Archivarius - Saggi a cura di/Essays by Luca Logi (llogi@dada.it)

 

Concerto obbligato ad un campanello

(Paganini-Concerto n. 2 in si min. op. 7)

di Luca Logi

 

Il filarmonico Cav. Paganini, favorito dalla Sig.ra Grisi in unione alla Sig.ra Bianchi qui di passaggio, avrà l'onore di far sentire il suo Violino con l'esecuzione di un gran concerto di tre tempi obbligato ad un campanello, di una suonata militare sulla quarta corda del violino, e delle variazioni alla Polacca.

Con questo trafiletto la Gazzetta di Firenze annunciava il 23 giugno 1826 un concerto che si doveva tenere al Teatro della Pergola il 26 giugno, e che a grande richiesta di pubblico si dovette replicare il 12 luglio. E' questa la prima notizia di una esecuzione pubblica del Concerto n. 2 in si min. op. 7 di Paganini, composto probabilmente al termine dell'anno precedente, come risulta da una lettera del dicembre 1826 all'amico e avvocato di fiducia Luigi Germi. Stranamente la stessa Gazzetta di Firenze nel recensire la serata non cita più il concerto "obbligato ad un campanello", l'attenzione del cronachista essendo interamente attirata dalla Sonata militare sulla quarta corda. Stranamente perché il brano, o con più precisione il rondò finale della campanella, doveva diventare uno dei favoriti non solo del pubblico, ma anche del suo stesso autore, che negli anni successivi lo avrebbe riproposto nei teatri di tutta l'Europa e lo avrebbe citato in numerosi fogli d'album regalati agli ammiratori. Per Franz Listz il tema della campanella sarebbe diventata una vera e propria ossessione, tanto da parafrasarlo in diverse versioni.


La musica di Paganini va presa per quello che é, e non può andare disgiunta dal vero e proprio "fenomeno Paganini" che segna una svolta nella storia della musica; e non solo a livello musicale ma anche a livello sociologico. Paganini é un violinista di capacità eccezionali e sostanzialmente non riconducibile ad alcuna scuola. I grandi violinisti italiani - Tartini, Pugnani, Locatelli, Nardini - lo precedono di una generazione e anche più; all'inizio dell'Ottocento i violinisti più importanti provengono dalla scuola francese, fondata dall'espatriato italiano Giovanni Battista Viotti, poi proseguita dal di lui allievo Jacques-Pierre Rode e dai suoi associati al Conservatorio di Parigi, Pierre-Marie Baillot e Rodolphe Kreutzer: tutti nomi tuttora importanti nella didattica violinistica, ma certo non personalità di particolare carisma; la scuola francese aveva come ideali violinistici la purezza di emissione del suono e la correttezza dello stile di esecuzione.

Dal punto di vista violinistico Paganini é un autodidatta; inviato a Parma all'età di dodici anni per studiarvi il violino con Rolla, finiva con lo studiare invece composizione perché la sua formazione violinistica era già completa e, aggiungiamo, assai personale sotto il punto di vista della posizione e della tecnica. Fin dalla prima giovinezza l'interesse di Paganini é quello di ampliare le possibilità timbriche e di effetti dello strumento: con lui entrano nel repertorio tecnico certi suoni flautati, i pizzicati della mano sinistra (che permettono al violino di sdoppiarsi timbricamente), passaggi della mano sinistra con estensioni assai faticose, ogni genere di note doppie e di accordi, composizioni sulla sola quarta corda, imitazioni ed effetti speciali.

