va dal 15 al 21 novembre.

Repubblica 22.11.2000

Montalbano a fumetti si presenta il volume
il libro

Il commissario Montalbano si fa in tre, nelle versioni a fumetti de L’avvertimento di Andrea Camilleri. I disegni sono di Giuseppe Lo Bocchiaro, Claudio Stassi e Valerio Spataro, realizzati in occasione del concorso «N. N. Nuvole Nuove», volto alla valorizzazione degli autori di fumetto siciliani. Le strip sono adesso raccolte in un volume, che sarà presentato oggi alle 17 nella Sala Consiliare di palazzo delle Aquile dal giornalista Bruno Carbone, da Giusto Catania, assessore alla Cultura del Comune e da Fabio Granata, assessore regionale ai Beni Culturali. Il ventiduenne Claudio Stassi, premiato per il miglior fumetto, immagina un commissario dalla barba incolta, la faccia larga e vissuta e i modi un po’ bruschi. Ma la sciatteria di Montalbano non tragga in inganno: saprà come sempre risolvere brillantemente il caso apparentemente inestricabile. Il primo premio per la miglior sceneggiatura è andato invece a Giuseppe Lo Bocchiaro, venticinque anni, che disegna un Montalbano in bianco e nero, con un tratto essenziale, e la fisionomia dell’attore che ha prestato il suo volto per la versione televisiva del racconto di Camilleri. Il miglior disegno è quello di Valerio Spataro, che propone un commissario in versione atletica, col gilet milletasche da esploratore e una vera e propria passione per i fumetti de "Il corriere dei piccoli". Tra i personaggi del racconto, guest star sono Vittorio Gassman e Silvana Mangano, impeccabilmente ritratti. I vincitori del concorso — promosso dall’assessorato regionale dei Beni culturali, dall’assessorato comunale alla Cultura e ideato da Affiche — sono anche stati ospiti del recente Expocartoon di Roma, insieme ai secondi classificati (Michela De Domenico, Stefano Caruano, Serena Cartia, Daniele Bonfiglio), dove è stato presentato anche il volume edito da Hazard e Affiche, introdotto da un testo di Camilleri. Un altro appuntamento con i fumetti è per venerdì 24 alle 18, da Affiche (piazza San Carlo 3), dove verrà inaugurata la mostra personale dello stesso Lo Bocchiaro, laureando in architettura e creatore di Burp, personaggio protagonista di due volumi autoprodotti. La mostra rimarrà aperta fino al 30 novembre, e si visita da lunedì a alla domenica dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19,30 (lunedì solo pomeriggio, domenica solo la mattina).

PAOLA NICITA


la Repubblica - Martedì, 21 novembre 2000 - pagina 48
tano gullo

Una giornata dedicata al romanziere
SCIASCIA SCHERZI A PARTE

Leonardo Sciascia nel 1947 è disposto a pagare diecimila lire pur di pubblicare il suo primo libro. Lo scrive un suo amico libraio di Caltanissetta a Luisa Saracinelli Ciuni, titolare della più importante libreria di Palermo. Seguono una serie di telefonate, per trattare il prezzo e le copie, e poi una seconda lettera. «Sciascia non è in grado di sostenere un costo superiore, però è disposto a dimezzare la tiratura da 1000 a 500». Alla fine non se ne fa niente e lo scrittore di Racalmuto pubblica, a pagamento, i suoi primi due libri (Le favole della dittatura nel 1950 e La Sicilia e il suo cuore nel ' 52) con l' editore romano Bardi. «Leonardo sborsò di tasca sua 80 mila lire per ognuno dei due libri», ricorda il suo amico di adolescenza Stefano Vilardo. «Con l' editore lo aveva messo in contatto il poeta Mario Dell' Arco che scriveva in vernacolo romano». È uno Sciascia segreto quello che viene fuori nel convegno conclusosi ieri nel suo paese natio in occasione dell' undicesimo anniversario della morte. Gli amici, ai margini delle relazioni ufficiali, danno la stura ai ricordi. E lo scrittore ritrova così soprattutto una sua dimensione umana. Eccolo regista, mentre mette in scena nel bellissimo teatro di Racalmuto I nostri sogni, una delicata commedia sulla gioventù che passa, di Ugo Betti. «Era il 1943 ricorda Aldo Scimè, presidente della fondazione intitolata allo scrittore e Leonardo si cimentò nella regia. Fu un successone e con l' incasso comprammo maglie di lana per i nostri soldati in Russia. Poi, cominciò a insegnare e a scrivere e rinunciò al cinema e al teatro che erano al centro delle sue aspirazioni». Il teatro, dopo anni di degrado, sta per essere riportato agli antichi splendori. A marzo, finito il restauro, verrà riaperto. «Perché non inaugurarlo mettendo in scena proprio la commedia di Betti?», suggerisce il pittore Gaetano Tranchino, che di Sciascia ricorda la "dialettica del silenzio". «Parlava con impercettibili movimenti del corpo. Un battito di ciglia, un sorriso ironico, valevano più di tante parole. Mi metteva soggezione». Sciascia non guidava e per i suoi giri nelle gallerie palermitane e per le sue scorribande nell' isola in cerca di tesori d' arte nascosti si avvaleva dei mezzi degli amici. In tanti si contendevano l' onore di fargli da autista: Stefano Vilardo, il critico Natale Tedesco, l' avvocato Angelo Perna, il giudice Franco Nasca, il poeta dialettale Nino De Vita. Deve essere una tradizione tutta siciliana quella degli artisti senza patente. Anche Bufalino era appiedato. E anche Consolo lo è. È l' autore del Contesto a spingere Andrea Camilleri a scrivere. Il padre di Montalbano gli porta un fascio di documenti su una strage accaduta a Porto Empedocle suggerendogli di scrivere un libro. Ma Sciascia lo esorta a scriverlo lui. «Ma io non so scrivere come te», si schermisce Camilleri. La risposta non ammette repliche: «Per questo devi scriverlo tu». Sciascia era anche un grande cuoco («Alla Noce cucinava una pasta al tonno impareggiabile», ricorda il pittore Piero Guccione) e un allegro compagnone. Alcuni scherzi organizzati dalla sua comitiva di amici intellettuali sono rimasti famosi. Come quando spediscono fino a Catania un docente con velleità letterarie a un falso appuntamento con un vero editore. O come quando assecondano Natale Tedesco, che si crede un grande intenditore di vino. A casa di Sciascia gli fanno degustare il vino da una bottiglia senza etichetta. Lui sentenzia: è un Corvo di Salaparuta del 1930. Tutti strabiliati ad applaudire. Il poveraccio non sospetta che la combriccola si è messa d' accordo per confermare qualsiasi marchio e annata avesse detto.

Repubblica 15.11.2000

In un giorno il suo "Patò" è già best seller le vendite


Lo scenario è quello di sempre, Vigàta. Il protagonista, invece, è nuovo di zecca: il ragionier Antonio Patò, direttore della Banca di Trinacria, funzionario integerrimo, padre e marito modello. Fin qui, la regola. Ecco allora Camilleri che interviene subito con l'eccezione, costituita dalla scomparsa misteriosa di Patò durante la sacra rappresentazione della Passione, dove con successo recitava nel ruolo di Giuda. "La scomparsa di Patò", edito da Mondadori, è il nuovo romanzo di dello scrittore pigliatutto: da ieri nelle librerie, si preannuncia già come l'ennesimo best seller dello scrittore siciliano. Solamente in un giorno in vendita, infatti, il romanzo ha già fatto registrare una notevole quantità di copie vendute, con la complicità della grande curiosità che accompagna ogni uscita dei romanzi di Camilleri. Presso la libreria Flaccovio il romanzo è esposto in bella vista in bella vista, e altre copie arrivano su un carrellino stracolmo: fino alle 18 di ieri sono state vendute 20 copie. «Ne abbiamo ordinato un migliaio — spiega Giuseppe Flaccovio — È già richiestissimo. Sono pochi i romanzi che partono così forte». Da Feltrinelli, venticinque copie in un giorno, la direttrice Lia Vicari dice: «Con Camilleri aspettiamo il solito boom. Tra l'altro il 6 dicembre uscirà con Rizzoli il suo saggio su Pirandello». «Camilleri è una garanzia su cui puntare a occhi chiusi — afferma Antonio Sellerio dell'omonima libreria e casa editrice, che ieri ha venduto una quindicina di copie di "Patò"— Spero nel solito successo, anche se questo libro non è edito da noi. A fine gennaio presenteremo invece "Il re di Girgenti", che arriva dopo cinque anni di lavoro dell'autore». E sempre da un romanzo di Camilleri, "Il cane di terracotta", Sellerio trae spunto per realizzare un gioco interattivo in cd rom, che sarà presentato il 7 dicembre in libreria. Il giocatore vestirà i panni del commissario Montalbano, e potrà avvalersi di un vocabolario

