di Raffaele Scapellato
Nel centenario della morte di Lewis Carroll (1832-1898) scriverei qualcosa su di lui. Non che sia un esperto, ma il mio interesse per le sue opere è vivo, e mi ha portato (nel lontano 1987) a tradurre il primo dei due libri da lui dedicati all'amica-personaggio Alice, ossia Alice nel Paese delle Meraviglie (Alice's adventures in Wonderland, 1865). D'altra parte, per chi ha nostalgia del periodo pasquale, ci vorrebbe forse qualcosa sulle uova. Per tagliare la testa al toro, anzi all'uovo, parlerò di tutti e due. Ma con tutto quello che si è scritto su Carroll, non vorrei cominciare ab ovo. Non si tratterà l'Uovo Filosofale, e nemmeno dell'Uovo di Colombo, ma sarà comunque una sopresa, cioè qualcosa di nuovo.
Dal punto di vista contenutistico, l'accostamento alla lettura di Carroll, con i suoi elementi surreali, presenta due pericoli di segno opposto: da una parte, quello di banalizzare tutto, pensando a un gioco fine a se stesso, senza riferimenti alla realtà esterna; dall'altro, quello di vedere l'intera sua opera come pura allegoria, composta secondo un piano preciso.
Sul primo punto non vorrei dilungarmi troppo: nella Bibliografia [1]-[5] e nel sito di Lenny de Rooy si trovano molte interpretazioni degli scritti carrolliani. Aggiungo solo che Disney ha esagerato nel fondere in un solo film i due libri di Alice, come se fossero un qualsiasi guazzabuglio.
Per l'estremo opposto, ricorderò un aneddoto sul disegno di un personaggio (cfr. [2], pag. 233). Carroll aveva già scritto il poemetto, ora intitolato "The Carpenter and the Walrus", da inserire in Through the Looking Glass, e aveva incaricato Tenniell di illustrarlo, disegnando i due personaggi. Ma, per il Carpenter (falegname), aveva lasciato tre opzioni: Butterfly, Carpenter or Baronet. Tutte e tre erano appropriate per la metrica, e lasciò tutta la scelta a Tenniell.
Questo episodio dovrebbe invitare a qualche cautela, per esempio nell'attribuire al personaggio del Falegname un significato allegorico che Carroll non si sognava di attribuirgli. Invece, proprio come in una delle tante inversioni di Through the Looking Glass, sembra che per lui l'aspetto linguistico della metrica fosse più importante dell'aspetto fisico dei personaggi. Al contrario (credo) di quanto avviene nel mondo reale.
Tornando alle traduzioni dei testi carrolliani, una delle difficoltà maggiori è quella di rendere con una certa efficacia i giochi di parole che abbondano nell'originale. Impresa in fondo disperata, perché, come diceva Cervantes, "es come quien mira los tapices flamencos por el revés, que aunqye se veen las figuras, son llenas de hilos que las escuerecen, y no se veen con la lisura y tez de la haz". (E vedete che questo ho rinunciato a tradurlo...).
Per chi conosce Alice nel Paese delle Meraviglie (gli altri possono comprare la mia traduzione [4]) vi si trovano molti doppi sensi e vari equivoci linguistici. Le cose si complicano poi in Attaverso lo Specchio (Through the Looking Glass and what Alice found there, 1871). Qui gli equilibrismi linguistici del Nostro si fanno più audaci, e compaiono molte parole "inesistenti", formate in modo bizzarro.
Una delle tecniche di Carroll nel forgiare i suoi neologismi è quella da lui chiamata "portmanteau". All'inizio del suo viaggio oltre lo specchio, Alice trova una poesia scritta "in una lingua che non conosco". Si tratta del famoso "Jabberwocky". I caratteri sono invertiti specularmente, com'è logico aspettarsi nel mondo alla rovescia. Prova quindi a mettere il libro di fronte allo specchio e, sì, i caratteri si raddrizzano. Ma la poesia rimane incomprensibile, fitta di parole oscure. L'unica cosa che riesce a capire, riassumendo le sue impressioni, è che "qualcuno ha ucciso qualcosa".
In questo racconto, forse con più evidenza rispetto alle altre opere di Carroll, si fa sentire l'interesse per la logica formale: qui abbiamo una poesia che, pur sembrando scritta in inglese, ne conserva in realtà la sola struttura, piena com'è di parole bizzarre. Qualche spiegazione in proposito le verrà da Humpty Dumpty. Che, come si conviene a un protagonista, non compare all'inizio di quest'articolo.