Paganini non é solo questo, e forse non é nemmeno principalmente questo; prima e dopo di lui non sono certo mancati i virtuosi di ogni strumento: Paganini é però il primo ad organizzare la propria figura musicale in un ciclo commerciale integrato. Pur non disdegnando di eseguire musiche altrui (in particolare di Viotti, Kreutzer e Rode - con chissà quali abbellimenti ed adattamenti), si scrive un repertorio su misura; in ogni città, ogni volta preceduto da un accorto lancio pubblicitario, si esibisce in teatri gremiti, di norma raddoppiando il prezzo rispetto ai concerti ordinari (il moderno esperto di marketing vedrebbe in questa pratica una risorsa pubblicitaria aggiuntiva). Una aura demoniaca - la cui unica giustificazione sembrerebbe essere la spettrale magrezza - lo circonda e fa di lui un predecessore delle moderne rock star e degli artisti maledetti. Non bastano le cronache a raccontare i suoi concerti: poeti, disegnatori, musicisti, scrittori, memorialisti, caricaturisti, ognuno sembra voler lasciare un ricordo di Paganini. Su una cosa tutti sono d'accordo, e cioè sul fascino, sulla presa che questa figura di violinista ha su chi l'ascolti: Paganini fa piangere un cinico come Rossini e un Goethe non si perita di paragonarlo a Napoleone. Le sue estenuanti tournée battono prima l'Italia e poi l'Europa e fanno di lui il primo concertista moderno (ma i concertisti di adesso hanno ben altri mezzi di trasporto e non hanno nemmeno il disturbo di doversi scrivere da soli il repertorio).

L'altro parametro necessario ad inquadrare le composizioni di Paganini é la conoscenza dell'ambiente italiano nel quale la figura del grande virtuoso viene a formarsi. Mentre in Italia il solista strumentale, sia esso di violino od oficleide o corno da caccia, viene generalmente rispettato dalla buona società, é evidente per tutti che il centro della vita musicale é il teatro d'opera, e che i migliori compositori, tutti reduci per carità da severissimi studi di contrappunto alla maniera palestriniana, sono quelli che si dedicano alla lirica. Quando si dà un concerto, o come si diceva allora una Accademia, il programma prevede sempre un pezzo a sola orchestra di celebre autore (l'autore é sempre celebre, quasi mai viene nominato perché tanto il pezzo per orchestra serve solo da riempitivo); segue un numero imprecisato di arie, duetti, terzetti spesso tratti da opere ed eseguiti dai cantanti più in voga e qualche variazione di bravura per qualche strumentista (come si vede, programmi non molto differenti da quelli dei tre tenori di oggi). Spesso di sinfonie e concerti venivano eseguiti solo movimenti singoli per non annoiare troppo il pubblico.

Non c'é quindi da stupirsi se nei concerti del maggiore virtuoso strumentale italiano si ritrovano pari pari i tratti stilistici della musica d'opera: negli andamenti armonici, nei profili melodici, nella funzionalità essenziale della stesura dell'orchestra. Quando Paganini é in buona vena ci regala adagi da primadonna, impennate grandiose, o melodie ironiche e graffianti: si pensi al tema del Rondò della campanella, o al tema del Capriccio n.24 sul quale due secoli di compositori hanno sfornato variazioni. Quando però l'ispirazione non soccorre abbiamo tutti i difetti dell'operista italiano: formule trite, accompagnamenti banali o fragorosi, inutile diluizione del discorso musicale.


Il Concerto n.2 op.7 é il prodotto di queste circostanze e sarebbe ingeneroso evidenziarne oltremodo gli squilibri, così come non sembra condivisibile il tentativo di alcuni commentatori di trovarvi dei pregi che in effetti non vi sono. Si tratta di musica che ha uno scopo preciso: mettere in evidenza le eccezionali qualità di un solista - ed a questo scopo tutto é subordinato. Il primo tempo, Allegro Maestoso, soffre di una certa genericità nei suoi temi, che appaiono a tratti liberamente intercambiabili, e di una certa pesantezza nel trattamento dell'orchestra. Una volta ammesse queste debolezze, che comunque non devono neanche essere scusate, l'ascoltatore é libero di godersi il respiro singolare e grandioso della parte solistica; i suoi sbalzi d'umore, che alternano momenti grandiosi a espansioni liriche a scatti di velocità ferini. Similmente l'Adagio inizia con una introduzione indecisa di corni e flauto con generiche esplosioni dell'orchestra, e non é chiaro dove l'autore voglia andare a parare. Quando entra il solista però tutto si distende in una melodia dal respiro apparentemente infinito, come una scena di canto non più sottostante alle limitazioni della voce umana.