La Sicilia ,18 novembre 2000
Montalbano ciak a Modica

MODICA (RAGUSA) - Ieri, la ripresa di un funerale ripetuta una decina di volte. Oggi, riposo per gli attori, sopralluoghi e preparazione delle prossime scene per i tecnici con in testa il regista, Alberto Sironi. Eccola qui, la terza serie di quel simpaticone, furbacchione, insomma "siciliano è", Commissario Montalbano, fortunata serie televisiva prodotta dalla Palomar per Raidue, uscita pari pari dagli altrettanto famosi libri di Andrea Camilleri. Questa volta Vigàta si è "trasferita" a Modica, almeno per qualche giorno. Il ciak è schioccato a Villa Denaro Papa, una delle tante patronali disseminate nella campagna circostante la città, poi sotto la collina dell'Idria - una delle quattro che sovrasta Modica Bassa - e al duomo di S. Giorgio. La cura dei particolari, soprattutto per quanto riguarda l'audio in presa diretta, hanno costretto Sironi a far ripetere diverse volte le singole scene. Una volta il trillo di un telefonino (anche qui!), o la sirena in lontananza di un'ambulanza hanno prolungato la sosta dell'intera troupe davanti alla sommità della scalinata che da Corso Garibaldi arriva lassù, in cima ad uno dei simboli del barocco siciliano, a due passi dalle case che dettero i natali ad un premio Nobel come Salvatore Quasimodo e ad un filosofo-scienziato fra i più illustri del settecento come Tommaso Campailla. Tra Ragusa (altro duomo di S. Giorgio), Modica e Scicli (il palazzo comunale che diventa commissariato per l'occasione, più alcune case nobiliari) si girano le scene di "La gita a Tindari", ultimo episodio pubblicato sul singolare investigatore Montalbano, ormai giunto sulla soglia della mezza età, ma sempre alle prese con un altro caso intricatissimo, stavolta zeppo di morti ammazzati e sparizioni senza un perché apparente. Successivamente, Sironi & C. , che si tratterranno in Sicilia fino a dicembre inoltrato, gireranno una fiction tratta da "Un mese con Montalbano", libro a episodi che due estati fa Camilleri firmò appositamente per Mondadori. Gli altri successi, infatti, sono editi da Sellerio. Ma la vera star è lui, "Montalbano sono!", ovvero Luca Zingaretti, attore romano ma siciliano per esigenze cinematografiche e a furor di popolo che, come ogni attore legato al successo del proprio personaggio, fa fatica a smettere i panni del nostro eroe sbanca - auditel. Tra una scena e l'altra, il pubblico lo acclama. Si tratta per lo più di studenti che ufficialmente hanno disertato le lezioni per protestare contro il caro autobus, ma che in realtà si sono dati appuntamento al luogo che rivedremo in tutto il suo splendore sui teleschermi. Fanno la fila per chiedere l'autografo o farsi scattare una foto insieme ad una persona dimostratasi gentile e disponibilissima, fanno silenzio al grido del regista: "Azione!". Confusi fra gli spettatori, le comparse attendono il loro turno. Se non fosse per il nipotino che gli strattona la tonaca chiamandolo "nonno", il prete l'avremmo scambiato per quello vero. Li segue attentamente Pasquale Spadola, attore teatrale ragusano, punto di riferimento per tutte le troupe che selezionano il cast locale e che scelgono il paesaggio ibleo quale scenario da set. Iniziò Luigi Zampa, nel dopoguerra, con "Anni difficili", protagonisti Massimo Girotti e una giovanissima Delia Scala. Per finire fino a "Marianna Ucria" di Roberto Faenza e "L'uomo delle stelle" di Giuseppe Tornatore, passando per "Un matrimonio all'italiana", il capolavoro di Pietro Germi che diresse nell'occasione un superlativo "Don Antonio" Marcello Mastroianni. La troupe del "Commissario Montalbano" si trasferirà martedì a Scicli per girare alcune scene all'interno del municipio e in un'antica casa che dà sulla centrale piazza Italia. Il 27 tornerà a Modica prima di spostarsi nell'agrigentino.

Antonio Casa


PAOLA NICITA

Repubblica 15.11.2000

"Sciascia mi ricarica come un elettrauto"
Andrea Camilleri parla del suo nuovo romanzo, da ieri in libreria. E annuncia un'incursione nel cinema

«E di quel povero professore Laurana — continuò il commendatore — che è scomparso come Patò nel Mortorio». E' stata questa frase, presente nell'ultima pagina di "A ciascuno il suo", a dare la stura alla fantasia di Andrea Camilleri per realizzare il suo ultimo romanzo, "La scomparsa di Patò", da ieri in libreria. Un romanzo nato direttamente dalla costola di Leonardo Sciascia, che ha fornito lo spunto su cui si basa la vicenda, narrata sotto forma di dossier e priva della tradizionale girandola di dialoghi e battute fulminanti. Ma il grande assente è il dialetto, visto che il libro è scritto in burocratese e in politichese. Insomma, stavolta Camilleri corre il rischio di cambiare registro. Tutto calcolato? «Certo che l'ho valutato questo rischio– spiega Camilleri – Ma mi è sembrato che qualche recensione non l'abbia colto. L'ho detto, l'ho dichiarato e non posso fare altro che continuare a ripeterlo. La mia, e faccio riferimento alla struttura del libro, è stata una scommessa, che posso vincere o perdere». Possiamo quindi parlare di un Camilleri sperimentatore? «Io sono sempre sperimentale nei romanzi storici. Come con "Il birraio di Preston", nel quale non ho fatto altro che alterare i tempi del racconto, o con "La concessione del telefono", dove sono presenti un autore extradiegetico, che introduce i dialoghi e le cose scritte, come pure l'alternanza di dilatazione e accelerazione del tempo narrativo. Qui ho cercato di dare un dossier, in cui il lettore interagisse con lo scrittore. Ma ho anche, con i miei libri, inventato una lingua. Eppure i critici rimangono tetragoni e sordi». La sua posizione nel nostro panorama letterario sembra ancora una questione non risolta... «Il problema è di una brutale semplicità: c'è tutto un gruppo di critici che non mi ritiene per niente uno scrittore degno di questo nome. Se, dunque non sono un vero scrittore e appartengo al genere "Liala", allora non rappresento alcuna minaccia per la sacralità della letteratura. Ma se io rappresento una minaccia, come ha scritto qualcuno, allora sono uno scrittore pericoloso. Ma almeno me lo riconoscano». Da queste pagine si evince anche che la sua idea sulla Sicilia non è cambiata. «Neanche lontanamente: io continuo a battere sullo stesso chiodo, anche se con forme espressive diverse. Ma è sempre quello il "rovello dell'arcolaio", come direbbe Pirandello». Quindi lei, siciliano della diaspora, ha un rapporto sempre sofferto con la sua isola? «Se si affievolisce questo rapporto, anche in riferimento all'ambito politico, verrebbe a mancare una delle ragioni fondamentali del mio scrivere, sicuramente. Questa passione in me è sempre forte». Nel nuovo libro il riferimento a Sciascia è palese. Lo continua a considerare un genio tutelare? «Si, malgrado le critiche, malgrado quelli che pensano: "Va bene Sciascia". Non me ne frega niente: continuo a considerarlo il mio elettrauto. Quando ho le batterie scariche, mi rivolgo a lui per ricaricarle». Ma andiamo a Montalbano: ha visto che il commissario è diventato anche un fumetto? «Sì, l'ho visto, e penso che vada benissimo. Io non ho una concezione di sacralità della letteratura. E mi ha fatto piacere anche il gioco multimediale realizzato da Antonio Sellerio: un bel cdrom. Tutto questo mi sta bene, perché poi si vanno a leggere i romanzi di Montalbano; e così ci abbiamo guadagnato tutti qualcosa». Ma i suoi affezionati lettori un giorno assisteranno pure alla «scomparsa di Montalbano»? «Una scomparsa come Patò no. Nel senso che se il commissario scomparirà, lo si saprà in termini chiari. Ma non penso che scompaia. E' solo che voglio un po' di spazio per poter scrivere anche altre cose». Ha in serbo nuovi progetti con la televisione? «L'unico progetto che rimane ancora in piedi, che non riguarda la televisione ma il cinema, è quello della trasposizione filmica de "La mossa del cavallo", da parte della produttrice Rita Rusic». E che fine ha fatto il suo laboriosissimo libro "Il re di Girgenti? «Per questo lavoro mi sono impegnato, perché certe volte è bene prendere degli impegni. E per evitare di dilungare troppo nel tempo la cosa, ho promesso a Elvira Sellerio di consegnarglielo entro il primo mese del prossimo anno, e ci sto lavorando in questi giorni». Ci saranno nuove fiabe, oltre a quella musicata da Marco Betta e che sarà proposta a febbraio a Ravenna? «Tra breve uscirà, presso la piccola casa editrice Altana di Roma, che è fatta da amici miei, un libro che raccoglie quindici favole, pubblicato come strenna e illustrato da Angelo Canevari». Mentre la biografia di Pirandello? «Uscirà pure a dicembre. Sarà quindi una sorta di fuoco d'artificio e speriamo che non sia quello definitivo»

SALVATORE FERLITA


la Repubblica - Venerdì, 17 novembre 2000 - pagina 54
COELHO E FOLLETT SEMPRE IN TESTA

Nessun cambiamento questa settimana alla vetta della top ten, forse in attesa dei sommovimenti che sicuramente si osserveranno in periodo di strenne natalizie: Paulo Coelho con Il diavolo e la Signorina Prym (primo), Ken Follett con Codice a zero (secondo) e Andrea Camilleri con la versione supereconimica de Gli arancini di Montalbano confermano le posizioni conquistate la settimana scorsa. A dare un po' di movimento alla classifica ci sono però due nuove entrate: Bruno Vespa che arriva subito al quinto posto con Scontro finale, la ricostruzione dei fatti che hanno portato al duello RutelliBerlusconi, e una storia d'amore tra due persone che si incontrano nel momento sbagliato, Incantesimo, di Maria Venturi che entra tra i libri più venduti della settimana al nono posto. In salita Rosamunde Pilcher con Solstizio d'inverno (quarto) e Dicono che è risorto, di Vittorio Messori, che si colloca in sesta posizione. Al contrario perdono quota Le rose di Atacama di Luis Sepúlveda (settimo), Harry Potter e la pietra filosofale di Joanne K. Rowling (ottavo) e L'uomo della mia vita di Manuel Vázquez Montálban (decimo). La classifica è stata effettuata dall'Istituto Cirm esplorando 60 librerie a rotazione.

Il Secolo XIX, 14/11/2000

Intervista con Andrea Camilleri
Anche l'italiano fa ridere
Camilleri lascia il siciliano, ma solo per questa volta

"La scomparsa di Patò" è un collage di documenti. Finti, frutto di pura invenzione, ma documenti: lettere, verbali, rapporti, proclami, articoli di gazzetta. Non c'è alcuna parte in presa diretta, romanzata…

Ho voluto tentare una sperimentazione, portando all'estremo quel che avevo fatto in libri come "La concessione del telefono", dove i "documenti" avevano già una forte importanza. In "Patò" se il lettore vuol costruirsi un'immagine di un personaggio lo può fare traendola da quello che ognuno scrive, dal suo linguaggio… per questo i linguaggi sono fortemente differenziati, da quello aulico del sottosegretario Pecoraro Grand'Ufficiale Artidoro al rapportino stilato dal maresciallo dei carabinieri.

