Un Camilleri tutto da scoprire
Lo scrittore ha pubblicato un giallo strano. Basato su documenti d'epoca. E spiega qui come decifrarlo Davvero insolito il nuovo romanzo di Andrea Camilleri, lo scrittore
campione d'incassi con un record di due milioni di copie vendute. Si intitola
La scomparsa di Patò (Mondadori) e racconta come, oltre cent’anni
fa, durante la rappresentazione della Passione di Cristo, tal ragioniere
Antonio Patò sarebbe precipitato dentro una botola scomparendo per
sempre. Inghiottito dal nulla.
Silvia Sereni Donna Moderna, 29/11/2000 |
Il commissario Montalbano ha i baffoni alla messicana e un accento inequivocabilmente siciliano. Niente pelata alla Luca Zingaretti, il suo interprete televisivo, ma i modi spicci, l'appetito e la terminologia sono quelli disegnati da Camilleri. È Il cane di terracotta in versione cd rom, un cartone animato interattivo realizzato da Sellerio, editore di Camilleri, e da Im Media che sarà presentato a Palermo il 7 dicembre. Si tratta di un gioco da computer che consente al giocatorespettatore di interagire con la storia raccontata e di partecipare all'inchiesta del commissario. Un clic del mouse permette di scegliere fra le varie opzioni offerte dalla narrazione: si può decidere di dare un appuntamento immediato alla «gola profonda» di Montalbano oppure di aspettare in commissariato, ma una scelta sbagliata rispetto al testo del romanzo farà lampeggiare sullo schermo la finestrella Malafiura, che in siciliano significa brutta figura. La parola d'ordine di Antonio Sellerio, curatore del progetto, è, infatti, fedeltà assoluta al romanzo. Col cd rom, del costo di 36 mila lire, sarà venduto anche un vocabolario vigateseitaliano. Una curiosità: fra i quaranta personaggi del Cane di terracotta ce n'è uno, il preside Burgio, che ha le fattezze proprio di Andrea Camilleri. M. D. C.
la Repubblica - Venerdì, 24 novembre 2000 - pagina 54
IN VETTA CAMILLERI CHE SUPERA COELHO
Novità in vetta alla classifica di questa settimana: Andrea Camilleri con "La scomparsa di Patò", la storia del tentativo di far luce sulla misteriosa sparizione di un ragioniere durante una rappresentazione sacra, fa il suo ingresso in classifica conquistando immediatamente la prima posizione. Ormai puntualmente ogni suo libro diventa un caso editoriale. Una nuova entrata si rintraccia anche al decimo posto: si tratta di Roberto Gervaso con "Appassionate", ritratti di quattordici donne, dominatrici o dominate, comunque protagoniste del loro tempo. In salita Bruno Vespa con "Scontro finale" e Maria Venturi con "Incantesimo", mentre Luis Sepúlveda si conferma in settima posizione con "Le rose di Atacama". Perdono alcune posizioni Paulo Coelho con "Il diavolo e la Signorina Prym", che scende in seconda posizione, e Ken Follett, al terzo posto con "Codice a zero". In discesa anche "Gli arancini di Montalbano" di Andrea Camilleri (quinto), "Solstizio d'inverno" di Rosamunde Pilcher (sesto) e Vittorio Messori con "Dicono che è risorto" (nono). Ricordiamo che la classifica è stata effettuata dall'Istituto Cirm esplorando sessanta librerie a rotazione, tra cui alcune del Gruppo librerie informatizzate Libris. La settimana di rilevazione va dal 15 al 21 novembre.
Repubblica 22.11.2000
Montalbano a fumetti
si presenta il volume
il libro
Il commissario Montalbano si fa in tre, nelle versioni a fumetti de L’avvertimento di Andrea Camilleri. I disegni sono di Giuseppe Lo Bocchiaro, Claudio Stassi e Valerio Spataro, realizzati in occasione del concorso «N. N. Nuvole Nuove», volto alla valorizzazione degli autori di fumetto siciliani. Le strip sono adesso raccolte in un volume, che sarà presentato oggi alle 17 nella Sala Consiliare di palazzo delle Aquile dal giornalista Bruno Carbone, da Giusto Catania, assessore alla Cultura del Comune e da Fabio Granata, assessore regionale ai Beni Culturali.
Il ventiduenne Claudio Stassi, premiato per il miglior fumetto, immagina un commissario dalla barba incolta, la faccia larga e vissuta e i modi un po’ bruschi. Ma la sciatteria di Montalbano non tragga in inganno: saprà come sempre risolvere brillantemente il caso apparentemente inestricabile. Il primo premio per la miglior sceneggiatura è andato invece a Giuseppe Lo Bocchiaro, venticinque anni, che disegna un Montalbano in bianco e nero, con un tratto essenziale, e la fisionomia dell’attore che ha prestato il suo volto per la versione televisiva del racconto di Camilleri.
Il miglior disegno è quello di Valerio Spataro, che propone un commissario in versione atletica, col gilet milletasche da esploratore e una vera e propria passione per i fumetti de "Il corriere dei piccoli". Tra i personaggi del racconto, guest star sono Vittorio Gassman e Silvana Mangano, impeccabilmente ritratti. I vincitori del concorso — promosso dall’assessorato regionale dei Beni culturali, dall’assessorato comunale alla Cultura e ideato da Affiche — sono anche stati ospiti del recente Expocartoon di Roma, insieme ai secondi classificati (Michela De Domenico, Stefano Caruano, Serena Cartia, Daniele Bonfiglio), dove è stato presentato anche il volume edito da Hazard e Affiche, introdotto da un testo di Camilleri.
Un altro appuntamento con i fumetti è per venerdì 24 alle 18, da Affiche (piazza San Carlo 3), dove verrà inaugurata la mostra personale dello stesso Lo Bocchiaro, laureando in architettura e creatore di Burp, personaggio protagonista di due volumi autoprodotti.
La mostra rimarrà aperta fino al 30 novembre, e si visita da lunedì a alla domenica dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19,30 (lunedì solo pomeriggio, domenica solo la mattina).
