Bobby Gualtirolo
Il mattino ha l'oro in bocca/Uhura 2

Uhura Message 2

1998

Quando sentì di là dalla porta le frasi di circostanza che precedono il commiato, Enrico Quinzani sentì montare la paura.
Fino a quel momento era andatao tutto bene, aveva ingannato l'attesa sfogliando distrattamente alcune vecchie riviste ammucchiate sul tavolino e aveva pazientemente atteso che l'ultimo dei clienti della giornata uscisse. Fretta non ne aveva, tanto più che naturalmente il male se n'era andato come sempre accade e il gonfiore era notevolmente diminuito, ma non voleva tornare a casa, un po' per non suscitare i rimproveri della moglie, un po' perché non gli sembrava giusto nei confronti del dentista, il suo amico d'infanzia Daniele Ravalli che gli aveva fatto il favore di riceverlo a giornata ormai conclusa.
L'infermiera se n'era andata poco dopo che lui era arrivato e adesso lì da solo con lo sguardo fisso sulla parete della sala d'attesa e l'ultima rivista aperta sulle ginocchia si sentiva a disagio come se qualcuno o qualcosa lo trattenesse da una repentina fuga, un po' come accade nei sogni paurosi.
Ma ormai la porta si era aperta e la signora stava facendo del suo meglio per mantenere una certa cordialità anche dietro il fazzoletto con cui si copriva la bocca. In compenso il sorriso del dottor Ravalli parlava anche per lei. Alto, fisico snello, sulla cinquantina, con una leggera stempiatura nei capelli biondo cenere e un paio di occhiali alla moda, pareva proprio l'opposto di Quinzani, appesantito più del dovuto e sempre in leggero disordine, a testimonianza di una vita in cui aveva deciso poco e con un po' troppo ritardo.
Il dottor Ravalli rivolse il suo sorriso verso Quinzani che, alzandosi in piedi, si avviò verso lo studio.
"Tu permetti che faccia un po' d'ordine,
vero ?"
Quinzani trasalì; non avrebbe saputo dire da quanto era entrato nello studio bianco "Oh, si certo - rispose - se vuoi posso anche aspettare fuori..."
"No, non c'è problema - rispose Ravalli che ora gli volgeva le spalle e armeggiava con alcuni dei suoi misteriosi ed inquietanti attrezzi da lavoro - accomodati pure sulla poltrona."
L'invito non gli piacque molto, ma si fece coraggio e sedette.
L'ambiente asettico intorno a lui e il tintinnio vagamente sinistro dei ferri non l'aiutava sicuramente a rilassarsi, anzi, secondo dopo secondo si concentrava sempre più sul suo diffuso senso d'ansia.
"Sbaglio o sei un po' teso?" Se ne uscì improvvisamente il dentista sempre di spalle mentre armeggiava ancora con i ferri.
"Beh, un pochino...e poi non volevo disturbarti. " Inventò lì per lì.
"Nessun disturbo, figurati. Mi ero sempre chiesto com'è che non eri mai venuto a farti dare un'occhiata in tutti questi anni." Ravalli si era voltato, sempre sorridente e con in mano uno specchietto da ispezione interna. Si avvicinò "Mm...hai una carie proprio all'interno fra un dente e l'altro. Apri un po' di più...ecco, così...Ma dico io, non potevi passare prima ? Adesso dovrò lavorare un bel po' per rimetterti a posto!"
Quinzani si irrigidì. "Aa ai i aooo..." Ravalli tolse il bastoncino e lo specchietto dalla bocca del paziente. "Sai com'è , ...il lavoro... e poi, finché non senti il male..." "Già - lo interruppe Ravalli - finché non si sente niente.. solita storia".
Ravalli reintrodusse i suoi arnesi. "Ad esempio qui ce n'è un altro paio che sicuramente non ti fanno male, ma che vanno curati al più presto."
Fece una pausa.
"A proposito di lavoro, cosa fai di così impegnativo da non poter prenderti il tempo per andare dal dentista?" chiese vagamente minaccioso Ravalli.

