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Ó Edmondo Monti
Quando il preconcetto seppellisce l'arte, ovvero Giacomo Casanova
di
Edmondo Monti
(1998)
"Extinctus amabitur idem, nihil ultra deos lacesso". Così, con le parole di Ovidio, Casanova chiude la "Storia della mia fuga dai Piombi". Ma Pietro Chiara, nellintroduzione alla "Storia della mia vita", lo descrive ingenerosamente e forse anche ingiustamente: "Casanova è un personaggio tragico, e non solo in vecchiaia. È un povero bastardo pieno dingegno che non riesce a realizzare nessuno dei suoi sogni: non lamore, non la poesia o la letteratura, non il comando, non la ricchezza e neppure il titolo ...".
Questa sua mania nei suoi scritti di autoincensarsi, di vantarsi delle proprie avventure, delle proprie imprese di ogni tipo, siano esse reali, romanzate o totalmente inventate, ha avuto leffetto di seppellire un inimmaginabile talento narrativo di un grandissimo scrittore che definirei senza paura di esagerare il padre del romanzo italiano, sotto la pesante immagine, divenuta mitica e purtroppo proverbiale, di amatore indefesso, raffinato gaudente, avventuriero, baro, profittatore, ciarlatano, imbroglione, spia. Anche se tutto ciò che ha scritto riguardo la propria vita fosse vero, la sua vita non sarebbe molto diversa, tranne che per particolari eccezionali, da quella di qualsiasi altro borghese o piccolo nobile della sua epoca con grosse disponibilità di denaro; anzi, per quanto riguarda gli amori (cosa che più dogni altra gli viene addebitata), Casanova ha realmente amato e rispettato le donne, tutte le donne, più di qualsiasi altro suo contemporaneo. Ma ciò non ci interessa, non ci può e non ci deve interessare, dobbiamo scavare le macerie di questimmagine da egli stesso creata, ma amplificata in senso negativo dallipocrisia di unepoca (lottocento) bacchettona, lugubre e censoria, che si è frapposta tra la nostra e la sua, e scoprire finalmente la grandezza e loriginalità di questo scrittore.
Giovanni Comisso a proposito della "Vita" scrive che era tempo che quellopera venisse presa in considerazione "non tanto per quello che Casanova narra, ma per come narra: per il suo stile. [...] La rapidità degli avvenimenti, il concatenarsi delluno allaltro nel continuo trapiantarsi da una città allaltra per tutta lEuropa, quasi come unanticipazione del ritmo bellico di Napoleone, danno il pregio della validità a questa narrativa. La novità dello stile è scandita dalla rapidità delle carrozze di posta e dei suoi quattro cavalli quando li aveva a disposizione. Non è uno stile da letterato sedentario e misantropo, è uno stile da esaltatore della vita, che con la sua irrequietezza sembra prevedere leuropeo futuro. Nella letteratura italiana allora mancava non solo un romanzo in prosa, ma ancora lidea di uno stile così veloce e denso di avvenimenti. Lazione si fonde al dialogo, il quale diventa azione interiore. Ogni dialogo, attraverso le varie battute, porta sempre ad una risoluzione psicologica persuasiva".
La "Storia della mia fuga dai piombi", e la "Storia della mia vita" sono sicuramente le sue opere cardine, lo stile descrittivo rapido, quasi giornalistico, dà loro una scorrevolezza veramente eccezionale. Sia le centoquaranta pagine della "Fuga" che le quattromilacinquecentoquarantacinque della "Vita" danno realmente il piacere della lettura e se, come sostiene Paul Valéry, il valore di unopera sta tanto nellautore quanto nel lettore, allora unopera che a distanza di due secoli vede costantemente in crescita la sua "fortuna", devessere davvero grande.
Ho detto poco sopra che Casanova è il padre del romanzo italiano, è vero che queste due opere, che in base a questaffermazione sono lorigine del romanzo italiano, sono state scritte in francese, ma pensate in italiano e scritte nel francese di un italiano che non è affatto padrone di quella lingua e quindi parla e scrive in francese con strutture linguistiche e termini propri dellitaliano, possiamo quindi a ragione ritenerle italiane e considerare dunque le traduzioni come riduzioni alla lingua originale.
Il suo vero capolavoro non è tanto la "Vita", sicuramente di sfrontata franchezza, di taglio originale e di grandissimo valore storico, ma un po appesantita da qualche monotonia nelle avventure amorose che si somigliano un po tutte, quanto la "Fuga".
Anche se totalmente autobiografica, la "Fuga", dove viene rivelata "una mente attenta e curiosa, una perenne avidità a conoscere luomo, negli altri come in se stesso, attraverso lesplorazione della memoria" [Pietro Bartalini Bigi], scritta dal Casanova in Boemia, da dove assisteva alla fine della millenaria Serenissima causata dallimmobilismo, dal chiudersi in se stesso, in una prigione dorata, di uno Stato ricco e molle, glorioso di glorie passate, ci ricorda qualcosa che sarà scritto più di un secolo dopo, sempre in Boemia da chi assisteva alla fine di un altro grande Stato millenario anchesso putrefatto perché impantanato nelle sabbie melmose delle paludi dellimmobilismo implosivo, e anche qui si parla della storia di un uomo arrestato e processato senza aver mai saputo di cosa fosse accusato (Casanova non lo saprà mai fino alla morte) e che cerca aiuto fuori da se stesso, soprattutto dalle donne. Cosa può accomunare la "Fuga" di Casanova e "Il processo" di Kafka? Forse queste mitiche, tragiche e lente agonie del leone alato e dellaquila bicipite possono aver generato situazioni e menti che, con le necessarie differenze dovute alle epoche diverse, sono però tanto simili? Ma allora luomo arrestato non rappresenta forse lo Stato arrestato nella sua vita millenaria, nel suo progresso, nel suo splendore decadente e decaduto? Non dimentichiamo però che la "Fuga" è storia reale, documentata. Questo non ci impedisce comunque di indagare le cause di questa somiglianza ideale, perché non dobbiamo dimenticare neanche che lo scritto è pieno di simbolismi e che quindi anche allarresto potremmo dare un significato simbolico, anche se legato ad una storia reale.
Stefan Zweig in Tre poeti della propria vita: "Casanova ha dimostrato che si può scrivere il romanzo più divertente del mondo senza essere poeta, il più completo quadro di unepoca senza essere uno storico, perché lassise suprema non chiede della via percorsa, ma giudica dagli effetti, non guarda alla moralità, ma alla forza".
Il proprio sogno, Casanova lha realizzato. "Extinctus amabitur idem, nihil ultra deos lacesso".