PAOLA NICITA
Una giornata dedicata al romanziere
SCIASCIA SCHERZI A PARTE
Leonardo Sciascia nel 1947 è disposto a pagare diecimila lire pur di pubblicare il suo primo libro. Lo scrive un suo amico libraio di Caltanissetta a Luisa Saracinelli Ciuni, titolare della più importante libreria di Palermo. Seguono una serie di telefonate, per trattare il prezzo e le copie, e poi una seconda lettera. «Sciascia non è in grado di sostenere un costo superiore, però è disposto a dimezzare la tiratura da 1000 a 500». Alla fine non se ne fa niente e lo scrittore di Racalmuto pubblica, a pagamento, i suoi primi due libri (Le favole della dittatura nel 1950 e La Sicilia e il suo cuore nel ' 52) con l' editore romano Bardi. «Leonardo sborsò di tasca sua 80 mila lire per ognuno dei due libri», ricorda il suo amico di adolescenza Stefano Vilardo. «Con l' editore lo aveva messo in contatto il poeta Mario Dell' Arco che scriveva in vernacolo romano». È uno Sciascia segreto quello che viene fuori nel convegno conclusosi ieri nel suo paese natio in occasione dell' undicesimo anniversario della morte. Gli amici, ai margini delle relazioni ufficiali, danno la stura ai ricordi. E lo scrittore ritrova così soprattutto una sua dimensione umana. Eccolo regista, mentre mette in scena nel bellissimo teatro di Racalmuto I nostri sogni, una delicata commedia sulla gioventù che passa, di Ugo Betti. «Era il 1943 ricorda Aldo Scimè, presidente della fondazione intitolata allo scrittore e Leonardo si cimentò nella regia. Fu un successone e con l' incasso comprammo maglie di lana per i nostri soldati in Russia. Poi, cominciò a insegnare e a scrivere e rinunciò al cinema e al teatro che erano al centro delle sue aspirazioni». Il teatro, dopo anni di degrado, sta per essere riportato agli antichi splendori. A marzo, finito il restauro, verrà riaperto. «Perché non inaugurarlo mettendo in scena proprio la commedia di Betti?», suggerisce il pittore Gaetano Tranchino, che di Sciascia ricorda la "dialettica del silenzio". «Parlava con impercettibili movimenti del corpo. Un battito di ciglia, un sorriso ironico, valevano più di tante parole. Mi metteva soggezione». Sciascia non guidava e per i suoi giri nelle gallerie palermitane e per le sue scorribande nell' isola in cerca di tesori d' arte nascosti si avvaleva dei mezzi degli amici. In tanti si contendevano l' onore di fargli da autista: Stefano Vilardo, il critico Natale Tedesco, l' avvocato Angelo Perna, il giudice Franco Nasca, il poeta dialettale Nino De Vita. Deve essere una tradizione tutta siciliana quella degli artisti senza patente. Anche Bufalino era appiedato. E anche Consolo lo è. È l' autore del Contesto a spingere Andrea Camilleri a scrivere. Il padre di Montalbano gli porta un fascio di documenti su una strage accaduta a Porto Empedocle suggerendogli di scrivere un libro. Ma Sciascia lo esorta a scriverlo lui. «Ma io non so scrivere come te», si schermisce Camilleri. La risposta non ammette repliche: «Per questo devi scriverlo tu». Sciascia era anche un grande cuoco («Alla Noce cucinava una pasta al tonno impareggiabile», ricorda il pittore Piero Guccione) e un allegro compagnone. Alcuni scherzi organizzati dalla sua comitiva di amici intellettuali sono rimasti famosi. Come quando spediscono fino a Catania un docente con velleità letterarie a un falso appuntamento con un vero editore. O come quando assecondano Natale Tedesco, che si crede un grande intenditore di vino. A casa di Sciascia gli fanno degustare il vino da una bottiglia senza etichetta. Lui sentenzia: è un Corvo di Salaparuta del 1930. Tutti strabiliati ad applaudire. Il poveraccio non sospetta che la combriccola si è messa d' accordo per confermare qualsiasi marchio e annata avesse detto.
Repubblica 15.11.2000
In un giorno
il suo "Patò"
è già best seller
le vendite
Lo scenario è quello di sempre, Vigàta. Il protagonista,
invece, è nuovo di zecca: il ragionier Antonio Patò, direttore
della Banca di Trinacria, funzionario integerrimo, padre e
marito modello. Fin qui, la regola. Ecco allora Camilleri che
interviene subito con l'eccezione, costituita dalla scomparsa
misteriosa di Patò durante la sacra rappresentazione della
Passione, dove con successo recitava nel ruolo di Giuda.
"La scomparsa di Patò", edito da Mondadori, è il nuovo
romanzo di dello scrittore pigliatutto: da ieri nelle librerie, si
preannuncia già come l'ennesimo best seller dello scrittore
siciliano. Solamente in un giorno in vendita, infatti, il
romanzo ha già fatto registrare una notevole quantità di
copie vendute, con la complicità della grande curiosità che
accompagna ogni uscita dei romanzi di Camilleri.
Presso la libreria Flaccovio il romanzo è esposto in bella
vista in bella vista, e altre copie arrivano su un carrellino
stracolmo: fino alle 18 di ieri sono state vendute 20 copie.
«Ne abbiamo ordinato un migliaio — spiega Giuseppe
Flaccovio — È già richiestissimo. Sono pochi i romanzi che
partono così forte».
Da Feltrinelli, venticinque copie in un giorno, la direttrice Lia
Vicari dice: «Con Camilleri aspettiamo il solito boom. Tra
l'altro il 6 dicembre uscirà con Rizzoli il suo saggio su
Pirandello».