"Ouee iaiaio...consulente finanziario, un accidenti di lavoro, non hai orari, sempre in giro e in balia dei ghiribizzi della borsa." Aveva improvvisamente ritrovato il piglio, ma Ravalli lo smorzò con un'occhiata eloquente, poi andò al tavolo per infilarsi i monouso.
"Sarai la felicità di tua moglie immagino... A proposito, non ho mai capito con chi ti sei sposato. Non è una che conosco anche io, vero?"
Senza aspettare risposta, Ravalli aveva già infilato in bocca al paziente un tubicino che spruzzava acqua a getto continuo mentre con un ferro adunco saggiava la superficie del dente cariato. Quinzani si rizzò un paio di volte sulla sedia strozzando le piccole urla di dolore che uscivano dalla sua bocca. Durò qualche interminabile secondo, poi finì e allora rispose: "No, ci siamo conosciuti a Trieste - Ravalli gli passò un bicchiere di plastica per sciacquarsi la bocca - io ero lì per uno stage di formazione. Lei lavora in Regione. Non abbiamo figli."
Troppo tardi aveva notato che l'ultima osservazione era superflua. Ravalli sembrava non averci fatto caso; tornò con un nuovo ferro in mano:
"E la Cristina l'hai più vista?" Quinzani un po' se l'era aspettata dall'inizio della loro strana conversazione questa domanda; tentò di non darlo a vedere:
"Mah, so che fa la segretaria da non so chi..."
Ravalli gli spinse il tubicino in bocca come per zittirlo, poi riprese nuovamente ad ispezionare con cura: "Eh, la Cristina faceva un po' gola a tutti, aveva due così begli occhi..." e fece un eloquente gesto all'altezza del petto. Rideva di gusto mentre anche gli angoli alla bocca di Quinzani salivano faticosamente a mimare un improbabile sorriso dietro cui si nascondeva il beffardo pensiero "Ti sarebbe piaciuto metterci le mani, eh?"
Ravalli riprese la sua aria professionale che dopo quel sorriso sembrava un po' sinistra. "C'è un bel po' da trapanare - disse - ti dovrò dare l'anestesia. Non sei allergico, vero?" Quinzani si produsse in un esagerato "No" scuotendo la testa, Ravalli tolse il tubicino e si avviò verso la vetrina dei medicinali per tornarne subito dopo con una siringa.
Fu più il dolore dell'ago che non il resto.
"E la Sonia, l'hai più vista?" chiese Ravalli, ma non attese la risposta. "Ti ricordi di quando si infrattava nei loculi con Fabrizio?"
Ricordava, ricordava. "Il mattino ha l'oro in bocca si diceva, vero ?" disse Ravalli e fu una delle ultime cose che Quinzani udì dall'amico mentre stava scivolando sempre più velocemente nell'incoscienza.
Pensò "Mi ha fatto l'anestesia totale. Mi ha fatto l'anestesia totale". Sprofondava in un luogo buio mentre quei ricordi che non avrebbe mai voluto affiorassero andavano invece prendendo forma.

Erano in quattro a prendere ordini dal vecchio Morgue, un sinistro individuo senza fissa dimora che si diceva si fosse macchiato di orrendi crimini durante la guerra. Senza dubbio la pratica di cavare i denti d'oro ai cadaveri l'aveva imparata e perfezionata lì. Ed era ancora una pratica redditizia se era riuscito a fare breccia sui quattro amici per indurli a spogliare i resti mortali dei defunti del paese di quello che a loro sicuramente non sarebbe servito più. Morgue pagava duemila lire a dente. Lui ne ricavava almeno cinque volte tanto, ma per dei ragazzi degli anni sessanta era una bella sommetta. Potevi uscire a rimorchiare senza l'ansia di dover tener d'occhio il portafoglio e soprattutto senza chiedere niente ai genitori.
Era andata bene per alcuni mesi. In pochi si erano accorti delle manomissioni ai loculi dove riposavano i poveri resti dei cadaveri riesumati dopo dieci anni e comunque la colpa era data a non ben definiti vandali. Poco prima però che l'attività cessasse bruscamente per la morte del vecchio Morgue (era stato tirato sotto ubriaco all'uscita dall'osteria da un pirata della strada) era successa una cosa che aveva turbato già all'epoca tre dei quattro amici.
Il padre di Ravalli, morto in guerra e già loculizzato da alcuni anni si diceva avesse più oro in bocca che il caveau della cassa di risparmio. Tutto ciò naturalmente non si poteva verificare alla presenza del figlio e perciò i tre amici, fra cui Quinzani, decisero di tenerlo all'oscuro di quella delicata operazione. Dell'oro non c'era traccia e, fra la delusione e la coscienza che rimordeva i tre si curarono perfino di richiudere in maniera pressoché perfetta il loculo in maniera tale che Ravalli non se ne accorgesse.
Ora però Enrico Quinzani si apprestava a sapere che quel lavoretto non era stato così a regola d'arte come lui e gli altri credevano.
Il suo cadavere venne ritrovato una settimana più tardi privo di tutti i trentadue denti.

(1990)

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