Così scompare quasi completamente il siciliano "alla Camilleri".

E' stata una necessità. Dovendo fingere di riportare articoli di giornale, documenti interni e rapporti di polizia, non potevo che utilizzare l'italiano. Ma anche qui non sempre lo stesso italiano: ho sperimentato un italiano di alto e basso livello.

Qua e là riemerge un po' del siciliano alla Camilleri. Una lingua che rileggeremo?

Non c'è dubbio.

Come ha ricostruito questo italiano aulico, burocratico, pretenzioso ed esilarante?

Ho un prezioso dizionario, "Elenco delle parole in disuso", pubblicato nel 1920. Quindi parole ottocentesche, già in disuso all'inizio del Novecento. Per me è una miniera. Comunque, il linguaggio della burocrazia ha imperversato fino a noi. Quando avevo dieci anni, mio padre trovò in una comunicazione ministeriale la parola "oscittanza". Ne ignoravamo il significato. Dal professore di italiano seppi che significava "esitazione". Ho usato "oscittanza" in un libro.

L'incomprensibilità del potere fa parte del gioco.

Il linguaggio burocratico o "alto" diventa un linguaggio sacerdotale, un gioco di esclusione. Così il cittadino ne rimane terrorizzato. Una volta dimenticai di pagare una rata di un'enciclopedia. Mi arrivò un avviso che conteneva l'espressione "sorte capitale". Roba da domandarsi se ti tagliano la testa. L'espressione si riveriva agli interessi, ma l'effetto era notevole.

S'è divertito molto nel distribuire i nomi dei personaggi.

Lo confesso.

Questo Franco Lo Forte che fa Ponzio Pilato nella sacra rappresentazione del Mortorio, come viene fuori?

Beh, beh…come un caso. Un caso e una necessità.

Suvvia, Franco Lo Forte è uno dei pubblici ministeri del processo ad Andreotti…

Cose che capitano…

Bernardo Provenzano, omonimo dell'inafferrabile boss mafioso, che recita nel "Mortorio"?

Eh, eh.

E c'è anche Filippo Mancuso, ex Guardasigilli.

Ah, ma Filippo Mancuso c'è sempre, nei miei libri. E' la terza volta che appare. Ci sono affezionato. Con tutto il rispetto per la persona, Filippo Mancuso è proprio di quelli che certo linguaggio aulico non l'hanno mai abbandonato.

E c'è anche un "Andrea Camilleri insegnante".

E' un omaggio a Sciascia, che una volta disse "io sono un maestro elementare".

Sciascia stimava molto il ruolo del maestro elementare in Italia.

Anch'io.

Il gioco delle citazioni non si limita a nomi attuali, la principessa Piovasco da Rondò…

Da Italo Calvino, naturalmente.

E Sciascia ritorna in una citazione indiretta…

Certo: quando il delegato di Pubblica Sicurezza vuole risalire al giornale dal quale sono state ritagliate le lettere per comporre la lettera anonima, il procedimento che usa è esattamente lo stesso di "A ciascuno il suo".

E poi, c'è questa citazione in trasparenza del "Fu Mattia Pascal" di Pirandello, la doppia vita di Patò: "Patò spirì, spirì Patò, cu l'ammazzò?"…

Giusto, il Mattia Pascal è molto presente. Non possiamo non dirci pirandelliani.

Questo suo libro ha molte chiavi…

Ma si può leggere anche solo come divertissement.

Qualcuno trova Pirandello un po' superato.

Io no. Ho appena terminato di scrivere una biografia su Pirandello, una biografia molto parziale: concentrata sul suo rapporto col padre. Pirandello aveva un rapporto terribile, conflittuale, con il padre, poi questo rapporto improvvisamente cambia. Io mi chiedo perché.

Il rapporto con il padre, in Sicilia, è un nodo fondamentale dell'identità, più che altrove.

Sicuramente. Forse per questo sono attirato ad indagarlo.

La biografia analizza documenti, immagino, e lettere…

Terribili lettere.

Lei che ricorre così tanto all'epistolario sia nei romanzi che, ora, in un saggio, scrive molte lettere personali?

Mai. Mai scritte. Io sono della generazione del telefono. Poi è venuta la generazione dell'email superata da quella del "messaggino" sul cellulare. La morte della comunicazione scritta. Sopravviveranno solo i grandi epistolari, Petrarca, Abelardo e Eloisa…

Senta come va con il commissario Montalbano? E' diventato ingombrante?

No, no, gli voglio sempre bene. Lui è esigente, per forza. Dice: io ti ho dato il successo, quindi tu mi devi tanto. Per questo prevarica un po', soprattutto altri personaggi. E' un po' cannibale.

Che fa, lo uccide?

Neanche per sogno, io sono contro la pena di morte sempre, anche in letteratura. Non mi va di uccidere i miei personaggi, meno che mai Montalbano. Ho già dovuto sacrificare con dolore il suo amico Gegè, per far sparare a Montalbano almeno un colpo di pistola, altrimenti non avrebbe sparato mai…

Beh, allora lo fa sposare con Livia.

Non lo so. Ci penso. Sì e no. Non ho deciso e questo mi dà un meraviglioso senso di onnipotenza.

Non sempre gli scrittori sono liberi di far morire i propri personaggi.

Lo so bene. Anche Conan Doyle cercò di buttare Sherlock Holmes giù da un burrone. Ma ricevette tante proteste che fece ritornare su Holmes.

E se Montalbano morisse, come morirebbe?

Oh, sono sicuro: in modo borghesissimo.

Erika Dellacasa



La Stampa 14.11.2000

Pubblica minzione alla Banca di Trinacria
Testo tratto dall'ultimo libro di Camilleri

Martedì 14 Novembre 2000
Pubblica minzione alla Banca di Trinacria
Vigàta, li 20 marzo 1890 Al Signor Questore di Montelusa
Num. Prot. 208
Oggetto: Autorizzazione diffida

Or è ieri, all’incirca alle ore 10 del mattino, un fattorino della locale filiale della Banca di Trinacria, sita nella Piazza Grande al numero civico 16, veniva ad avvertirci con allarmate parole di un furibondo alterco che svolgevasi nell’officio del Direttore della predetta filiale, Patò ragioniere Antonio. Prontamente accorso in loco, trovavo nell’officio, oltre al ragioniere Patò, il commerciante in cereali Ciaramiddaro Gerlando il quale, in preda a incontenibile ira, non soddisfatto di avere scaraventato in terra tutte le carte che trovavansi sulla scrivania del Direttore, non pago d’avere spezzato le gambe di una sedia, non contento di avere fatto minzione al centro della camera, aveva altresì scagliato un calamaio pieno di inchiostro in faccia al ragioniere Patò e apprestavasi a passare a più pesanti vie di fatto. Immobilizzato l’energumeno che continuava a profferire minacce di morte avverso il Direttore, apprendevo da quest’ultimo, in preda a comprensibile agitazione, che la cagione della lite era da rinvenire nella negativa di una dilazione alla restituzione di un prestito di Lit. 280 concesso al Ciaramiddaro ben ventiquattro mesi avanti. Alla risposta che la banca di Trinacria non poteva permettersi ulteriore sofferenza, il Ciaramiddaro saltava in piedi e facendo voci come un pazzo: «Ora ti fazzu suffrìri iu, grannissimu curnutu!» dava principio allo scempio di cui sopra. Allontanato dall’officio il Ciaramiddaro, dopo averlo severamente ammonito, invitavo il ragioniere Patò a esporre circostanziata denunzia sull’accaduto. Ma egli fermamente rifiutavasi, tenendo in non cale le mie insistenze, coll’asserire non esser costume suo l’infierire sui debitori. E difatto il ragioniere Patò Antonio è benvoluto e stimato dai cittadini di Vigàta i quali lo considerano uomo di grande rettitudine, di adamantina condotta e di pio sentire. Non è un caso che egli, parmi da un quattro o cinque anni a questa parte, siasi sobbarcato a vestire i panni di Giuda nel «Mortorio» che qui annualmente si recita. Egli offre al Signore qual penitenza de’ peccati suoi il vero e proprio vilipendio dagli spettatori che hanno la figura del traditore di Cristo in odio e dispregio. In quanto al Ciaramiddaro Gerlando, egli è persona abitualmente violenta e prepotente e perdipiù molto vicina, a quanto odesi mormorare, al noto capomaffia Pirrello Calogero, pur sempre a piede libero perché prosciolto, per insufficienza di prove, nel processo che lo vedeva imputato di triplice omicidio. Vengo pertanto a pregare la Signoria Vostra Ill.ma di volermi autorizzare a impartire al Ciaramiddaro Gerlando ufficiale Diffida per il suo quotidiano contegno foriero di risse sovente sanguinose. Il Delegato di P.S. (Ernesto Bellavia)