«Camilleri è una garanzia su cui puntare a occhi chiusi —
afferma Antonio Sellerio dell'omonima libreria e casa
editrice, che ieri ha venduto una quindicina di copie di
"Patò"— Spero nel solito successo, anche se questo libro
non è edito da noi. A fine gennaio presenteremo invece "Il
re di Girgenti", che arriva dopo cinque anni di lavoro
dell'autore». E sempre da un romanzo di Camilleri, "Il cane
di terracotta", Sellerio trae spunto per realizzare un gioco
interattivo in cd rom, che sarà presentato il 7 dicembre in
libreria. Il giocatore vestirà i panni del commissario
Montalbano, e potrà avvalersi di un vocabolario
La Sicilia ,18 novembre 2000
Montalbano ciak a Modica MODICA (RAGUSA) - Ieri, la ripresa di un funerale ripetuta una decina di volte. Oggi, riposo per gli attori, sopralluoghi e preparazione delle prossime scene per i tecnici con in testa il regista, Alberto Sironi. Eccola qui, la terza serie di quel simpaticone, furbacchione, insomma "siciliano è", Commissario Montalbano, fortunata serie televisiva prodotta dalla Palomar per Raidue, uscita pari pari dagli altrettanto famosi libri di Andrea Camilleri. Questa volta Vigàta si è "trasferita" a Modica, almeno per qualche giorno. Il ciak è schioccato a Villa Denaro Papa, una delle tante patronali disseminate nella campagna circostante la città, poi sotto la collina dell'Idria - una delle quattro che sovrasta Modica Bassa - e al duomo di S. Giorgio. La cura dei particolari, soprattutto per quanto riguarda l'audio in presa diretta, hanno costretto Sironi a far ripetere diverse volte le singole scene. Una volta il trillo di un telefonino (anche qui!), o la sirena in lontananza di un'ambulanza hanno prolungato la sosta dell'intera troupe davanti alla sommità della scalinata che da Corso Garibaldi arriva lassù, in cima ad uno dei simboli del barocco siciliano, a due passi dalle case che dettero i natali ad un premio Nobel come Salvatore Quasimodo e ad un filosofo-scienziato fra i più illustri del settecento come Tommaso Campailla. Tra Ragusa (altro duomo di S. Giorgio), Modica e Scicli (il palazzo comunale che diventa commissariato per l'occasione, più alcune case nobiliari) si girano le scene di "La gita a Tindari", ultimo episodio pubblicato sul singolare investigatore Montalbano, ormai giunto sulla soglia della mezza età, ma sempre alle prese con un altro caso intricatissimo, stavolta zeppo di morti ammazzati e sparizioni senza un perché apparente. Successivamente, Sironi & C. , che si tratterranno in Sicilia fino a dicembre inoltrato, gireranno una fiction tratta da "Un mese con Montalbano", libro a episodi che due estati fa Camilleri firmò appositamente per Mondadori. Gli altri successi, infatti, sono editi da Sellerio. Ma la vera star è lui, "Montalbano sono!", ovvero Luca Zingaretti, attore romano ma siciliano per esigenze cinematografiche e a furor di popolo che, come ogni attore legato al successo del proprio personaggio, fa fatica a smettere i panni del nostro eroe sbanca - auditel. Tra una scena e l'altra, il pubblico lo acclama. Si tratta per lo più di studenti che ufficialmente hanno disertato le lezioni per protestare contro il caro autobus, ma che in realtà si sono dati appuntamento al luogo che rivedremo in tutto il suo splendore sui teleschermi. Fanno la fila per chiedere l'autografo o farsi scattare una foto insieme ad una persona dimostratasi gentile e disponibilissima, fanno silenzio al grido del regista: "Azione!". Confusi fra gli spettatori, le comparse attendono il loro turno. Se non fosse per il nipotino che gli strattona la tonaca chiamandolo "nonno", il prete l'avremmo scambiato per quello vero. Li segue attentamente Pasquale Spadola, attore teatrale ragusano, punto di riferimento per tutte le troupe che selezionano il cast locale e che scelgono il paesaggio ibleo quale scenario da set. Iniziò Luigi Zampa, nel dopoguerra, con "Anni difficili", protagonisti Massimo Girotti e una giovanissima Delia Scala. Per finire fino a "Marianna Ucria" di Roberto Faenza e "L'uomo delle stelle" di Giuseppe Tornatore, passando per "Un matrimonio all'italiana", il capolavoro di Pietro Germi che diresse nell'occasione un superlativo "Don Antonio" Marcello Mastroianni. La troupe del "Commissario Montalbano" si trasferirà martedì a Scicli per girare alcune scene all'interno del municipio e in un'antica casa che dà sulla centrale piazza Italia. Il 27 tornerà a Modica prima di spostarsi nell'agrigentino. Antonio Casa |
Nessun cambiamento questa settimana alla vetta della top ten, forse in attesa dei sommovimenti che sicuramente si osserveranno in periodo di strenne natalizie: Paulo Coelho con Il diavolo e la Signorina Prym (primo), Ken Follett con Codice a zero (secondo) e Andrea Camilleri con la versione supereconimica de Gli arancini di Montalbano confermano le posizioni conquistate la settimana scorsa. A dare un po' di movimento alla classifica ci sono però due nuove entrate: Bruno Vespa che arriva subito al quinto posto con Scontro finale, la ricostruzione dei fatti che hanno portato al duello RutelliBerlusconi, e una storia d'amore tra due persone che si incontrano nel momento sbagliato, Incantesimo, di Maria Venturi che entra tra i libri più venduti della settimana al nono posto. In salita Rosamunde Pilcher con Solstizio d'inverno (quarto) e Dicono che è risorto, di Vittorio Messori, che si colloca in sesta posizione. Al contrario perdono quota Le rose di Atacama di Luis Sepúlveda (settimo), Harry Potter e la pietra filosofale di Joanne K. Rowling (ottavo) e L'uomo della mia vita di Manuel Vázquez Montálban (decimo). La classifica è stata effettuata dall'Istituto Cirm esplorando 60 librerie a rotazione.
