BAMBINI JUGOSLAVI

da Repubblica online di Martedì 28 aprile 1999, a firma dell'inviato Vanna Vannuccini l'ultima prova della vera pulizia etnica in corso nei Balcani:

SURDULICA (Serbia meridionale) - Un orribile groviglio di intestini, cenci bruciati, pezzi di scalpo, di gambe, di braccia in un fetore insostenibile. Sino a mezzogiorno e un quarto di martedì 27 aprile questa era la famiglia Milic: il padre Aleksandar, la madre Stanka, due bambini, Vesna e Drasko, e la nonna. Aleksandar e Stanka avevano lavorato per vent'anni in Germania, poi erano tornati e con i risparmi si erano comprati una casa sulla via Zmaj Jovina, che era il loro orgoglio.

Alle 12.12 è suonato l'allarme. Tutta la famiglia era in casa perché il 27 aprile in Serbia è un giorno di festa: l'anniversario della fondazione della Nuova Federazione jugoslava nata sette anni fa dalla disgregazione della Jugoslavia comunista. La fabbrica di materiale isolante dove lavora Aleksandar era chiusa, e la scuola è comunque chiusa da cinque settimane, dal giorno in cui sono cominciati i bombardamenti. Stanka ha chiamato i bambini che erano a giocare per strada e tutti insieme sono andati nel "rifugio" che in realtà non è altro che una normale cantina.

Tre minuti dopo sono arrivati due aerei. Venivano da sud, dalla Macedonia. Hanno fatto una curva su Surdulica - o così almeno è parso agli abitanti della cittadina che non vedevano gli aerei, ma sentivano il loro sibilo assordante - e hanno sganciato le bombe. Alle 12.15 la casa della famiglia Milic era un cumulo di rovine schiacciate sopra i corpi dei cinque membri della famiglia. Il nonno a quell'ora stava passeggiando per la strada. Alcuni vicini l'hanno chiamato dai rifugi per invitarlo a ripararsi con loro. Ma lui ha continuato a camminare. È l' unico superstite. Nella seconda camera dell'obitorio, accanto alla famiglia Milic, c'è un'altra famiglia di sei persone. Erano vicini di casa. Di loro nessuno è rimasto vivo. Ma i giornalisti non ce la fanno a oltrepassare la prima stanza dell'obitorio e così la seconda famiglia, che non ha potuto ripararsi dalle bombe, resta almeno al riparo dalle telecamere.

All'obitorio ci sono per il momento 20 morti di cui undici bambini fra i 5 e i 12 anni. Questo è il bilancio di due case che sono state finora scavate dalle ruspe. Ma ce ne sono almeno altre tre o quattro ugualmente rase al suolo. Oltre a una ventina parzialmente distrutte, tetto sfondato, un piano che manca. In tutto sono state danneggiate trecento case e ancora una trentina di persone sono disperse. Dappertutto la scena che diventa sempre più familiare di calcinacci, vetri a pezzi, metalli aggrovigliati e una devastante costernazione. "Che cosa abbiamo fatto? Perché ci puniscono?", urla una donna. Nessuno può loro spiegare il perché, tanto la condanna venuta dal cielo sembra a tutti sproporzionata rispetto a qualsiasi delitto possano avere commesso.

Cubrine Livade era un sobborgo di Surdulica che aveva la sfortuna di trovarsi a cento metri di distanza da una grossa caserma militare situata ai piedi della collina, e a sei chilometri da un altro deposito militare.

È buio quando arriviamo a Surdulica, trecentotrenta chilometri a sud di Belgrado. È troppo tardi per andare a vedere la caserma. Miroslav Stoijlkovic, sindaco della cittadina, dice che la caserma era stata distrutta da un bombardamento il 6 aprile e che non c'era più nessuno, nemmeno la guardia e quindi nessuna ragione per bombardare. È stata colpita anche oggi, ma solo da un missile. Gli altri sei sono finiti su Cubrine Livade. La popolazione qui è assolutamente convinta che sia vero quello che sentono ripetere ogni giorno dalla tv serba - e cioè che la Nato miri a colpire unicamente obiettivi civili. "Io ero sulla collina e ho visto la scia degli aerei, ho visto come i caccia si sono piegati nel cielo proprio per colpire in pieno la nostra città", dice un abitante, Milan Jovancic. All'ospedale ci sono undici feriti due dei quali molto gravi. Surdulica è una città di 12 mila abitanti, molti dei quali sono emigrati in Germania. L' industria principale è una fabbrica di materiale isolante, e oltre alla caserma e al deposito militare ha anche un grosso serbatoio d'acqua che gli aerei hanno cercato di colpire ma hanno finora mancato.




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