La Sicilia 14.11.2000

Il dossier di Camilleri
ROMA - «Murì Patò o s'ammucciò?», ovvero «Patò è morto o si è nascosto?». E' la scritta che compare il 23 marzo 1890 sui muri di Vigata, la città siciliana immaginaria, creata da Andrea Camilleri, e nelle prime pagine del suo nuovo romanzo, «La scomparsa di Patò» in libreria da domani. E' il nuovo mistero proposto dallo scrittore italiano di maggiore successo degli ultimi anni. La scomparsa di Patò, che segue l'ultima avventura di Montalbano (500 mila copie vendute), mantiene la promessa fatta dalla scrittore sulla «novità per la struttura narrativa». Se, infatti, in opere precedenti lo scrittore siciliano aveva alternato parti narrate a parti epistolari o documentali, stavolta in Patò la scelta è ancor più estremizzata: il dossier. Tra le tante pagine non si consuma un solo colloquio, non si indugia su una sola descrizione: assetto e storia sono affidate a lettere, atti, rapporti ufficiali. «Da questa mole di documenti il lettore elaborerà i personaggi», spiega Camilleri. L'altra novità del romanzo è nella lingua: scompare il lessico tradizionale di Camilleri. Al posto delle espressioni siciliane diventate familiari al lettore dei suoi romanzi ('taliata', 'stinnicchiato', 'acchianata','cataminato'), in «Patò» domina il burocratese di inizio secolo di cui Camilleri aveva già dato un assaggio in 'La mossa del cavallo' e che qui trova la sua realizzazione grazie alla conoscenza dei linguaggi ed alle grandi capacità manipolatorie. Così, a mano a mano che sale l'importanza sociale dello scrivente, dal brigadiere al prefetto al sottosegretario, si resta sempre più avviluppati nel dedalo linguistico di 'adeso', 'ultroneo', 'accivire', sostantivi e verbi rintracciabili soltanto in dizionari dell'epoca. La storia di Patò, ambientata a Vigata nel secolo scorso, parte da uno scritto di Leonardo Sciascia contenuto in «A ciascuno il suo». «Trae spunto da lontanissime radici che possono essere vere come di leggenda popolare - spiega l'autore-, nasce in occasione di uno degli spettacoli più popolari, una sorta di rappresentazione di Cristo che avviene nelle pubbliche piazze e nei teatri. Iniziative seguitissime nell'Ottocento quando giunse in provincia di Agrigento una compagnia di guitti, recitò tanto bene che fu loro concesso l'uso di un orto con abitazione purchè ogni sera recitassero il Mortorio. Si andò avanti per un anno». Antonio Patò, nipote di un'alta personalità politica più o meno coinvolta in oscuri maneggi, impersonando Giuda nel Mortorio cade come da copione in una botola ma non ne esce più, scompare. Pur essendo il protagonista, non si vede mai, non interviene mai e solo chi l'ha visto ne conosce le fattezze. «Un maresciallo dei carabinieri e un delegato di polizia - spiega Camilleri - obbligati a compiere insieme le indagini abbandonano la rivalità e collaborano. Tra loro si crea un rapporto di amicizia e di affetto per difendersi da un pericolo non previsto: è in gioco la loro carriera. Tutto il libro è in tono di divertissement».



www.ilnuovo.it 14.11.2000

Riappare Camilleri senza Montalbano
Si chiama "La scomparsa di Patò" il nuovo romanzo dello scrittore siciliano. Che stravolge le sue regole e impianta una storia dossier, costruita interamente su una serie di documenti (inventati) di fine ottocento. MILANO - Vigata, Agrigento, 21 marzo 1890. La piazza principale del paese si incupisce delle decine di donne vestite di nero, lentamente a raccolta intorno alla scena centrale. Pesanti si sollevano i canti popolari, gli inni della Passione di Cristo... Il nuovo romanzo di Andrea Camilleri è ambientato ancora una volta in Sicilia, nella sua Vigata agrigentina.

...Il Venerdì Santo entra nel vivo con la scena del Crocifisso immolato nei canti del "Mortorio", la Sacra rappresentazione secondo il cavalier D'Orioles. L'atmosfera è gravida d'attesa per la scena della botola, quella che si apre e risucchia il Giuda traditore...

Il nuovo romanzo di Andrea Camilleri trae lo spunto da un appunto di Sciascia che, in A ciascuno il suo, accenna alla scomparsa di un tranquillo bancario, Antonio Patò, risucchiato dalla botola mentre impersonava la parte di Giuda, durante la Passione del Venerdì Santo. ...E la botola si apre, facendo sprofondare il Giuda, ma il ragionier Patò, rispettabile funzionario della Banca di Trinacria, scelto con cura per la parte del traditore, non riemerge più...

Il nuovo romanzo di Andrea Camilleri si chiama La scomparsa di Patò ed è in uscita per Mondadori (254 pagg, 28mila lire). Lo scrittore agrigentino ritorna, con una svolta, narrativa e linguistica, che tiene lontano il commissario Montalbano (del tutto assente nel romanzo). Una storia vera, un plot fantastico, un retroterra culturale e ambientale vero, un metodo narrativo completamente inventato, fatto di dossier e documenti ricostruiti minuziosamente secondo il linguaggio dell'epoca.

Unni sinni iiti Patò, dove è finito Patò? E' la domanda che riempie le tavole e i bar di Vigata, nei giorni successivi la scomparsa del ragioniere. Lo grida anche una scritta che campeggia sui muri della cittadina e che dà fiato alle mille bocche silenziose della Sicilia di Camilleri. A parlare, infatti, non sono le bocche. Non sono i dialoghi. Non sono i monologhi. In una magistrale metafora della Sicilia che parla con i silenzi, l'autore dà fiato ai documenti. Dossier, materiale di inchiesta poliziesca, cronache di giornali dell'epoca, manifesti e scritte anonime.

Tutto inventato. Tutto ricostruito attraverso i codici e gli stilemi linguistici di fine ottocento. Tutto affidato alla lingua che codificava le inchieste e la letteratura popolare. L'invenzione diventa strumento linguistico, il calco fedele per la riproduzione dei codici di quel dialetto che solo Camilleri ha dimostrato di saper non raccontare, non riprodurre: totalmente inventare. Il resto è semplicemente Camilleri. Le acrobazie linguistiche, la grottesca esaltazione della cultura popolare che fa da sostrato ad una ricerca raffinatissima di ricostruzione di una intera epoca. L'integrazione di dialetti che si intersecano come gli anelli di una catena a ripetere. Spinta dall'ossessione a raccontare, testimoniare, riprodurre.

Intanto monta il mistero, come nella migliore tradizione camilleriana. Le domande lasciano lo spazio alle supposizioni, ai sospetti, cupi, sulle responsabilità dell'accaduto. Chi ha ucciso Patò? Ma poi, è stato davvero ucciso? Il motivo della scomparsa pervade la letteratura siciliana, da Vittorini a Pirandello. La scomparsa, come paura archetipica di non esserci più. Di scomparire, magari senza essere morto, ma solo di non essere più parte integrante di quel mondo a parte che è la Sicilia.

La scomparsa di Patò è prima di tutto un esperimento, a discapito di quanti hanno additato l'autore siciliano di scarsa tendenza alla sperimentazione. Ma la scomparsa di Patò è anche un sigillo alla tradizione narrativa siciliana, che torna alla documentazione, alla scrittura di inchiesta, come Sciascia che sapeva parlare anche solo con dei freddi verbali di polizia. E la scomparsa di Patò è anche il ritorno di uno scrittore che dimostra di saper intersecare modi e strutture narrative diverse dentro lo stesso scheletro portante. Dove la storia non è che lo spunto. Per parlare.

Roberta Scorranese


Corriere della sera 14.11.2000

Così Patò scomparve nella botola
PUZZLE L’autore siciliano ha costruito un romanzo in forma di dossier senza dialoghi e voce narrante. Una sfida Se la Concessione del telefono (1997), uno dei più acclamati romanzi di Andrea Camilleri, era una storia fatta di «cose dette» e «cose scritte», costruita cioè su dialoghi, lettere e senza voce narrante, il romanzo che esce oggi, La scomparsa di Patò , è costruito solo sulle «cose scritte»: articoli di giornale, «L’araldo di Montelusa» e «La Gazzetta dell’Isola», verbali, rapporti di polizia, lettere di politici, questori, prefetti, funzionari di banca, ecclesiastici, confidenti, delatori eccetera. Dialoghi ed episodi, insomma, arrivano al lettore tramite il filtro di un dossier che frena la partecipazione emotiva e crea nel lettore una sorta di straniamento, da oratorio teatrale. Nella seconda metà degli anni ’90, Camilleri ha letteralmente dominato le classifiche delle vendite (circa un milione e mezzo di copie) grazie a un genere poco frequentato in Italia, quello dell’«intrattenimento alto» dove il divertimento viene cercato tramite una scrittura di qualità, fatta di ricerca espressiva e contenuti di spessore psicologico e sociale, senza ricorrere a effetti speciali o ruffianerie. E i suoi polizieschi, sia quelli contemporanei con protagonista il commissario Montalbano sia quelli ambientati nella Sicilia postunitaria dell’Ottocento, incontrano favori presso un pubblico di affezionati sempre più largo e la stessa critica. Ecco perché il romanzo, costruito a incastro come un «puzzle» di informazioni, è una scommessa per lo scrittore siciliano, 75 anni, così amato ed apprezzato per la capacità di evocare il «genius loci», le atmosfere, i caratteri, le passioni e le ambiguità della sua terra, senza cadere nel bozzetto (talora, anzi, elevando la sicilianità a metafora della commedia umana); forza evocativa che offre le migliori suggestioni nei romanzi ottocenteschi dove i meccanismi dell’intrigo si coniugano con la memoria storica. Anche La scomparsa di Patò è ambientato nella Vigata di fine ’800. Camilleri - uomo di vaste curiosità intellettuali - avrà provato divertimento nell’assemblare le voci in una sorta di concerto polifonico dove il burocratese dei funzionari si alterna al barocco di politici ed ecclesiastici, e il dialetto (che affiora anche nel dossier, magari di riporto) dei popolani al gergo dei mafiosi. Ma viene anche da chiedersi se il virtuosismo, per quanto colto e brillante, non comprometta la fluidità del racconto, privato della vivacità di dialoghi spesso esilaranti per umorismo e di una voce narrante capace di evocare sfumature e chiaroscuri dell’ambiente. Camilleri ha rischiato qualcosa rinunciando - forse per amor di ricerca letteraria - a mezzi espressivi di cui è maestro, ma sfodera un’altra arma: il soggetto che, più di ogni altra sua storia, affonda le radici nell’immaginario siciliano, sui quali appunto s’innesta l’evento tragicomico perno della trama. Come Leonardo Sciascia menziona in A ciascuno il suo (Camilleri lo cita nel frontespizio), durante una recita del «Mortorio», cioè della Passione di Cristo secondo il cavalier D’Orioles, il ragionier Antonio Patò, che impersonava Giuda, scomparve nella solita botola che si apriva in palcoscenico. Come decine di altre volte: solo che, quel Venerdì santo, nessuno più lo rivide. Dalle cronache delle gazzette e dai rapporti ufficiali il contesto della rappresentazione sacra (col pubblico in lacrime per Gesù e infuriato contro Giuda), emerge con la forza intrinseca agli eventi radicati nella storia popolare: tutto quanto avviene dopo, beneficia di questo abbrivio straripante d’intensità, che conferisce un’aura sulfurea, tra mistero sacro e opera del diavolo, anche a fatti prosaici come beghe tra inquirenti, storie di corna, imbrogli finanziari o prepotenze di politici collusi con la mafia. Antonio Patò è un cittadino modello, dirige la filiale della Banca di Trinacria. Chi può averlo rapito o ucciso? Oppure è fuggito? O ha perso la memoria? Ma come avrebbe fatto a sgattaiolare di sotto il palco senza che nessuno lo notasse? Un predicatore tuona dal pulpito che il diavolo se lo portò via per punire il teatro, opera sacrilega; l’astronomo e l’archeologo della regina d’Inghilterra sostengono rispettivamente che sia stato inghiottito da un «interstizio» spazio-temporale o dalla «scala del matematico Penrose». Parallelo alle ipotesi preternaturali, corre l’intrigo terrestre dove il gioco dei potenti s’intreccia con le voglie della carne in una miscela shakespeariana al fondo della quale Camilleri tiene celata la soluzione. E al lettore non resta che gustarsi i diversivi ora comici, ora paradossali, ora tragici, pazientando di verbale in verbale fino alla verità. Il libro : «La scomparsa di Patò», Mondadori Editore, pagine 260, lire 28.000