Il Secolo XIX, 14/11/2000
Intervista con Andrea Camilleri
"La scomparsa di Patò" è un collage di documenti. Finti, frutto di pura invenzione, ma documenti: lettere, verbali, rapporti, proclami, articoli di gazzetta. Non c'è alcuna parte in presa diretta, romanzata… Ho voluto tentare una sperimentazione, portando all'estremo quel che avevo fatto in libri come "La concessione del telefono", dove i "documenti" avevano già una forte importanza. In "Patò" se il lettore vuol costruirsi un'immagine di un personaggio lo può fare traendola da quello che ognuno scrive, dal suo linguaggio… per questo i linguaggi sono fortemente differenziati, da quello aulico del sottosegretario Pecoraro Grand'Ufficiale Artidoro al rapportino stilato dal maresciallo dei carabinieri. Così scompare quasi completamente il siciliano "alla Camilleri". E' stata una necessità. Dovendo fingere di riportare articoli di giornale, documenti interni e rapporti di polizia, non potevo che utilizzare l'italiano. Ma anche qui non sempre lo stesso italiano: ho sperimentato un italiano di alto e basso livello. Qua e là riemerge un po' del siciliano alla Camilleri. Una lingua che rileggeremo? Non c'è dubbio. Come ha ricostruito questo italiano aulico, burocratico, pretenzioso ed esilarante? Ho un prezioso dizionario, "Elenco delle parole in disuso", pubblicato nel 1920. Quindi parole ottocentesche, già in disuso all'inizio del Novecento. Per me è una miniera. Comunque, il linguaggio della burocrazia ha imperversato fino a noi. Quando avevo dieci anni, mio padre trovò in una comunicazione ministeriale la parola "oscittanza". Ne ignoravamo il significato. Dal professore di italiano seppi che significava "esitazione". Ho usato "oscittanza" in un libro. L'incomprensibilità del potere fa parte del gioco. Il linguaggio burocratico o "alto" diventa un linguaggio sacerdotale, un gioco di esclusione. Così il cittadino ne rimane terrorizzato. Una volta dimenticai di pagare una rata di un'enciclopedia. Mi arrivò un avviso che conteneva l'espressione "sorte capitale". Roba da domandarsi se ti tagliano la testa. L'espressione si riveriva agli interessi, ma l'effetto era notevole. S'è divertito molto nel distribuire i nomi dei personaggi. Lo confesso. Questo Franco Lo Forte che fa Ponzio Pilato nella sacra rappresentazione del Mortorio, come viene fuori? Beh, beh…come un caso. Un caso e una necessità. Suvvia, Franco Lo Forte è uno dei pubblici ministeri del processo ad Andreotti… Cose che capitano… Bernardo Provenzano, omonimo dell'inafferrabile boss mafioso, che recita nel "Mortorio"? Eh, eh. E c'è anche Filippo Mancuso, ex Guardasigilli. Ah, ma Filippo Mancuso c'è sempre, nei miei libri. E' la terza volta che appare. Ci sono affezionato. Con tutto il rispetto per la persona, Filippo Mancuso è proprio di quelli che certo linguaggio aulico non l'hanno mai abbandonato. E c'è anche un "Andrea Camilleri insegnante". E' un omaggio a Sciascia, che una volta disse "io sono un maestro elementare". Sciascia stimava molto il ruolo del maestro elementare in Italia. Anch'io. Il gioco delle citazioni non si limita a nomi attuali, la principessa Piovasco da Rondò… Da Italo Calvino, naturalmente. E Sciascia ritorna in una citazione indiretta… Certo: quando il delegato di Pubblica Sicurezza vuole risalire al giornale dal quale sono state ritagliate le lettere per comporre la lettera anonima, il procedimento che usa è esattamente lo stesso di "A ciascuno il suo". E poi, c'è questa citazione in trasparenza del "Fu Mattia Pascal" di Pirandello, la doppia vita di Patò: "Patò spirì, spirì Patò, cu l'ammazzò?"… Giusto, il Mattia Pascal è molto presente. Non possiamo non dirci pirandelliani. Questo suo libro ha molte chiavi… Ma si può leggere anche solo come divertissement. Qualcuno trova Pirandello un po' superato. Io no. Ho appena terminato di scrivere una biografia su Pirandello, una biografia molto parziale: concentrata sul suo rapporto col padre. Pirandello aveva un rapporto terribile, conflittuale, con il padre, poi questo rapporto improvvisamente cambia. Io mi chiedo perché. Il rapporto con il padre, in Sicilia, è un nodo fondamentale dell'identità, più che altrove. Sicuramente. Forse per questo sono attirato ad indagarlo. La biografia analizza documenti, immagino, e lettere… Terribili lettere. Lei che ricorre così tanto all'epistolario sia nei romanzi che, ora, in un saggio, scrive molte lettere personali? Mai. Mai scritte. Io sono della generazione del telefono. Poi è venuta la generazione dell'email superata da quella del "messaggino" sul cellulare. La morte della comunicazione scritta. Sopravviveranno solo i grandi epistolari, Petrarca, Abelardo e Eloisa… Senta come va con il commissario Montalbano? E' diventato ingombrante? No, no, gli voglio sempre bene. Lui è esigente, per forza. Dice: io ti ho dato il successo, quindi tu mi devi tanto. Per questo prevarica un po', soprattutto altri personaggi. E' un po' cannibale. Che fa, lo uccide? Neanche per sogno, io sono contro la pena di morte sempre, anche in letteratura. Non mi va di uccidere i miei personaggi, meno che mai Montalbano. Ho già dovuto sacrificare con dolore il suo amico Gegè, per far sparare a Montalbano almeno un colpo di pistola, altrimenti non avrebbe sparato mai… Beh, allora lo fa sposare con Livia. Non lo so. Ci penso. Sì e no. Non ho deciso e questo mi dà un meraviglioso senso di onnipotenza. Non sempre gli scrittori sono liberi di far morire i propri personaggi. Lo so bene. Anche Conan Doyle cercò di buttare Sherlock Holmes giù da un burrone. Ma ricevette tante proteste che fece ritornare su Holmes. E se Montalbano morisse, come morirebbe? Oh, sono sicuro: in modo borghesissimo. Erika Dellacasa |