Nel romanzo lo troviamo nel Capitolo VI. In una storia in cui tutto e tutti sembrano avere il loro inverso speculare, ciò che spicca è la rotondità di costui. Si tratta infatti di un uovo... Non è azzardato, come già osservato da Gardner (cfr. [2]), ritenere che esso rappresenti l'orgoglio che precede la caduta, la confusione linguistica della torre di Babele (che, nell'inversione dello specchio, diventa perfetta padronanza: Humpty Dumpty è il padrone e le parole sono suoi servitori, pagati settimanalmente, come dice lui stesso). Trovo particolarmente felice l'immagine di fragilità che si accompagna a quest'orgoglio, mentre, seduto su un muro, può cadere da un momento all'altro.
Gli episodi delle poesie parodiate sono stavolta non solo evocati (come in Alice's Adventures in Wonderland), ma realmente vissuti. Di più: nel mondo dello specchio le inversioni temporali sono frequenti: prima i fatti vengono narrati, poi accadono. Così avviene per Tweedledum e Tweedledee, per il Leone e l'Unicorno e, naturalmente, per Humpty Dumpty.
Ma veniamo al sodo. Per la lettura dell'episodio di Humpty Dumpty vorrei ora invitare davvero il lettore a procurarsi una copia del libro. Nel frattempo, io lo aspetto qui...
... Già di ritorno? Bene, siamo alla fine del Capitolo V. Alice ha comprato un uovo (tra parentesi, gliel'ha venduto la Pecora: quindi ha avuto l'ovino da un ovino), e in quel momento tutto intorno a lei sembra trasformarsi in albero. Tranne il solo uovo che, all'inizio del Capitolo VI, si trasforma nell'orgoglioso Humpty Dumpty.
Humpty Dumpty sat on a wall
Humpty Dumpty had a great fall
All the King's horses and all the King's man
Couldn't put Humpty Dumpty in his place again.
Alcuni hanno preferito rinunciare a tradurre il suo nome in italiano. Almansi [3] lo chiama Bindolo Rondolo, accennando alla rotondità (ciò è coerente con quanto si vedrà dopo). Io ho scelto una sorta di parola composta (inventata di sana pianta):
Ovorondo sedeva su un muretto
Ovorondo è cascato poveretto
Del re tutti i cavalli e tutti i fanti
Non lo ricomporranno più com'era avanti.
Ed ecco le presentazioni:
"Il mio nome è Alice, ma..."
"È un nome abbastanza stupido!" Ovorondo interruppe con impazienza. "Che cosa significa?"
"Ma un nome deve significare qualcosa?" domandò dubbiosa Alice.
"Naturalmente," Ovorondo disse con una risatina:" il mio nome significa la forma che ho... che tra l'altro è assai bella. Con un nome come il tuo, si può avere praticamente qualunque forma."
Un'altra imbarazzante inversione: i nomi propri devono avere un significato, mentre quelli comuni non ce l'hanno. Tale arbitrarietà viene dichiarata apertamente in questo passo, uno dei più citati in assoluto (ora, una volta di più):
"Quando io uso una parola," Ovorondo disse in tono piuttosto sprezzante, "significa esattamente ciò che voglio io... né più né meno."
"La questione è," disse Alice, "se lei può dare alle parole dei significati tanto diversi."
"La questione è," disse Ovorondo, "chi è il padrone... ecco tutto."
Già: la questione è chi padrone del linguaggio. Se lo sono o no, solo il lettore può giudicarlo. Ma per carità, non me lo faccia sapere! Non che mi aspetti un'ovazione, ma spero almeno di evitare il lancio di uova.
Bibliografia
[1]. A. Cammarata, I giochi di parole in Alice's Adventures in Wonderland. Traduzioni italiane a confronto. Tesi di Laurea, Univ. Palermo, 1997.
[2]. L. Carroll, The annotated Alice, (curato da Martin Gardner), Penguin Books Ltd, Middlesex, UK, 1960.
[3]. L. Carroll, Alice nel Paese delle Meraviglie, Attraverso lo Specchio, (trad. G. Almansi, R. Carano, C. Pennati, G. Pozzo), Ibiskos, Empoli (FI), 1978.
[4]. L. Carroll, Alice nel Paese delle Meraviglie, (trad. Raffaele Scapellato), Ibiskos, Empoli (FI), 1987.
[5]. J. Gattégno, Lewis Carroll, vita e arte del "doppio" di Ch. L. Dodgson, (trad. Cesare Sughi), Bompiani, 1980.