FIORE MASSIMO
, Manuale di diritto pubblico e legislazione scolastica, Milano, Giuffré, 1996, 8°, p. XV-440, £ 48.000.Il Manuale offre una visione generale del diritto pubblico che tiene conto non solo della sua storia, ma anche, là dove è particolarmente evidente, dell'influenza esercitata dalla Chiesa : ampio spazio viene dato alla storia costituzionale. Il problema ermeneutico, inserito con le sue modalità tecniche nella realtà, disvela l'identità del giurista.
L’esame della legislazione scolastica è condotto in ordine alla disciplina costituzionale dell’istruzione e agli organi collegiali della scuola.
Scritto nel momento del travaglio politico e legislativo che stiamo vivendo dal 1993 in poi intende offrire sia la sistemazione dogmatica degl’ istituti sia, là dove è necessario, un esame della prassi che va mutando in seguito alla crisi del sistema partitocratico. Ciò è particolarmente evidente in due organi: Governo e Presidente della Repubblica. Alla base c’è la trasformazione, avvenuta in corso d’opera, dei partiti che, pressati dal nuovo sistema elettorale maggioritario, vanno, pur confusamente, cercando una nuova ragion d’essere, al momento attuale ancora invisibile (dalla IV di copertina).
PREFAZIONE
Il nostro paese è l'unico che abbia subito una controriforma senza conoscere una riforma. Un paese la cui libertà non è stata dolorosa conquista d'una rivoluzione, ma introdotta sempre con le armi d'eserciti anche stranieri.
Di qui una forma d'accomodamento costante con il potere che ha portato cittadini, che mai non hanno posseduto l'orgoglio d'esser tali, a convivere al meglio con esso, traducendo a proprio vantaggio le sue degenerazioni. L'esito è un consenso quasi generale che, toccato il "punto di catastrofe", si converte repentinamente nel suo opposto : la storia del 25 luglio lo ha insegnato, e prima quella del passaggio dal liberalismo al fascismo, ed ancora all'indietro quella degli anni prima e dopo l'Unità.
Così è stato pur oggi, i giorni che stiamo vivendo.
Con i referendum del 9 giugno 1991 e del 18 aprile 1993 è scomparsa un'interessata acquiescenza nei confronti del potere partitocratico che solo gli happy few, al di fuori della società corriva, condannavano da oltre un quarto di secolo: quella minoranza che idealmente si ricollegava a tutti gli esclusi dalla storia d'Italia che tuttavia, nel Risorgimento, prima, e nella Resistenza, poi, aveva pur potuto dare l'illusione d'un diverso peso. E che oggi più non offre nemmeno una pallida chimera.
I mass media hanno fatto ampia cassa di risonanza a tale rovesciamento metarivoluzionario: il compito di scardinare concretamente il vecchio sistema partitocratico è spettato ad uno dei poteri dello Stato, la Magistratura, con l'improvvisa applicazione della legge penale nei confronti di politici e imprenditori uniti da affari e politica.
Il linguaggio, tuttavia, ne ha immediatamente colto il senso: nell'euforia generale per questo "nuovismo", dal vocabolario dei politici e dei mass-media è svanito il lemma popolo che evoca fastidiosi ricordi di violenza rivoluzionaria, surrogato dal lemma gente - "la ggente"(sic !) - anodino e quindi in armonia con la metarivoluzione.
Da questa ansia di nuovo del biennio 1992-94 è spuntato un imprenditore dai molteplici interessi economici , nato negli anni della partitocrazia, che sotto la bandiera del liberalismo - portando a riprova di questa idea e delle sue capacità di governo la sua fortuna di duopolista in campo televisivo - in pochi mesi ha consumato una fulminea ascesa diventando prima leader d'un partito "virtuale" fondato sull'azienda, poi Presidente del Consiglio, seguita da una caduta similmente rapida dalle responsabilità di statista.
Un trasformismo del genere nella storia d'Italia non fa meraviglia.
Nondimeno una vera novità, però, questa volta da nessuno annunciata, e proprio per questa effettiva ed inattesa nella sua abnorme improvvisa crescita, è accaduta.
Dalla morte del sistema partitocratico - una specie d'oligarchia - non è scaturita una gestione del potere dal basso mediante un maggiore apporto dei cittadini, ma una sorta di minacciosa telecrazia secondo cui decide chi domina con la TV.