Il culmine del concerto é il Rondò finale, Andantino allegretto moderato (Paganini non é mai avaro di indicazioni ed aggettivi), detto anche La campanella per la presenza in orchestra di un campanello che dialoga con il solista. A rendere il tema indimenticabile non é però questo innocuo espediente strumentale, ma la sua carica ritmica travolgente, addirittura superiore a quella di un Rossini (si noti ad esempio la sottile asimmetria del ritmo con il quale gli archi accompagnano in pizzicato le prime battute). Gli episodi che inframmezzano il ritorno del tema vanno in un crescendo di difficoltà: nell'ultimo trio il tema é in armonici doppi (che sono di emissione sempre rischiosissima) con micidiali scale in pizzicato discendente (ogni dito della mano sinistra suona una nota e nell'alzarsi pizzica la successiva).


La storia editoriale di questo e degli altri concerti di Paganini é di un certo interesse. Paganini pubblica nel 1820 presso Ricordi a Milano i Capricci op.1, dedicandoli alli Artisti (cioè ai colleghi violinisti). Si tratta di una sorta di opera-manifesto, con la quale vuole pubblicamente dimostrare dove si può arrivare con il violino (ma, indicativamente, alcuni degli artifici tecnici più spettacolari impiegati da Paganini nelle sue esibizioni, nei Capricci non si ritrovano). Contestualmente vengono pubblicate alcune composizioni da camera di importanza minore; dopo di che, vivente l'autore, nessuna altra composizione esce per le stampe, eccezione fatta per alcuni arrangiamenti pirata ed imitazioni per i quali Paganini protesta vigorosamente. In più di una occasione Paganini ebbe ad esprimere l'intenzione di farsi editore di se stesso, ed esiste un autografo Elenco de' pezzi di musica da stamparsi nel quale é inserito il Concerto n.2, da pubblicare però per movimenti separati; mentre il rondò della campanella occupa il secondo posto della lista, gli altri movimenti sono in coda a questa sorta di piano editoriale (il che é un tacito giudizio sulla loro differente qualità musicale).

A parte questi progetti non realizzati, resta il fatto che Paganini ha sempre tentato con ogni mezzo non tanto di far conoscere i propri concerti, ma al contrario di esserne l'unico ed esclusivo interprete controllandone la circolazione con sospettosi accorgimenti al limite della mania. Il virtuoso genovese componeva i concerti in una forma di abbozzo per violino e chitarra che rimaneva sempre in sua mano e che non mostrava a nessuno (dell'incompleto Concerto n.5 e di un giovanile Concerto in mi minore senza numero queste sono le uniche copie rimasteci). Successivamente procedeva alla stesura dell'orchestra; le partiture autografe non contengono la parte del solista, ma solo l'accompagnamento: persino il copista che estraeva le parti dell'orchestra poteva essere una pericolosa spia dei concorrenti. Il gruppo delle parti staccate dell'orchestra rimaneva sempre a Paganini, che non si fidava di nessuno e curava personalmente che anche nell'intervallo fra la prova ed i concerti le parti fossero ritirate dai leggii - sempre perché nessuno potesse copiarle. Le prove si tenevano a porte rigorosamente chiuse e comunque Paganini si limitava ad accennare la sua parte, in maniera che, volta per volta, l'unica esecuzione completa fosse quella la sera del concerto (questo per rendere più difficile anche una ricostruzione a memoria).

Il Concerto n.1 ed il Concerto n.2 arrivavano così in tipografia solo parecchi anni dopo la morte dell'autore, per volontà del figlio Achille e per le stampe dell'editore parigino Schönenberger (1851). La versione che conosciamo del Concerto n.2 probabilmente non é la stesura originale, ma il risultato di una rielaborazione successiva, forse del 1838: in questa fase forse l'orchestrazione é stata ampliata, anche se tuttora é persino difficile precisare quale debba essere l'esatto l' organico orchestrale che accompagna il solista: infatti la partitura Schönenberger non riporta gli strumenti a percussione (nemmeno la campanella che dà il nome al concerto!), mentre le relative parti staccate dell'orchestra sono presenti.

La maggior parte degli autografi di Paganini - incluso quello di questo concerto - sono stati acquistati dallo stato italiano, in vista di una edizione critica nazionale e depositati alla Biblioteca Casanatense di Roma. L'edizione critica va per le lunghe e gli autografi sono consultabili solo con molta difficoltà: sotto un certo punto di vista, la musica di Paganini continua ad essere sotto stretta sorveglianza.

 

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Aggiornata al 26 Settembre 1999 - Last updated Sept.26th, 1999 - (C) Luca Logi 1999