Cesare Medail


Il Messaggero 14.11.2000

FRA RACCONTO E DOSSIER
In quelle pagine le mille voci di una Sicilia grottesca e reticente UNA botola che, come da copione, si apre durante la rappresentazione popolare della Passione di Cristo. Ma, invece di far metaforicamente sprofondare nelle fiamme dell'Inferno, per la gioia del pubblico ingenuo e partecipe, il traditore Giuda, quella botola fa letteralmente scomparire il suo più che volenteroso interprete, l'attore e ragioniere Antonio Patò. Un incidente, un omicidio, una fuga? Siamo a Vigata, il microcosmo siciliano che Andrea Camilleri ancora una volta setaccia in lungo e largo, ma questa volta spostandosi nel tempo, a fine Ottocento (La scomparsa di Antonio Patò, Mondadori, 254 pagine, 28.000 lire, da oggi in libreria). Dunque: l'imbuto scenico inghiotte nel nulla l'ottimo cassiere della locale banca, che poi tanto irreprensibile non è perché — protetto da un parente sottosegretario — ha fatto strani viaggi a Palermo, ha richiesto denari prestati che erano stati già restituiti, forse ha avuto rapporti con un mafioso. E diventa l'ossatura drammaturgica che si snoda in un continuo "dossier". Riprodotti nella forma (anche grafica) "originaria", parlano nel romanzo soltanto i documenti, incastrati come in una collana dalla preziosità barocca, vero Arcimboldo dalle tante pezze foniche: cronache di giornali d'epoca, rapporti di polizia e carabinieri, boatos racchiusi nelle scritte murarie, notarelle di eruditi, pompose missive dove l'italiano si storpia nella più aulica delle dissimulazioni. Celata dietro la comica e goffa inerzia burocratica degli inquirenti, dietro la furba volontà censoria degli apparati che vogliono mettere a tacere il marcio della vicenda, dietro il palcoscenico degli ammicchi paesani risucchiati nella chiacchiera infinita del commento, ecco la lingua — pasticciata e "oggettiva" — di Camilleri: una sorta di scintillante, infallibile orecchio registrato sull'ascolto dei molti livelli scritti e parlati, dialettali e gergali. Tutta schierata dalla parte della più grottesca e paziente verisimiglianza, mimetizzata fino in fondo nei verbali di polizia (anticipiamo quello che ufficializza la scomparsa di Patò denunziata dalla moglie), nel tratto giornalistico delle cronache d'epoca, nel passo sontuoso e vacuo della gergatura che nega "verità" all'investigazione. Aprendo la botola, Camilleri scartavetra un autentico rosario di usanze popolari, costumi e cattivi costumi che arrivano fino oggi, reticenze, omertà, silenzi rappresentati nel teatrino comunitario che è specchio di un teatro ben più vasto e tentacolare. Nella scansione del "dossier", si esercita un occhio amabilmente grottesco: senza violare le regole del "giallo" con sorpresa finale, esso ne smonta e rimonta i pezzi in un meccano di confortevole commedia sociale, rodata nella individuazione di figure e di situazioni ambientali, secondo uno schema di sostanziale agio per la lettura.

RENATO MINORE


Il Messaggero 14.11.2000

E l'Italia cadde nella botola
STAMANE, passata di poco l'alba, venivo svegliato da un insistente bussare alla porta di casa. Apertola, trovavomi innanzi la signora Mangiafico Elisabetta maritata col ragioniere Antonio Patò, Direttore della locale filiale della Banca di Trinacria, persona che, come ebbi a scrivere appena due giorni orsono, gode della stima di ogni probo cittadino di Vigàta e che ieri dopopranzo ha interpretato la parte di Giuda nella rappresentazione del "Mortorio". Tra copiose lagrime, la signora mi comunicava che il di lei marito non aveva fatto ritorno a casa nel corso della nottata, cosa mai prima avvenuta, e che quindi temeva che gli fosse capitato un qualche incidente. Riuscivo, con accorte parole, a calmarla alquanto e mi facevo ragguagliare di maggiori particolari. Ella mi informava di non avere rivisto più il coniuge dal preciso momento in cui questi, vestito de' panni di Giuda, era sprofondato nel sottopalco, come lo spettacolo richiede. Dopodiché la signora, senza aspettare che la rappresentazione fosse terminata, si era alzata ed erasi affrettata a casa propria per accudire ai due suoi bambini momentaneamente affidati, per la durata del "Mortorio", ad un'anziana vicina di casa. Stupivasi, però non preoccupavasi oltremodo che il marito non fosse tornato per l'ora di cena, ma suppose che egli avesse deciso di partecipare alla tavolata che di solito vien fatta dopo lo spettacolo tra i principali partecipanti. Rimase però alquanto stupita per il fatto che il marito non l'avesse avvertita o fatta avvertire dell'intenzione di cenar fuora, datosi che l'abitazione del ragioniere Patò trovasi a poche decine di metri dalla Piazza Grande, dove tra l'altro è magari allocata la filiale della Banca di Trinacria. Ella invano attese a lungo il rientro del marito, cadendo col passar del tempo sempre più nell'angoscia, ma niente risolvendo perché non poteva muoversi da casa dato che non aveva nessuno cui affidare i bambini e non voleva svegliare nel cuore della notte l'anziana vicina di casa. Finalmente, udendo da familiari rumori che la vicina erasi alzata, tornava ad affidarle i piccoli e correva a svegliarmi. Rivestitomi, mi recavo con la signora nella Piazza Grande dove, davanti al palco, vedevo già riuniti il mastrodascia Vapano Cosimo e alcuni suoi uomini che apprestavansi a dare inizio allo smantellamento del palcoscenico da loro stessi costruito. Intimavo al mastrodascia d'interrompere l'imminente smontamento e seguito dalla signora mi infilavo nel sottopalco. La prima luce del giorno permettevaci di scorger ogni particolare del luogo. La botola attraverso la quale sparisce Giuda trovasi allocata a destra verso la fine del palco, sotto un finto albero di legno molto ramoso. In perpendicolo alla botola trovasi nel sottopalco una scala di singolare foggia. Invitato il mastrodascia a spiegarmene l'uso, egli mi disse che tale scala, in tutto simile a un grosso cubo quadrato, cavo all'interno, con i gradini disposti su tre lati e la piattaforma alta ricoperta da una imbottitura di pesante stoffa, lui l'aveva fabbricata su precise indicazioni del ragioniere Patò il quale, cadendo nel sottopalco attraverso la botola, diverse volte nelle prove e negli spettacoli, aveva rischiato di rompersi l'osso del collo. Osservai che tale scala, in sostanza, poteva puranco rappresentarsi come una grossa cassa vacante. La scoperchiai con l'aiuto del mastrodascia: dentro non vi rinvenimmo alcunché. Del ragioniere, naturalmente, non vi era traccia alcuna. La signora Mangiafico, la quale evidentemente temeva di rinvenire nel sottopalco il marito gravemente ferito, rasserenossi alquanto. Prima di riaccompagnarla a casa, garantendola che avrei di subito principiato le ricerche, ordinavo al mastrodascia Vapano di lasciare le cose come stavano servendomi il palco e la scala sottoposta per ulteriori esami.

