Bobby Gualtirolo
Il donatore/Uhura 3

Uhura Message 3

1998

Adelio Camporaz adesso si sentiva molto meglio. La sua segretaria se ne era appena uscita dall'ufficio lasciando una leggera scia di profumo da sera. In questo Dana non sbagliava mai. Poteva essere un po' troppo azzardata negli accostamenti di colore, ma non confondeva mai il giorno con la notte in materia di profumi.
Camporaz stava adesso con il naso all'insù ad aspettare che il profumo svanisse lentamente. Intanto la sua mente stava già lavorando alle prossime mosse dell'azienda di cui era amministratore delegato e si compiaceva di aver trovato almeno tre o quattro soluzioni a quel dannato problema che lo aveva letteralmente massacrato negli ultimi due mesi. Lo stomaco andava molto meglio adesso e, se non sopravvenivano problemi di rigetto, avrebbe sicuramente continuato a fare il suo dovere rendendo la gastrite un lontano e cupo ricordo.
Brenno Schivierich trovava di vederci davvero bene ora. Addirittura stava cercando di fare a meno degli occhiali perché, diceva, dopo l'operazione era come se gli fosse stato donato un terzo occhio che gli permetteva di vedere nel cuore delle persone. Da un paio di settimane usciva addirittura con una donna, una vedova piacente con la quale giocava a fare il galantuomo, lui che per una vita aveva solo vissuto in funzione del lavoro in banca negandosi ogni affetto possibile. Ma, si sa, la chirurgia fa miracoli al giorno d'oggi.
Se ne accorsero anche gli studenti di Eleonora Merydianos al suo ritorno dopo la convalescenza. Sembrava aver acquistato una lingua colta ma al tempo stesso piacevolmente accattivante che risuonava nel cuore dei ragazzi instillando nelle loro orecchie e nel loro spirito l'amore per la letteratura schiudendone i tesori più segreti e preziosi. Alla fine del Liceo i ragazzi l'avrebbero eletta prof. dell'anno e anche fra i colleghi, oltre ad una comprensibile invidia, avrebbe serpeggiato tuttavia una generale soddisfazione per aver assistito ad un così radicale cambiamento in una persona di cinquant'anni cui raramente si concedono chance per una svolta vera nella vita.
Homer Venividivici aveva detto addio alla vita militare. Negli ultimi tempi prima dell'operazione non ce la faceva davvero più, tanto che furono i colleghi a consigliargli il trapianto. Passava ore ed ore sul codice militare senza venire a capo di nulla e, anzi, procurandosi emicranie e cefalee che nessun essere umano avrebbe sopportato. Ora aveva comperato un vecchio cascinale e lo stava rimettendo a nuovo. Alla fine di quelle giornate piene di lavoro, ma altrettanto piene di soddisfazioni personali, sedeva su una piccola sdraio e gustava il tramonto assaporando prima gli ultimi bagliori rossi, poi la penombra e infine la prima sera con le sue piccole luci che una alla volta si accendevano in lontananza.
Druso Wittcover vagava un po' intontito sotto la pioggia. Era in giro da un paio di giorni, o così almeno credeva. Gli accadeva regolarmente dopo ogni intervento di girare senza meta in stato leggermente confusionale. Veniva dimesso relativamente in fretta, benché l'operazione durasse dalle quattro alle sei ore, ma la cronica carenza di posti letto faceva sì che le ospedalizzazioni durassero il minimo indispensabile. In piedi alla fermata dell'autobus aveva estratto il portafogli dalla tasca del soprabito completamente zuppo di pioggia e guardava con fissità quasi ottusa il gruzzolo che anche stavolta si era guadagnato. Era una bella sommetta e si sarebbe potuto finalmente permettere una bella vacanza ai Caraibi come da tempo sognava.
Ma non era per i soldi che l'aveva fatto. Ormai questo era il terzo intervento che subiva e stavolta aveva dovuto farlo d'urgenza perché aveva molto sofferto negli ultimi tempi. Adesso si sentiva come un vecchio hardware cui avessero alleggerito la memoria trasferendola su dischetti da tre pollici e mezzo e quella sensazione di intasamento aveva lasciato il posto ad una leggerezza innocente, un po' stordente sulle prime, ma in seguito davvero appagante.
Pensava a chi sarebbero stati i beneficiari di quell'intervento. Gli sarebbe piaciuto conoscerli, ma la regola era ferrea e non permetteva a nessun donatore di conoscere l'identità dei trapiantati. Fra qualche giorno si sarebbe rassegnato definitivamente e non c'avrebbe pensato più. Non era facile rinunciare ad una parte di se stesso, non era facile donare la propria fantasia, ma lui era facilitato in ciò dal fatto di averne davvero in eccesso. Fin dai tempi della scuola elementare le sue capacità erano nettamente superiori a quelle dei suoi compagni. A quel tempo tendeva a considerare tutto ciò un vantaggio anche perché lo aiutava molto nei compiti. Poi con il passare del tempo era diventato un qualcosa difficile da gestire e aveva iniziato a procurargli dolori un po' in tutto il corpo, soprattutto alla cervicale. Addirittura qualche volta aveva avuto il serio terrore di essere risucchiato in una dimensione parallela tanto era la vividezza della sua immaginazione. Così alla fine si era deciso e si era fatto asportare un pezzo di fantasia che era stato donato a persone che, al contrario di lui, ne erano quasi del tutto sprovviste. Il problema era che ogni tanto i dolori ricominciavano e nel giro di un annetto-due la situazione era di nuovo a livelli di guardia e così doveva ricorrere nuovamente alla chirurgia. Dopo il primo intervento aveva avuto paura che la fantasia sottrattagli sotto i ferri fosse andata perduta per sempre e che sarebbe stato destinato da allora in poi ad una vita arida e grigia. Poi però si ricredette perché evidentemente c'era qualche cosa in lui (un enzima, una vitamina, un filamento di DNA?) che era in grado di rigenerare la fantasia asportata.
Certo, non era una vita facile la sua, ma almeno per un po' poteva prendersi una vacanza da se stesso e tentare di sopire, grazie ad una quotidianità indolente da turista pigro, il continuo lavorio delle sue cellule fantasiose.
Prese un taxi per l'aeroporto e, appena sceso, si fermò quasi in adorazione davanti al tabellone elettronico. Le destinazioni gli sembravano solo anonime combinazioni di lettere e numeri senza alcun richiamo esotico, senza alcuna promessa o minaccia, solo scritte bianche su fondo nero. Una grande pace si impadronì di lui. Si inginocchiò e rimase così per i successivi venti minuti.

(Bolzano, 24-25 agosto 1998)

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