CON il titolo "Un teatro lungo una vita" esce un CdRom dedicato a Eduardo De Filippo, accompagnato da un libro sulle sue esperienze radiotelevisive. Antonella Ottai è l'autrice dei due prodotti, targati Rai e Eri (con la collaborazione del Centro Teatro Ateneo) utili per diffondere la conoscenza di Eduardo nell'anno del centenario (19001984). Per presentare "Un teatro lungo una vita" alla Rai c'erano anche gli eredi (Luca De Filippo e Angelica Ippolito) e il ministro dell'Istruzione, Tullio De Mauro. Quest'ultimo, come linguista ha ribadito che «c'è un gran bisogno di valori condivisi, alle soglie di una campagna elettorale tutta giocata sulle divisioni e nel segno del "non me piace Îo Presepe". E Eduardo è un valore condiviso, come pochi altri, come gli spaghetti o le vittorie della Nazionale». Il CdRom rispetta la poliedrica attività di Eduardo: autore, regista, attore in teatro, cinema, tv e radio. Una serie di «percorsi guidati» consente di attraversare la sua opera, di ascoltare la sua voce, di vedere alcune sequenze delle sue commedie; ed anche di «visitare la famiglia teatrale dalla quale prende le mosse; di sostare al caffè, dove si raccontano i suoi aneddoti, di leggere documenti e testi; di muoversi dentro i teatri e le strade di Napoli che più lo ricordano». Fra gli interventi quelli di Andrea Camilleri e Aldo Nicolai, che per la Rai collaborarono al ciclo di registrazioni televisive del 1961, scoprendo un Eduardo non solo di grandissimo professionismo artistico, ma anche di grandi doti umane. «Quanto al nostro primo incontro sull'isola di Lisca, davanti a Positano, non lo riveleremo qui» ha detto Camilleri «Forse finirà nella prossima commedia di Nicolai e in uno dei miei prossimi racconti». E lo stesso Camilleri insieme a Barbara Scaramucci, direttrice delle Teche Rai, hanno affrontato la questione della commedie cancellate dalla Rai: avvenne tutto nei primi mesi in cui si usava la registrazione magnetica e i nastri costosissimi venivano riutilizzati; qualcuno cancellò anche "Sabato, domenica e lunedi" e "Sik, Sik l'artefice magico". In chiusura Luca De Filippo, con la laconicità che lo ha reso famoso, ha ringraziato dichiarando il suo desiderio «che Eduardo venga ricordato e divulgato presso le nuove generazioni». Angelica Ippolito ha aggiunto una nota privata, leggendo la lettera che Eduardo (che sposò sua madre Isabella) le indirizzò in un uno dei momenti più tristi della sua vita: quando suo padre, lo scienziato Felice Ippolito, fu coinvolto in uno scandalo e arrestato.
Repubblica 14.11.2000
Bravo Camilleri
ma la sicilia non è questa
L'ultimo romanzo, originale nell'impianto, rischia però di indulgere alla caricatura
Come già con La concessione del telefono, così anche con questa nuova prova (La scomparsa di Patò, Mondadori, pagg. 255, lire 26.000) Andrea Camilleri pare voler drasticamente modificare la formaromanzo, eliminando la voce narrante e affidando sia lo sviluppo dell'intreccio che la costruzione dei personaggi a una serie di documenti posti uno dopo l'altro in ordine cronologico senza alcun «collante» specificamente narrativo. Questa volta, anzi, lo scrupolo della finzione arriva a far sembrare il libro una raccolta di anastatiche, che riproducono i documenti così come sono (o meglio, sarebbero stati): ritagli di giornale, dattiloscritti di vario tipo, scritte murali, manoscritti... Il tutto incorniciato da una citazione da Sciascia in apertura e da una nota dello stesso Camilleri in chiusura.
Il rinvio a Sciascia (da A ciascuno il suo) non è affatto esornativo; in esso, al contrario, è contenuto in nuce l'intero libro, visto che vi si accenna alla scomparsa di Antonio Patò, avvenuta durante una sacra rappresentazione della passione di Cristo. Camilleri sposta Patò nella solita Vigàta e lo fa direttore della filiale locale della Banca di Trinacria, per farlo subito sparire, il Venerdì santo del 1890, proprio come racconta Sciascia.
Del fatto dà notizia un rapporto del Delegato di P.S. Ernesto Bellavia al Questore di Montelusa da cui dipende, in cui si dà conto della denuncia di scomparsa sporta dalla moglie del Patò all'indomani della rappresentazione. E di qui parte un meccanismo investigativo tanto confuso quanto complesso, che vede protagonisti il suddetto Delegato e il maresciallo dei Reali Carabinieri Paolo Giummàro, dapprima acerrimi nemici, poi amici sviscerati, almeno da quando cominciano a dover fare fronte comune contro le rispettive alte gerarchie. E già, perché Antonio Patò è nipote di un potente Sottosegretario al Ministero degli Interni, il quale, preoccupato per la sorte del parente non meno che per la possibilità di svelamento di certi loschi traffici bancari, interferisce pesantemente nelle indagini con la sua incredibile ed esilarante prosa "culta": «Petente a lei vengo, … perché voglia accivire a molcere l'ansia di un vegliardo, qual io sono, per l'improvvisa e improvvida sparizione del dilettissimo mio, infra tutti il più adeso, nepote Antonio Patò...». I due investigatori locali, mettendo pazientemente insieme pezzi assai disparati, riusciranno infine a pervenire a una soluzione a prova di bomba; ma la ragion di Stato li costringerà, per salvare il posto di lavoro e magari anche la pelle, a costruire una falsa versione che farà tutti contenti.
Che dire? La maestria costruttiva di Camilleri e la sua capacità di inventare a getto continuo situazioni divertenti e inattese sono ormai ben note, così come ben nota è la sua "umiltà" da buon artigiano, qui riconfermata dal suo porsi come semplice continuatore e "chiosatore" di un minimo episodio riferito da Sciascia. E sarebbe davvero ingiusto chiedergli di più. Il fatto è, però, che i suoi romanzi vanno infine tutti a parare sul nodo dei rapporti fra potere istituzionale e malavita in Sicilia, inserendolo in una sorta di specificità antropologica dell'isola che lo motiva e insieme lo evidenzia: un vero campo minato per un narratore, il quale deve sapere che ogni sua parola, ogni suo ammiccamento, ogni suo scherzo possono agevolmente trasformarsi in interpretazione storica e in giudizio politico. Camilleri fa di tutto per scongiurare tale eventualità. Ma è proprio sicuro di riuscirci? In un mondo di "macchiette", narrato con una lingua che è a sua volta una "macchietta", il lettore non finirà con lo smarrirsi? La macchietta vive in funzione dell'originale "serio" di cui fa la parodia. Ma se tale originale non si incontra mai, nemmeno di sfuggita, non si rischierà di dar corpo e sostanza reale alla macchietta, e quindi di buttare tutto in barzelletta, inclusi i morti ammazzati, le vessazioni, le corruttele generalizzate?