Andrea Camilleri


la Repubblica - Martedì, 14 novembre 2000 - pagina 73
"Un teatro lungo una vita" di RaiEri con un libro su De Filippo
TUTTO EDUARDO IN CDROM

CON il titolo "Un teatro lungo una vita" esce un CdRom dedicato a Eduardo De Filippo, accompagnato da un libro sulle sue esperienze radiotelevisive. Antonella Ottai è l'autrice dei due prodotti, targati Rai e Eri (con la collaborazione del Centro Teatro Ateneo) utili per diffondere la conoscenza di Eduardo nell'anno del centenario (19001984). Per presentare "Un teatro lungo una vita" alla Rai c'erano anche gli eredi (Luca De Filippo e Angelica Ippolito) e il ministro dell'Istruzione, Tullio De Mauro. Quest'ultimo, come linguista ha ribadito che «c'è un gran bisogno di valori condivisi, alle soglie di una campagna elettorale tutta giocata sulle divisioni e nel segno del "non me piace Îo Presepe". E Eduardo è un valore condiviso, come pochi altri, come gli spaghetti o le vittorie della Nazionale». Il CdRom rispetta la poliedrica attività di Eduardo: autore, regista, attore in teatro, cinema, tv e radio. Una serie di «percorsi guidati» consente di attraversare la sua opera, di ascoltare la sua voce, di vedere alcune sequenze delle sue commedie; ed anche di «visitare la famiglia teatrale dalla quale prende le mosse; di sostare al caffè, dove si raccontano i suoi aneddoti, di leggere documenti e testi; di muoversi dentro i teatri e le strade di Napoli che più lo ricordano». Fra gli interventi quelli di Andrea Camilleri e Aldo Nicolai, che per la Rai collaborarono al ciclo di registrazioni televisive del 1961, scoprendo un Eduardo non solo di grandissimo professionismo artistico, ma anche di grandi doti umane. «Quanto al nostro primo incontro sull'isola di Lisca, davanti a Positano, non lo riveleremo qui» ha detto Camilleri «Forse finirà nella prossima commedia di Nicolai e in uno dei miei prossimi racconti». E lo stesso Camilleri insieme a Barbara Scaramucci, direttrice delle Teche Rai, hanno affrontato la questione della commedie cancellate dalla Rai: avvenne tutto nei primi mesi in cui si usava la registrazione magnetica e i nastri costosissimi venivano riutilizzati; qualcuno cancellò anche "Sabato, domenica e lunedi" e "Sik, Sik l'artefice magico". In chiusura Luca De Filippo, con la laconicità che lo ha reso famoso, ha ringraziato dichiarando il suo desiderio «che Eduardo venga ricordato e divulgato presso le nuove generazioni». Angelica Ippolito ha aggiunto una nota privata, leggendo la lettera che Eduardo (che sposò sua madre Isabella) le indirizzò in un uno dei momenti più tristi della sua vita: quando suo padre, lo scienziato Felice Ippolito, fu coinvolto in uno scandalo e arrestato.

Repubblica 14.11.2000

Bravo Camilleri ma la sicilia non è questa
L'ultimo romanzo, originale nell'impianto, rischia però di indulgere alla caricatura

Come già con La concessione del telefono, così anche con questa nuova prova (La scomparsa di Patò, Mondadori, pagg. 255, lire 26.000) Andrea Camilleri pare voler drasticamente modificare la formaromanzo, eliminando la voce narrante e affidando sia lo sviluppo dell'intreccio che la costruzione dei personaggi a una serie di documenti posti uno dopo l'altro in ordine cronologico senza alcun «collante» specificamente narrativo. Questa volta, anzi, lo scrupolo della finzione arriva a far sembrare il libro una raccolta di anastatiche, che riproducono i documenti così come sono (o meglio, sarebbero stati): ritagli di giornale, dattiloscritti di vario tipo, scritte murali, manoscritti... Il tutto incorniciato da una citazione da Sciascia in apertura e da una nota dello stesso Camilleri in chiusura. Il rinvio a Sciascia (da A ciascuno il suo) non è affatto esornativo; in esso, al contrario, è contenuto in nuce l'intero libro, visto che vi si accenna alla scomparsa di Antonio Patò, avvenuta durante una sacra rappresentazione della passione di Cristo. Camilleri sposta Patò nella solita Vigàta e lo fa direttore della filiale locale della Banca di Trinacria, per farlo subito sparire, il Venerdì santo del 1890, proprio come racconta Sciascia. Del fatto dà notizia un rapporto del Delegato di P.S. Ernesto Bellavia al Questore di Montelusa da cui dipende, in cui si dà conto della denuncia di scomparsa sporta dalla moglie del Patò all'indomani della rappresentazione. E di qui parte un meccanismo investigativo tanto confuso quanto complesso, che vede protagonisti il suddetto Delegato e il maresciallo dei Reali Carabinieri Paolo Giummàro, dapprima acerrimi nemici, poi amici sviscerati, almeno da quando cominciano a dover fare fronte comune contro le rispettive alte gerarchie. E già, perché Antonio Patò è nipote di un potente Sottosegretario al Ministero degli Interni, il quale, preoccupato per la sorte del parente non meno che per la possibilità di svelamento di certi loschi traffici bancari, interferisce pesantemente nelle indagini con la sua incredibile ed esilarante prosa "culta": «Petente a lei vengo, … perché voglia accivire a molcere l'ansia di un vegliardo, qual io sono, per l'improvvisa e improvvida sparizione del dilettissimo mio, infra tutti il più adeso, nepote Antonio Patò...». I due investigatori locali, mettendo pazientemente insieme pezzi assai disparati, riusciranno infine a pervenire a una soluzione a prova di bomba; ma la ragion di Stato li costringerà, per salvare il posto di lavoro e magari anche la pelle, a costruire una falsa versione che farà tutti contenti. Che dire? La maestria costruttiva di Camilleri e la sua capacità di inventare a getto continuo situazioni divertenti e inattese sono ormai ben note, così come ben nota è la sua "umiltà" da buon artigiano, qui riconfermata dal suo porsi come semplice continuatore e "chiosatore" di un minimo episodio riferito da Sciascia. E sarebbe davvero ingiusto chiedergli di più. Il fatto è, però, che i suoi romanzi vanno infine tutti a parare sul nodo dei rapporti fra potere istituzionale e malavita in Sicilia, inserendolo in una sorta di specificità antropologica dell'isola che lo motiva e insieme lo evidenzia: un vero campo minato per un narratore, il quale deve sapere che ogni sua parola, ogni suo ammiccamento, ogni suo scherzo possono agevolmente trasformarsi in interpretazione storica e in giudizio politico. Camilleri fa di tutto per scongiurare tale eventualità. Ma è proprio sicuro di riuscirci? In un mondo di "macchiette", narrato con una lingua che è a sua volta una "macchietta", il lettore non finirà con lo smarrirsi? La macchietta vive in funzione dell'originale "serio" di cui fa la parodia. Ma se tale originale non si incontra mai, nemmeno di sfuggita, non si rischierà di dar corpo e sostanza reale alla macchietta, e quindi di buttare tutto in barzelletta, inclusi i morti ammazzati, le vessazioni, le corruttele generalizzate? Se Camilleri fosse davvero un nuovo Brancati, potremmo stare tranquilli. Ma ho l'impressione che gli manchi, per esserlo, la sofferenza (e l'insofferenza) di cui trasuda la facciata ironica di un Don Giovanni in Sicilia o di un Bell'Antonio. Meglio Montalbano, allora, al quale il "genere" offre una potente difesa naturale e che perciò ben sopporta la confusione tra serio e faceto. Qui, invece, che Antonio Patò venga preso sul serio costituisce un rischio: un rischio che non vorremmo la letteratura dovesse correre.

stefano giovanardi


www.ilnuovo.it 13.11.2000

Quegli intensi legami con Sciascia
L'autore del "Giorno della civetta" conosceva e stimava Camilleri. Fu lui a portarlo alla Sellerio.

ROMA - E' arrivato l'ultimo Camilleri ed è un Camilleri - dicono - che somiglia come non mai a Sciascia. Fra i due scrittori ci furono, come è noto, rapporti umani e letterari abbastanza intensi. Massimo Onofri, gran conoscitore degli scrittori siciliani, autore di un bel saggio dal titolo Tutti a cena da Don Mariano, edito Bompiani, non è per nulla stupito dalla notizia e dice subito: "Camilleri un po' sciasciano lo è sempre stato, anzi il Camilleri prima di Montalbano lo era in modo ancora più marcato". Fu proprio Sciascia, tanti anni fa, a portarlo alla Sellerio e non gli nascose mai il suo apprezzamento, né gli fece mancare il suo appoggio. Del resto - ricorda Onofri - "prima di inventarsi il commissario che gli ha dato tanto successo, Camilleri scriveva dei deliziosi romanzi che erano vere e proprie inchieste paragiudiziarie. Aveva letto bene la relazione parlamentare di fine secolo sulla Sicilia e sul fenomeno mafioso, e questa era diventata per lui una fonte preziosa di episodi da raccontare. Fanno parte di tale genere di narrazioni best seller come Il birraio d Preston. Sciascia amava molto queste tipo di romanzi e quindi era profondamente legato a un autore come Camilleri". Sin qui la pars costruens, alla quale si affiancano però anche giudizi meno positivi. Per Onofri, infatti, quella di Camilleri è una produzione "sciasciana, ma in tono minore", "un tentativo di ispirarsi a Sciascia senza essere Sciascia". Intendiamoci - incalza il giovane critico - "i suoi romanzi sono un buon prodotto artigianale, ma non hanno nulla a che vedere con la grande letteratura made in Sicilia, con quell'autobiografia della nazione costruita da Verga, da De Roberto, e poi da Pirandello, passando più avanti per Sciascia, per D'Arrigo, sino a Bufalino e a Consolo. L'inventore di Montalbano è un narratore efficace, simpatico, onesto, che mette sul mercato libri di discreta qualità, ma che non è mai stato capace di innovare profondamente, di imprimere svolte". Insomma, ci sono molte ragioni che spiegano perché i libri di Camilleri diventino best-seller, ma, nonostante ciò, il loro autore non viene giudicato un maestro. Che peso ha dunque il padre di Montalbano nella grande letteratura siciliana? Non si può considerare almeno un innovatore del linguaggio con quell'uso continuo che fa del dialetto? "L'uso del dialetto che fa Camilleri - risponde Onofri - non ha nulla a che vedere con la ricerca straordinariamente innovativa portata avanti da un D'Arrigo di Horcinus Orca o da un Consolo, ma nemmeno da un Pizzuto. Camilleri immette parole siciliane non per creare un nuovo linguaggio, ma semplicemente per fare un'operazione neofolklorica. Detto questo occorre riconoscere che i suoi racconti sono estremamente gradevoli: prodotti ben confezionati - lo ripeto - per un pubblico medio". Che Camilleri sia o no un maestro può essere materia di discussione, resta il fatto, però, che ancora una volta è la Sicilia che sforna uno scrittore di successo: quanto sono importanti i Verga, i Pirandello, gli Sciascia, i Bufalino per la letteratura italiana? Onofri risponde così: "La letteratura siciliana sta a quella italiana come la letterature russa sta a quella europea. Se lo immagina lei che cosa saremmo senza Puskin o senza Tolstoj?".

