Per vivere a fondo l’atmosfera di questi bagni
per uomini, bisogna andarci al mattino presto (aprono alle sei). Visti da fuori,
ricordano un’imponente centrale termoelettrica alimentata a diesel. Si trovano
nella zona centrale della riva destra del fiume.
Quando ci si arriva all’albeggiare, si teme di
aver sbagliato indirizzo. Si entra in una sala d’attesa immersa in una luce
crepuscolare, dove c’è odore di stantio. Sulle lunghe panche stanno seduti
degli ubriaconi senzatetto che fumano sigarette. In un angolo c’è una donna
trincerata dietro una bancarella. Vende del tè aromatizzato, immagini sacre,
pantofoline da bagno di plastica, cuffie azzurre e rosa, acquavite, gel per
doccia, occhiali e riviste. Di fronte, c’è una specie di chiosco dove si
vendono caffè, birra e pane.
Sulla destra c’è il baracchino dei biglietti,
come nei circhi ambulanti. Bisogna infilare la testa in una finestrella e dire a
voce alta cosa si desidera, al che una donna anziana si avvicina strascicando i
piedi. Le si vede solo il ventre. Alla domanda se capisce l’inglese o il
tedesco, scuote il capo, segna 1000 su un foglietto e lo porge attraverso la
finestrella. Le si danno 1000 fiorini, si riceve un biglietto e una vaga
indicazione col dito che sembra dire: laggiù a destra.
Si scendono alcuni gradini di una scala. In basso
c’è un uomo anziano con i pantaloncini ingialliti. Controlla il biglietto,
consegna un perizoma di lino tutto liso e indica dietro di sé. Gli si passa
accanto e si arriva nelle catacombe, dove c’è una lunga fila di cabine di
legno dipinte di bianco. Talvolta, in lontananza, si vede un vecchio tutto nudo
che trascina i passi. Si sente un gorgoglio, un brontolio, un gemito. Le
lampadine, dalle quali emana una debole luce, ronzano. Porte che cigolano e
sbattono. Sedie che scricchiolano. Carne che batte su carne. Ci si sceglie una
cabina libera, ci si spoglia, si appendono i vestiti all’uncino, si indossa il
perizoma, si esce nel corridoio e si rimane lì senza sapere cosa fare, con le
natiche all’aria.
Ad un certo momento, si decide di uscire. Ci si
toglie il perizoma, si riceve un telo di lino, anche in questo caso da un uomo
vecchissimo, e si arriva in una specie di sala autoptica di un istituto di
medicina legale. Qui ci sono delle pancacce rugginose sulle quali sono distese
delle mummie avvolte di bianco, che rantolano e russano. Da una camera accanto
si sentono provenire gemiti e borbottii. Di
tanto in tanto, una porta si apre e si vede un massaggiatore che entra o esce.
Dopo che ci si è rilassati, si va in cerca della
cabina e si aspetta. Appare il vecchio con il passepartout e apre la cabina. Ci
si veste, si restituisce il telo di lino. Si nota un altro che se ne sta andando
e lascia una mancia. Si fa altrettanto. Appeso alla parete, accanto all’uscita,
c’è un vecchio phon. Ci si asciuga i capelli e si esce dal mondo sotterraneo,
si attraversa la sala d’attesa della stazione di guarnigione in stato di
abbandono, si arriva alla porta e si viene accolti dal sole, che sta sorgendo
proprio sopra il Danubio.
Bisogna andarci il mattino presto, perché la
composizione degli ospiti dei bagni è particolare: camerieri stanchi per la
notte insonne, pallidi perdenti e raggianti vincitori che provengono dal vicino
casinò, uomini d’affari, impiegati e operai prima dell’inizio del lavoro,
pensionati dopo una notte trascorsa senza sonno. Provengono da tutte le
direzioni e da tutti gli ambienti e si ritrovano qui, stanno immersi insieme
nell’acqua curativa, dormicchiano, sognano, si svegliano di soprassalto, si
fanno massaggiare, si abbandonano a questa beata tranquillità, fanno colazione
al chiosco: birra, pane con aringhe, uova, cipolle con sopra della maionese di
paprica, un caffè espresso. E così, rinvigoriti e carichi di fatalismo, se ne
vanno incontro alla nuova giornata che andrà storta.
A Budapest ci sono tre bagni turchi di questo tipo.
Il secondo, il Rac, attualmente è chiuso. Il terzo, il Király, è aperto
alternativamente un giorno per gli uomini e un giorno per le donne. Il posto è
un po’ più piccolo e accogliente, le temperature non sono così terribilmente
torride. Io ci sono andato una sola volta e mi sono ritrovato in mezzo al
giubileo di qualche ditta. C’era una cinquantina di uomini anziani che, in
taluni casi l’uno sopra l’altro, si trovavano nei vari lavacri e sembravano
festeggiare qualcosa. Nelle vasche più piccole e più calde sembrava
addirittura che, per mancanza di posto, i colleghi fossero infilati l’uno
nell’altro. Non sapevo dove guardare. Speravo di trovare un po’ più posto
nella stanza del vapore, e tentai di andarci. Ma lì la calca era tale che non
mi rimase altro che farmi largo senza esitazioni attraverso tutta quella pelle
viscida e scivolosa. Sgusciai così da un angolo all’altro e approdai infine
nella sauna, dove evidentemente, per la maggior parte degli ospiti, c’era un
clima troppo caldo e troppo secco. E lì, confuso e sconcertato, cominciai a
buttar fuori il sudore accanto ad un procuratore prossimo alla pensione, che
teneva lo sguardo tristemente fisso sul nostro adipe mentre il calore gli saliva
sempre più alla testa. Quando rischiò di diventare cianotico, cominciai ad
inquietarmi e, per non dover assistere alla morte di un estraneo, pensai bene di
tagliare la corda. In seguito, mi sono chiesto se forse non si era trattata di
una di quelle famigerate orge delle quali di tanto in tanto si sente parlare,
un’orgia alla quale avevo insperatamente avuto la possibilità di assistere.
Se è così, devo confessare che me l’ero immaginata un po’ diversa.
Questa è una delle particolarità di Budapest: una città piena di stabilimenti termali diversissimi l’uno dall’altro. Non è necessario visitarli tutti, ma chiunque trovi piacevole distendersi nell’acqua bollente, dovrebbe visitarne almeno i due tipi principali. Oltre ai bagni turchi, ci sono anche bagni che risalgono alla fine del penultimo secolo: alcuni in uno splendido stile liberty, con reparti medici, fontanelle di acqua curativa e offerte terapeutiche.
Traducione:
MATTIA MANTOVANI