Se Camilleri fosse davvero un nuovo Brancati, potremmo stare tranquilli. Ma ho l'impressione che gli manchi, per esserlo, la sofferenza (e l'insofferenza) di cui trasuda la facciata ironica di un Don Giovanni in Sicilia o di un Bell'Antonio. Meglio Montalbano, allora, al quale il "genere" offre una potente difesa naturale e che perciò ben sopporta la confusione tra serio e faceto. Qui, invece, che Antonio Patò venga preso sul serio costituisce un rischio: un rischio che non vorremmo la letteratura dovesse correre.
stefano giovanardi
Sono tre le novità nella classifica di questa settimana. Fra i primi dieci libri più venduti arriva al terzo posto la versione supereconomica de Gli arancini di Montalbano (Mondadori), un libro di Andrea Camilleri che raccoglie una serie di racconti dedicati alle inchieste del commissario di Vigata. Per Camilleri non si tratta, ovviamente, di una novità. Il suo nome figura con assoluta continuità nelle classifiche, sia quella generale che quella della narrativa italiana. Inoltre è atteso per i prossimi giorni un nuovo romanzo dello scrittore agrigentino. Al quinto posto si piazza un'altra campionessa di best seller, Rosamunde Pilcher, della quale è appena uscito il nuovo romanzo, Solstizio d'inverno (Mondadori). Terza novità è Dicono che è risorto, un libro dello scrittore cattolico Vittorio Messori (edito da Sei) che si presenta come un'indagine sulla Resurrezione di Cristo. L'altro cambiamento in classifica riguarda il vertice, dove Il diavolo e la signorina Prym di Paulo Coelho (Bompiani), alla sua terza settimana in graduatoria, scalza dal primo posto Codice a zero di Ken Follett (Mondadori). Ricordiamo che la classfica dei libri è stata effettuata dall'Istituto Cirm esplorando sessanta librerie a rotazione, tra cui alcune del Gruppo librerie informatizzate Libris.
La Repubblica 05.11.2000
Tre morti per Montalbano . Il regista: "Un Camilleri versione Pirandello"
Il commissario Montalbano va in "Gita a Tindari", trova due inchieste su una morte e una sparizione e una pista che lo porta verso quel «piccolo e misterioso teatro greco». Domani Marina di Ragusa torna a fingersi la Vigàta di Camilleri per i nuovi episodi della serie televisiva "Il commissario Montalbano". Il set è sulla spiaggia di Puntasecca, che il regista Alberto Sironi ha fatto diventare lo sfondo di casa Montalbano. Protagonisti saranno Luca Zingaretti, il poliziotto nirbuso e squieto che comincia a invecchiare, e l’attrice tedesca Caterina Bohm, nel ruolo di Livia, la fidanzata genovese del commissario. Nei panni della conturbante svedese Ingrid ritorna Isabel Sollman mentre nell’altro episodio in programma, "Un tocco d’artista", c’è spazio per il palermitano Gigi Burruano, reduce dal successo de "I cento passi" e dalle riprese de "L’attentatuni". Per lui Sironi ha scelto il ruolo di Giacomo Lo Russo, il professore fratello della vittima, ossia l’orefice disabile che viene trovato morto, ucciso dalla sua sedia a rotelle. «Il professore diventa il principale indiziato e viene incarcerato - spiega il regista - È una parte molto bella e poi è la prima volta che Burruano fa un ruolo di intellettuale». Prodotto dalla Palomar di Carlo Degli Esposti per Raidue, i due nuovi episodi del "Commissario Montalbano" saranno girati nell’arco di dieci settimane nei paesi del Ragusano, scenario di quel percorso VigàtaMontelusa che caratterizza i romanzi di Camilleri. «Quello che mi piace di questi due racconti di Camilleri è il tema del doppio - spiega il regista che sempre con Zingaretti protagonista ha appena firmato la regia del film tv "Il furto del tesoro" - Nella "Gita a Tindari" il tema del doppio è dato da due inchieste nella stessa casa: in un condominio viene trovato il cadavere di un giovane e dallo stesso condominio si scopre che sono scomparsi due anziani coniugi. In "Tocco d’artista", invece, ci sono due fratelli: sembrano due lavori pirandelliani». Dopo quattro episodi mandati in onda e due da girare, Sironi è ormai un esperto dei gialli di Camilleri. «È uno che dimostra intelligenza in quello che racconta dice il regista Sotto l’aspetto del poliziesco Camilleri non ha inventato niente di nuovo ma ha il merito di avere creato un personaggio intelligente come Montalbano. E poi mi piacciono le atmosfere dei suoi libri. E così posso dire di essere contento di tornare a raccontare due storie di Camilleri».
m.d.c.