Gabriella Mecucci


La Repubblica 12.11.2000

Betta, musica maestro per la fiaba di Camilleri
C’era una volta un nonno che raccontava una fiaba alla nipotina. Un nonno che a occhio a croce ha le fattezze canute e bonarie di Andrea Camilleri, autore di una favola che aspetta solo di avere un respiro musicale per essere raccontata al grande pubblico. È il progetto che incrocia le strade dello scrittore empedoclino e del compositore palermitano Marco Betta, protagonisti di un’inedita collaborazione per conto dell’associazione Angelo Mariani di Ravenna. L’appuntamento è a febbraio, al teatro Alighieri di Ravenna, quando il festival "Ravenna musica 2001" proporrà il "Concerto di Carnevale": una fiaba di Camilleri musicata da Betta nell’ambito del tema del festival, che abbina musica e letteratura. L’incontro fra lo scrittore e il musicista è avvenuto quest’estate a Porto Empedocle, nella casa del papà del commissario Montalbano, quando è maturata l’idea del concerto ravennate. Di lì a poco è nata la favola di Camilleri, di cui adesso Betta sta rifinendo la partitura. Per Camilleri la scrittura di una favola è l’ultima digressione di un percorso che lo vede cimentarsi con la biografia (quella di Pirandello) e il teatro (l’adattamento della novella "La cattura" per lo Stabile di Catania dopo "Tanto rumore per nulla" di Shakespeare). Il direttore artistico del Teatro Massimo, invece, è reduce dall’esperienza dell’inno mediterraneo, commissionato dall’Accademia del Mediterraneo e dal Cims ed eseguito ad Hamman, in Giordania, lo scorso ottobre sotto la direzione di Gaetano Colajanni. «Una grande soddisfazione», commenta Betta. L’inno, infatti, è stata eseguito in un momento di crisi dell’area mediorientale, cosicché la musica una vola di più è suonata come un messaggio per la pace Nel carnet di Betta c’è anche una "Sinfonia dei nuovi giocattoli" che gli ha chiesto l’Orchestra Verdi di Milano. Nei negozi di dischi, invece, tira bene la vendita del cd che contiene la sua colonna sonora del film "Il manoscritto del principe": un lavoro che gli ha già fruttato due premi.



la Repubblica - Venerdì, 10 novembre 2000 - pagina 58
ANCORA CAMILLERI IN ATTESA DEL NUOVO ROMANZO

Sono tre le novità nella classifica di questa settimana. Fra i primi dieci libri più venduti arriva al terzo posto la versione supereconomica de Gli arancini di Montalbano (Mondadori), un libro di Andrea Camilleri che raccoglie una serie di racconti dedicati alle inchieste del commissario di Vigata. Per Camilleri non si tratta, ovviamente, di una novità. Il suo nome figura con assoluta continuità nelle classifiche, sia quella generale che quella della narrativa italiana. Inoltre è atteso per i prossimi giorni un nuovo romanzo dello scrittore agrigentino. Al quinto posto si piazza un'altra campionessa di best seller, Rosamunde Pilcher, della quale è appena uscito il nuovo romanzo, Solstizio d'inverno (Mondadori). Terza novità è Dicono che è risorto, un libro dello scrittore cattolico Vittorio Messori (edito da Sei) che si presenta come un'indagine sulla Resurrezione di Cristo. L'altro cambiamento in classifica riguarda il vertice, dove Il diavolo e la signorina Prym di Paulo Coelho (Bompiani), alla sua terza settimana in graduatoria, scalza dal primo posto Codice a zero di Ken Follett (Mondadori). Ricordiamo che la classfica dei libri è stata effettuata dall'Istituto Cirm esplorando sessanta librerie a rotazione, tra cui alcune del Gruppo librerie informatizzate Libris.

La Repubblica 05.11.2000

Tre morti per Montalbano . Il regista: "Un Camilleri versione Pirandello"
Il commissario Montalbano va in "Gita a Tindari", trova due inchieste su una morte e una sparizione e una pista che lo porta verso quel «piccolo e misterioso teatro greco». Domani Marina di Ragusa torna a fingersi la Vigàta di Camilleri per i nuovi episodi della serie televisiva "Il commissario Montalbano". Il set è sulla spiaggia di Puntasecca, che il regista Alberto Sironi ha fatto diventare lo sfondo di casa Montalbano. Protagonisti saranno Luca Zingaretti, il poliziotto nirbuso e squieto che comincia a invecchiare, e l’attrice tedesca Caterina Bohm, nel ruolo di Livia, la fidanzata genovese del commissario. Nei panni della conturbante svedese Ingrid ritorna Isabel Sollman mentre nell’altro episodio in programma, "Un tocco d’artista", c’è spazio per il palermitano Gigi Burruano, reduce dal successo de "I cento passi" e dalle riprese de "L’attentatuni". Per lui Sironi ha scelto il ruolo di Giacomo Lo Russo, il professore fratello della vittima, ossia l’orefice disabile che viene trovato morto, ucciso dalla sua sedia a rotelle. «Il professore diventa il principale indiziato e viene incarcerato - spiega il regista - È una parte molto bella e poi è la prima volta che Burruano fa un ruolo di intellettuale». Prodotto dalla Palomar di Carlo Degli Esposti per Raidue, i due nuovi episodi del "Commissario Montalbano" saranno girati nell’arco di dieci settimane nei paesi del Ragusano, scenario di quel percorso VigàtaMontelusa che caratterizza i romanzi di Camilleri. «Quello che mi piace di questi due racconti di Camilleri è il tema del doppio - spiega il regista che sempre con Zingaretti protagonista ha appena firmato la regia del film tv "Il furto del tesoro" - Nella "Gita a Tindari" il tema del doppio è dato da due inchieste nella stessa casa: in un condominio viene trovato il cadavere di un giovane e dallo stesso condominio si scopre che sono scomparsi due anziani coniugi. In "Tocco d’artista", invece, ci sono due fratelli: sembrano due lavori pirandelliani». Dopo quattro episodi mandati in onda e due da girare, Sironi è ormai un esperto dei gialli di Camilleri. «È uno che dimostra intelligenza in quello che racconta dice il regista Sotto l’aspetto del poliziesco Camilleri non ha inventato niente di nuovo ma ha il merito di avere creato un personaggio intelligente come Montalbano. E poi mi piacciono le atmosfere dei suoi libri. E così posso dire di essere contento di tornare a raccontare due storie di Camilleri».

m.d.c.


la Repubblica - Venerdì, 3 novembre 2000 - pagina 46
di ANDREA CAMMILLERI

ecco come lo ricorda il suo amico andrea camilleri
QUEL GIORNO RUBÒ MIA MADRE

Aveva imprevedibili e fanciullesche impennate Il suo libro è un capolavoro assoluto

Credo sia un caso unico nella storia dell' editoria mondiale che la correzione delle bozze di un romanzo, del quale è autore Stefano D'Arrigo, duri quasi diciannove anni e che al termine di questa portentosa e tormentata revisione, il romanzo cambi titolo e raddoppi il numero delle pagine attraverso una tale quantità di innesti che, se lasciano sostanzialmente intatta la trama e gran parte degli episodi originari, in realtà finiscono col creare un romanzo nuovo e diverso dal primo, da esso a un tempo dipendente e indipendente. Come se due gemelli nascessero a diciannove anni di distanza l' uno dall' altro, ma il secondo venisse alla luce avendo già assorbito l' esperienza della vita vissuta dal primo. Durante questo lungo percorso ricreativo, cento pagine all' incirca avranno un altro titolo provvisorio: I giorni della fera. Così infatti Elio Vittorini titolerà due capitoli de I fatti della fera quando li stamperà, nel 1960, sul Menabò. I due capitoli saranno corredati da una nota dello stesso Vittorini e da un glossario redazionale, redatto «contro lo stesso parere dell' autore». Infatti Stefano D' Arrigo si ribellò con violenza alla richiesta di Vittorini d' approntare lui stesso un glossario, né voleva che fossero altri a farlo; lo stesso atteggiamento tenne quando gli vennero inviate le bozze del glossario perché le rivedesse (quasi che «fossi la vedova di me stesso defunto», scrive all' amico Zipelli). Quelle cento pagine pubblicate dal Menabò se da una parte mostrarono in tutta la loro interezza la straordinaria forza del linguaggio di D' Arrigo e la sua stravolgente potenza visionaria (io ne rimasi letteralmente atterrito), dall' altra, a mio parere, misero una sorta d' ipoteca sul futuro romanzo. Quando infatti, nel 1975, Mondadori pubblicò Horcynus Orca, fra i tanti che ne scrissero entusiasticamente, ci furono i molti che misero mano alla bilancia e al metro lineare. In Italia esiste una particolare categoria di critici e di recensori i quali hanno una loro precisa e ragionieristica (e stitica) opinione sulla quantità catastale entro la quale uno scrittore deve mantenersi: a parer loro, Horcynus Orca era «troppo lungo». E intonavano il lamento: «Ahi! Ahi! Se fosse rimasto dentro la misura delle duecento pagine quale capolavoro avremmo avuto!». E invece, con tutte le 1257 pagine, Horcynus Orca è un capolavoro assoluto, uno dei pochi libri della nostra letteratura del ' 900 (si contano sulle dita di una mano) destinati a durare nel tempo. Di Stefano D' Arrigo sono stato, in qualche modo, amico. Dico in qualche modo perché Stefano aveva imprevedibili e addirittura fanciullesche impennate. Quando uscì il mio secondo romanzo, Un filo di fumo (del primo ero riuscito a non fargli sapere niente), non volevo mandarglielo per una ragione semplicissima: mi sentivo intimorito dalla sua grandezza. Orazio Costa, il regista mio maestro che era un grande estimatore e amico di Stefano, glielo fece avere. Due giorni appresso Stefano volle vedermi. «Orazio mi ha dato il tuo romanzo, ma non l' ho ancora letto. C' è prima una cosa da chiarire. Il glossario. Perché ce l' hai messo?». «L' ha voluto Garzanti, l' editore». «E l' hai scritto tu?». «Sì». Io mi ero completamente scordato della sua storia con Vittorini e non capivo dove volesse andare a parare. Alla mia risposta affermativa mi guardò in un modo che non so ancora definire. E certamente non volle leggere il romanzo del quale, nei successivi incontri, non si parlò mai più. La Pasqua del 1976 la passò con sua moglie Jutta e Orazio nella mia casa in Toscana. Furono giorni felici fino al momento in cui seppe che un mio amico, che abitava a due passi, aveva un ospite, un noto pittore. S' abbuiò, proclamò con violenza che per nessuna ragione al mondo l' avrebbe incontrato, non volle più uscire da casa. Il mio amico, opportunamente avvertito, venne a farci gli auguri di Pasqua nottetempo. Parlammo a bassa voce come congiurati per non svegliare Stefano che dormiva al piano di sopra. L' episodio che ricordo con autentica commozione capitò a Messina. Avevano deciso di dargli la cittadinanza onoraria e Stefano volle che Orazio e io fossimo con lui in quell' occasione. Io mi portai appresso mia madre che poi avrebbe proseguito verso il nostro paese in provincia di Agrigento. Mia madre era avanti negli anni, un pochino sorda e certe volte non ci stava con la testa. Tra lei e Stefano nacque, a prima vista, una specie d' innamoramento, non saprei come altrimenti chiamarlo. Una mattina doveva esserci una solenne cerimonia all' Università in onore di Stefano, l' appuntamento era nella hall dell' albergo per le nove e mezzo. Scesi, non vidi mia madre, dissi al portiere di chiamarla nella sua camera. «La signora è già uscita». Mi spaventai, mamma non conosceva Messina, dove diavolo poteva essere andata? Il portiere però mi tranquillizzò. «Guardi che la signora è uscita col signor D' Arrigo». La prima persona che vidi arrivando all' Università, fu proprio mia madre. Era molto contenta, mi raccontò che Stefano l' aveva fatta svegliare presto, che l' aveva portata a vedere il porto e che poi, all' Università dove l' aspettavano i giornalisti per intervistarlo, si era fatto fotografare con lei tenendola abbracciata. Qualche tempo dopo vidi una di queste foto stampate su un giornale. La didascalia diceva: «Lo scrittore Stefano D' Arrigo con sua madre».