Il credo della società borghese - l'essere - scompare di fronte a quello della nuova società di massa - l'apparire - formata da tanti individui che ricevono passivamente, soli nella loro casa, un messaggio da un unico soggetto, legati, tra loro, soltanto dall'immagine televisiva.
Quanto questo nuovo potere telecratico possa durare oggi nessuno può dire.
In breve periodo una legge antitrust dovrebbe impedire quelle condizioni di duopolio che l'hanno fatto nascere garantendo il pluralismo nell'informazione.
In un periodo più lungo potrebbe essere contrastato da un altro fatto nuovo : la comunicazione telematica a mezzo d'Internet che rompe il circuito televisivo a senso unico dall'alto verso il basso, ponendo al suo posto una rete di circuiti comunicativi tanti quanti sono gli utenti, tutti sullo stesso piano.
Tale evento, tuttavia, agisce in una scena ancora una volta inedita: nessuno infatti, ora, potrebbe affermare se questo Cyberspazio sia il luogo dove possa sorgere la nuova agorà della democrazia, o quello invece in cui nasce una nuova aristocrazia, ché la conoscenza informatica e telematica per partecipare richiede basi economiche (hardware, software, abbonamento ad un Access Provider per connettersi ad Internet, bolletta telefonica) e culturali che sono necessariamente alla portata di pochi. A meno che non sia lo Stato a favorire l’alfabetizzazione telematica: ma oggi i pubblici poteri non dimostrano affatto tale interesse.
Per ora il mezzo televisivo domina sul messaggio politico . Basti un solo esempio dalla cronaca dei giorni in cui licenzio alla stampa queste pagine : un mutamento politico fondamentale quale un accordo tra forze che si erano fin a quel momento aspramente combattute, ora improvvisamente d’accordo per una riforma costituzionale sulla forma di Governo, è stato all’improvviso comunicato da due o tre signori apparsi in TV per dare un annuncio referenzialmente opaco sulla necessità del semipresidenzialismo. E come è nato così è morto.
In tale situazione un Manuale di diritto pubblico e legislazione scolastica potrebbe, a qualcuno, sembrare una sorta di fatica di Sisifo, ché una critica esclusivamente formale, tipica d’una stagione ormai trascorsa del diritto, potrebbe opporre che un lavoro sistematico deve intervenire quando la norma ha dietro di sé un tempo non breve.
Il rilievo, tuttavia, non vale per il giurista che crede che il diritto non è semplice irrigidimento d'un processo giunto alla sua fine che va analizzato in un laboratorio asettico, ma forma che deve immergere nell'esperienza giuridica , là dove si sporca con la realtà.
Ecco allora che l'ambiente attuale non è da fuggire in attesa di quiete: ma è quel luogo - anche se ora, sconnesso da movimenti tellurici, è molto più intricato e caotico - che deve pur sempre frequentare in futuro, pur quando è sorto il giorno e la norma sembra ben radicata nel tempo, lontana ormai dal travaglio del suo nascimento. Ne consegue, allora, che la ratio di questo Manuale è la stessa di tutti gli altri: il quadro d’una disciplina in un determinato momento storico.
Solo che, essendo state alcune parti scritte subito dopo gli eventi sia politici che giuridici, sono statisticamente possibili sia lacune che eccedenze: una seconda edizione spero possa far meglio.
Roma, febbraio 1996.
FIORE MASSIMO, Scuola e Chiesa in Italia, I, La vicenda
, G. Giappichelli Editore, 1992, 8°, p.142, £. 18.000.L’istruzione è uno dei vasti campi ideali in cui si è svolto il conflitto tra Stato e Chiesa.
Oggi i suoi effetti sembrano pur svaniti, allorché domina in Italia una volontà di "chiedere scusa" in campo storico e ideologico.
Ma la ragione del contrasto non è scomparsa, anche se ora viene dimenticata dai più: la Chiesa ritiene d’avere il diritto, secondo il Vangelo, d’insegnare la Buona Novella, in specie ai fanciulli che non debbono in alcun modo essere distolti da essa, giusta il noto passo di Matteo (19,14), mentre lo Stato riconosce nella sua Costituzione ( artt. 2, 19, 21) anche il diritto di non ascoltare alcunché .
La Chiesa rivendica un principio di diritto divino positivo su cui non potrà mai transigere, lo Stato riconosce ai suoi cittadini un diritto che è anche possibile modificare secondo le opportune procedure.
Basta che se ne conosca il costo: su quella base è nato a suo tempo lo Stato liberale e poggia ora lo Stato democratico-pluralistico.