ecco come lo ricorda il suo amico andrea camilleri
QUEL GIORNO RUBÒ MIA MADRE
Aveva imprevedibili e fanciullesche impennate Il suo libro è un capolavoro assoluto
Credo sia un caso unico nella storia dell' editoria mondiale che la correzione delle bozze di un romanzo, del quale è autore Stefano D'Arrigo, duri quasi diciannove anni e che al termine di questa portentosa e tormentata revisione, il romanzo cambi titolo e raddoppi il numero delle pagine attraverso una tale quantità di innesti che, se lasciano sostanzialmente intatta la trama e gran parte degli episodi originari, in realtà finiscono col creare un romanzo nuovo e diverso dal primo, da esso a un tempo dipendente e indipendente. Come se due gemelli nascessero a diciannove anni di distanza l' uno dall' altro, ma il secondo venisse alla luce avendo già assorbito l' esperienza della vita vissuta dal primo. Durante questo lungo percorso ricreativo, cento pagine all' incirca avranno un altro titolo provvisorio: I giorni della fera. Così infatti Elio Vittorini titolerà due capitoli de I fatti della fera quando li stamperà, nel 1960, sul Menabò. I due capitoli saranno corredati da una nota dello stesso Vittorini e da un glossario redazionale, redatto «contro lo stesso parere dell' autore». Infatti Stefano D' Arrigo si ribellò con violenza alla richiesta di Vittorini d' approntare lui stesso un glossario, né voleva che fossero altri a farlo; lo stesso atteggiamento tenne quando gli vennero inviate le bozze del glossario perché le rivedesse (quasi che «fossi la vedova di me stesso defunto», scrive all' amico Zipelli). Quelle cento pagine pubblicate dal Menabò se da una parte mostrarono in tutta la loro interezza la straordinaria forza del linguaggio di D' Arrigo e la sua stravolgente potenza visionaria (io ne rimasi letteralmente atterrito), dall' altra, a mio parere, misero una sorta d' ipoteca sul futuro romanzo. Quando infatti, nel 1975, Mondadori pubblicò Horcynus Orca, fra i tanti che ne scrissero entusiasticamente, ci furono i molti che misero mano alla bilancia e al metro lineare. In Italia esiste una particolare categoria di critici e di recensori i quali hanno una loro precisa e ragionieristica (e stitica) opinione sulla quantità catastale entro la quale uno scrittore deve mantenersi: a parer loro, Horcynus Orca era «troppo lungo». E intonavano il lamento: «Ahi! Ahi! Se fosse rimasto dentro la misura delle duecento pagine quale capolavoro avremmo avuto!». E invece, con tutte le 1257 pagine, Horcynus Orca è un capolavoro assoluto, uno dei pochi libri della nostra letteratura del ' 900 (si contano sulle dita di una mano) destinati a durare nel tempo. Di Stefano D' Arrigo sono stato, in qualche modo, amico. Dico in qualche modo perché Stefano aveva imprevedibili e addirittura fanciullesche impennate. Quando uscì il mio secondo romanzo, Un filo di fumo (del primo ero riuscito a non fargli sapere niente), non volevo mandarglielo per una ragione semplicissima: mi sentivo intimorito dalla sua grandezza. Orazio Costa, il regista mio maestro che era un grande estimatore e amico di Stefano, glielo fece avere. Due giorni appresso Stefano volle vedermi. «Orazio mi ha dato il tuo romanzo, ma non l' ho ancora letto. C' è prima una cosa da chiarire. Il glossario. Perché ce l' hai messo?». «L' ha voluto Garzanti, l' editore». «E l' hai scritto tu?». «Sì». Io mi ero completamente scordato della sua storia con Vittorini e non capivo dove volesse andare a parare. Alla mia risposta affermativa mi guardò in un modo che non so ancora definire. E certamente non volle leggere il romanzo del quale, nei successivi incontri, non si parlò mai più. La Pasqua del 1976 la passò con sua moglie Jutta e Orazio nella mia casa in Toscana. Furono giorni felici fino al momento in cui seppe che un mio amico, che abitava a due passi, aveva un ospite, un noto pittore. S' abbuiò, proclamò con violenza che per nessuna ragione al mondo l' avrebbe incontrato, non volle più uscire da casa. Il mio amico, opportunamente avvertito, venne a farci gli auguri di Pasqua nottetempo. Parlammo a bassa voce come congiurati per non svegliare Stefano che dormiva al piano di sopra. L' episodio che ricordo con autentica commozione capitò a Messina. Avevano deciso di dargli la cittadinanza onoraria e Stefano volle che Orazio e io fossimo con lui in quell' occasione. Io mi portai appresso mia madre che poi avrebbe proseguito verso il nostro paese in provincia di Agrigento. Mia madre era avanti negli anni, un pochino sorda e certe volte non ci stava con la testa. Tra lei e Stefano nacque, a prima vista, una specie d' innamoramento, non saprei come altrimenti chiamarlo. Una mattina doveva esserci una solenne cerimonia all' Università in onore di Stefano, l' appuntamento era nella hall dell' albergo per le nove e mezzo. Scesi, non vidi mia madre, dissi al portiere di chiamarla nella sua camera. «La signora è già uscita». Mi spaventai, mamma non conosceva Messina, dove diavolo poteva essere andata? Il portiere però mi tranquillizzò. «Guardi che la signora è uscita col signor D' Arrigo». La prima persona che vidi arrivando all' Università, fu proprio mia madre. Era molto contenta, mi raccontò che Stefano l' aveva fatta svegliare presto, che l' aveva portata a vedere il porto e che poi, all' Università dove l' aspettavano i giornalisti per intervistarlo, si era fatto fotografare con lei tenendola abbracciata. Qualche tempo dopo vidi una di queste foto stampate su un giornale. La didascalia diceva: «Lo scrittore Stefano D' Arrigo con sua madre».