la Repubblica - Venerdì, 3 novembre 2000 - pagina 7
di MARINA GARBESI

Da Biagi a Camilleri, da Celli alla Hack, tra i vip un coro di nostalgia per le vecchie elementari
QUANDO IL "SIGNOR MAESTRO" FACEVA LEGGERE STEINBECK

E il neuropsichiatra Bollea avverte: "Prima di rompere il vecchio modello, mettiamoci dentro programmi nuovi. Poi si vedrà" I PERSONAGGI

ROMA - Se lo ricordano tutti, il nome. Della "signora maestra". O del "signor maestro". Sarà un caso? No, ovviamente. Il nome lo sussurrano con nostalgica empatia. Lo evocano subito, e si capisce che non è un ricordo remoto da disseppellire. Il "maestro" è sempre lì, e ha segnato la tua storia. La tua carriera. La tua vita. Come le elementari, lui "non può sparire". Enzo Biagi: "Il mio si chiamava Dallari, maestro Dallari. In quinta ci faceva il cinema a scuola. Il "segno di Zorro", mi pare ancora di vederla, la zeta sui muri... Era moderno, senza rompere le scatole. Senza sbandierarlo, cioè. Ti forgiava, ti accudiva... ci ha insegnato a vivere. Io, quasi contemporaneo del conte di Cavour, resto del parere, poi, che la sintassi non sia un pregiudizio borghese. E noi l' italiano lo imparavamo. Adesso c' è Internet, benissimo. Ma davvero c' era bisogno di buttar via le elementari?". è chiaro come la pensa Biagi. "L' educazione, a quell' età, più che nozioni è esempio. è presenza. Assorbi un modello di comportamento, non un principio enunciato. Serve un maestro, insomma, non un professore. Mi ricordo quando ebbi la scarlattina. Si moriva allora di scarlattina. Il maestro mi scrisse una lettera: caro Enzo Biagi, guardando il tuo banco hai lasciato un vuoto... io facevo gli scongiuri, mio padre piangeva commosso. Nel delirio della febbre credetti che mi avesse scritto Tarquinio Prisco. Ma mi sentii in un abbraccio d' affetto che non ho scordato". Pierluigi Celli, direttore generale della Rai: "Si chiamava Dellagiovampaola, era un maestro straordinario. Io ho fatto le elementari a Verrucchio, minuscolo paese di Romagna: lui, ogni pomeriggio, ci portava a casa sua, la classe intera, per continuare la scuola. Suggeriva a ognuno un tema da approfondire. A me faceva leggere tanti libri, perfino Steinbeck, le prime traduzioni degli scrittori americani... Avevo dieci anni. Per me, figlio di muratore, era un sogno". La riforma, come la vede un supermanager? "Per piantare un albero che generi folti rami, cioè per specializzarsi con successo, servono ampie e solide radici. Una formazione di base vasta e fertile. Non sono convinto che razionalizzare il tempo sia utile sempre. Bisogna anche, in principio, saperlo perdere. Non metter fretta ai giovanissimi perché si ultraspecializzino. Perder tempo dà la possibilità di sbagliare, e a volte sbagliare, e imparare dagli errori, è redditizio. La scuola di base deve continuare a insegnare anche questo. Sperimentare, sbagliare, correggersi". "Sciascia, quando gli diedero una laurea honoris causa, commentò: grazie, ma io sono un maestro, e tale rimango. Con la "m" minuscola, specificò. Un orgoglio ben mirato", osserva Andrea Camilleri, lo scrittore che in una scuola hanno scelto come libro di testo al posto del Manzoni. "Sulla riforma non posso prender posizione, non sono preparato. Le elementari furono cruciali anche per me. Ero figlio unico di una famiglia della buona borghesia. Andai alla scuola pubblica, tra pescatori e carrettieri che mi hanno insegnato la vita. Avevo un maestro con la minuscola, il "signor maestro Vinti"... una cosa è certa: un maestro sceglie questo mestiere per una vocazione che non necessita a un professore. Il "signor maestro Vinti" era imperturbabile. E quell' imperturbabilità mi ha fatto comprendere tante cose. Si metteva al nostro livello, non ci umiliava, eppure restava un mito. Io e il mio compagno di banco facemmo un gioco: infilare quante più parole in una riga. Una calligrafia da formiche. Lui, il maestro, non ci rimproverò. Accettò la sfida e ci disse: io sarei riuscito a metterne almeno due in più. Da quel momento sapemmo che con lui si poteva dialogare". Margherita Hack, astrofisica: "Quel che trovo comunque azzeccato, nella riforma, è la riduzione di un anno dell' intero curriculum scolastico. I nostri laureati arrivano sul mercato del lavoro a 27-30 anni, più tardi dei colleghi europei. Ma il vero guaio è che ci arrivano, spesso, senza saper scrivere in italiano. Sono più informati ma più ignoranti. Comunque, io le elementari le avrei lasciate così come sono. Casomai, renderei più severi gli esami e i controlli sul rendimento individuale". "è vero, non sanno scrivere...", sospira lo scrittore Marco Lodoli, professore in un professionale romano. "E non sanno leggere, anche le cose semplici". Lui aveva la maestra Castelli, una "mamma" paziente. "Si sta facendo ancora molta teoria, molto esercizio accademico su questa riforma. La scuola quotidiana è da riempire poi con altri gesti, anche minimi ma essenziali. Che suscitino ammirazione, imitazione. Educazione". Giovanni Bollea, decano della neuropsichiatra infantile: "Facciamoli pure iniziare a cinque anni, che l' ultimo anno dell' asilo è una noia. Ma per favore non distruggiamo il ciclo elementare. Portiamolo a sei anni, invece, e poi quattro di medie e quattro di superiori. Attorno ai 10-11 anni i bambini cominciano a ragionare come i grandi, in modo deduttivo e non più solo induttivo. Lo stacco esiste e non ha senso abolirlo. I ragazzini oggi sono più svegli di vent' anni fa? Vero, ma questo aiuta a ridurre il trauma del passaggio alle medie inferiori. Un contenitore unico, per i sette anni "di base", non era urgente né auspicabile. Prima di rompere il vecchio modello, mettiamoci dentro programmi nuovi. Poi si vedrà".

la Repubblica - Venerdì, 3 novembre 2000 - pagina 48
SCRITTORI STRANIERI IN PRIMO PIANO

Nessuna novità in una classifica che è quasi fotocopia della precedente. Tutti rigorosamente stranieri, a conferma d'una crescente inclinazione dei nostri lettori per la letteratura non di casa propria. Peccato per il bellissimo libro di Giuseppe Pontiggia, «Nati due volte», che nonostante la permanenza in vetta nella tabella della narrativa italiana non riesce a sfondare nella top ten generale. Così s'assiste al paradosso che l'ultimo degli autori stranieri il francese Jacq con «Paneb» precede il primo degli italiani, Pontiggia appunto. Tra gli stranieri, primeggiano quelli d'area anglosassone, a cominciare da Ken Follett, un maestro del genere "bestseller", per chiudere con l'inglese Rowling, la mamma del fortunato Harry Potter che continua a d avere un grande seguito tra i ragazzini di tutto il mondo. Tra gli italiani, gli autori più venduti sono sempre gli stessi. Camilleri continua a spopolare con ben quattro titoli tra i primi dieci della nostra narrativa. Anche Baricco si difende, con «Oceano mare», in ottava posizione e «NovecentoÝ un monologo», sesto dei tascabili. Tra i supertascabili arriva primo De Carlo, con «Nel momento». Ricordiamo che la classifica è stata realizzata dall'Istituto Cirm, esplorando sessanta librerie a rotazione tra cui alcune del Gruppo Librerie Informatizzate Libris. La settimana di rilevazione va dal 25 al 31 ottobre ottobre.



Email: camilleri_fans@hotmail.com