Da Biagi a Camilleri, da Celli alla Hack, tra i vip un coro di nostalgia per le vecchie elementari
QUANDO IL "SIGNOR MAESTRO" FACEVA LEGGERE STEINBECK
E il neuropsichiatra Bollea avverte: "Prima di rompere il vecchio modello, mettiamoci dentro programmi nuovi. Poi si vedrà" I PERSONAGGI
ROMA - Se lo ricordano tutti, il nome. Della "signora maestra". O del "signor maestro". Sarà un caso? No, ovviamente. Il nome lo sussurrano con nostalgica empatia. Lo evocano subito, e si capisce che non è un ricordo remoto da disseppellire. Il "maestro" è sempre lì, e ha segnato la tua storia. La tua carriera. La tua vita. Come le elementari, lui "non può sparire". Enzo Biagi: "Il mio si chiamava Dallari, maestro Dallari. In quinta ci faceva il cinema a scuola. Il "segno di Zorro", mi pare ancora di vederla, la zeta sui muri... Era moderno, senza rompere le scatole. Senza sbandierarlo, cioè. Ti forgiava, ti accudiva... ci ha insegnato a vivere. Io, quasi contemporaneo del conte di Cavour, resto del parere, poi, che la sintassi non sia un pregiudizio borghese. E noi l' italiano lo imparavamo. Adesso c' è Internet, benissimo. Ma davvero c' era bisogno di buttar via le elementari?". è chiaro come la pensa Biagi. "L' educazione, a quell' età, più che nozioni è esempio. è presenza. Assorbi un modello di comportamento, non un principio enunciato. Serve un maestro, insomma, non un professore. Mi ricordo quando ebbi la scarlattina. Si moriva allora di scarlattina. Il maestro mi scrisse una lettera: caro Enzo Biagi, guardando il tuo banco hai lasciato un vuoto... io facevo gli scongiuri, mio padre piangeva commosso. Nel delirio della febbre credetti che mi avesse scritto Tarquinio Prisco. Ma mi sentii in un abbraccio d' affetto che non ho scordato". Pierluigi Celli, direttore generale della Rai: "Si chiamava Dellagiovampaola, era un maestro straordinario. Io ho fatto le elementari a Verrucchio, minuscolo paese di Romagna: lui, ogni pomeriggio, ci portava a casa sua, la classe intera, per continuare la scuola. Suggeriva a ognuno un tema da approfondire. A me faceva leggere tanti libri, perfino Steinbeck, le prime traduzioni degli scrittori americani... Avevo dieci anni. Per me, figlio di muratore, era un sogno". La riforma, come la vede un supermanager? "Per piantare un albero che generi folti rami, cioè per specializzarsi con successo, servono ampie e solide radici. Una formazione di base vasta e fertile. Non sono convinto che razionalizzare il tempo sia utile sempre. Bisogna anche, in principio, saperlo perdere. Non metter fretta ai giovanissimi perché si ultraspecializzino. Perder tempo dà la possibilità di sbagliare, e a volte sbagliare, e imparare dagli errori, è redditizio. La scuola di base deve continuare a insegnare anche questo. Sperimentare, sbagliare, correggersi". "Sciascia, quando gli diedero una laurea honoris causa, commentò: grazie, ma io sono un maestro, e tale rimango. Con la "m" minuscola, specificò. Un orgoglio ben mirato", osserva Andrea Camilleri, lo scrittore che in una scuola hanno scelto come libro di testo al posto del Manzoni. "Sulla riforma non posso prender posizione, non sono preparato. Le elementari furono cruciali anche per me. Ero figlio unico di una famiglia della buona borghesia. Andai alla scuola pubblica, tra pescatori e carrettieri che mi hanno insegnato la vita. Avevo un maestro con la minuscola, il "signor maestro Vinti"... una cosa è certa: un maestro sceglie questo mestiere per una vocazione che non necessita a un professore. Il "signor maestro Vinti" era imperturbabile. E quell' imperturbabilità mi ha fatto comprendere tante cose. Si metteva al nostro livello, non ci umiliava, eppure restava un mito. Io e il mio compagno di banco facemmo un gioco: infilare quante più parole in una riga. Una calligrafia da formiche. Lui, il maestro, non ci rimproverò. Accettò la sfida e ci disse: io sarei riuscito a metterne almeno due in più. Da quel momento sapemmo che con lui si poteva dialogare". Margherita Hack, astrofisica: "Quel che trovo comunque azzeccato, nella riforma, è la riduzione di un anno dell' intero curriculum scolastico. I nostri laureati arrivano sul mercato del lavoro a 27-30 anni, più tardi dei colleghi europei. Ma il vero guaio è che ci arrivano, spesso, senza saper scrivere in italiano. Sono più informati ma più ignoranti. Comunque, io le elementari le avrei lasciate così come sono. Casomai, renderei più severi gli esami e i controlli sul rendimento individuale". "è vero, non sanno scrivere...", sospira lo scrittore Marco Lodoli, professore in un professionale romano. "E non sanno leggere, anche le cose semplici". Lui aveva la maestra Castelli, una "mamma" paziente. "Si sta facendo ancora molta teoria, molto esercizio accademico su questa riforma. La scuola quotidiana è da riempire poi con altri gesti, anche minimi ma essenziali. Che suscitino ammirazione, imitazione. Educazione". Giovanni Bollea, decano della neuropsichiatra infantile: "Facciamoli pure iniziare a cinque anni, che l' ultimo anno dell' asilo è una noia. Ma per favore non distruggiamo il ciclo elementare. Portiamolo a sei anni, invece, e poi quattro di medie e quattro di superiori. Attorno ai 10-11 anni i bambini cominciano a ragionare come i grandi, in modo deduttivo e non più solo induttivo. Lo stacco esiste e non ha senso abolirlo. I ragazzini oggi sono più svegli di vent' anni fa? Vero, ma questo aiuta a ridurre il trauma del passaggio alle medie inferiori. Un contenitore unico, per i sette anni "di base", non era urgente né auspicabile. Prima di rompere il vecchio modello, mettiamoci dentro programmi nuovi. Poi si vedrà".
la Repubblica - Venerdì, 3 novembre 2000 - pagina 48
SCRITTORI STRANIERI IN PRIMO PIANO
Nessuna novità in una classifica che è quasi fotocopia della precedente. Tutti rigorosamente stranieri, a conferma d'una crescente inclinazione dei nostri lettori per la letteratura non di casa propria. Peccato per il bellissimo libro di Giuseppe Pontiggia, «Nati due volte», che nonostante la permanenza in vetta nella tabella della narrativa italiana non riesce a sfondare nella top ten generale. Così s'assiste al paradosso che l'ultimo degli autori stranieri il francese Jacq con «Paneb» precede il primo degli italiani, Pontiggia appunto. Tra gli stranieri, primeggiano quelli d'area anglosassone, a cominciare da Ken Follett, un maestro del genere "bestseller", per chiudere con l'inglese Rowling, la mamma del fortunato Harry Potter che continua a d avere un grande seguito tra i ragazzini di tutto il mondo. Tra gli italiani, gli autori più venduti sono sempre gli stessi. Camilleri continua a spopolare con ben quattro titoli tra i primi dieci della nostra narrativa. Anche Baricco si difende, con «Oceano mare», in ottava posizione e «NovecentoÝ un monologo», sesto dei tascabili. Tra i supertascabili arriva primo De Carlo, con «Nel momento». Ricordiamo che la classifica è stata realizzata dall'Istituto Cirm, esplorando sessanta librerie a rotazione tra cui alcune del Gruppo Librerie Informatizzate Libris. La settimana di rilevazione va dal 25 al 31 ottobre ottobre.