Bobby Gualtirolo
La morte fa sciopero/Uhura 5

Uhura Message 5

2000

Un giorno qualsiasi di un certo anno la morte decise di proclamare uno sciopero ad oltranza. Ne diede pubblico annuncio, ma nessuno sembrò prenderlo sul serio.
Per un po' il mondo continuò come se niente fosse, poi cominciarono a vedersene delle belle.

Bo Nicholson aveva una calibro 45 puntata alla tempia e il boss Rosario "Bad Moon" Colaianni in persona la impugnava. Voleva dare una lezione a quei miserabili del clan rivale e far loro capire cosa si rischiava a calpestare il suo pezzo di città. Uno sparo echeggiò nell'autorimessa abbandonata. Bo Nicholson cadde faccia a terra, un foro di proiettile che lo passava da parte a parte e una pozza di sangue scuro che gli incorniciava il faccione da untuoso puttaniere qual'era. Colaianni sputò in terra in segno di spregio sfiorando l'occhio di Nicholson. Questi sbattè le palpebre infastidito dalle gocce di saliva e istintivamente si portò la mano all'occhio.
Colaianni aveva già riposto il revolver quando vide. Allora Nicholson aprì tutti i due gli occhi e si guardò intorno come per cercare di capire in quale girone infernale fosse capitato (sicuramente il peggiore, visto che continuava a trovarsi in compagnia di Colaianni & co.). Il boss inviperito sfoderò la 45 e la scaricò addosso a Nicholson, cinque bei buchi sul cappotto. Nicholson si appiattì pensando "Che sfiga, mi tocca pure di non morire subito". Sentì un gran dolore al petto e alle reni, poi i colpi finirono. E lui era ancora vivo. Sentiva il sangue che gli usciva dai fori delle pallottole, ma non era la vita che usciva come aveva sempre sentito dire, era solo del liquido denso e appiccicaticcio che sapeva di ferro. Fece per alzarsi. Colaianni e i suoi scagnozzi si ritrassero come davanti ad un demonio. Non sapendo che cosa stesse succedendo, ma intuendo che per qualche strano motivo non si riusciva ad ucciderlo, Nicholson decise istintivamente di giocare fino in fondo quella carta e si rizzò lentamente in piedi a mo' di Zombi con le braccia penzoloni lungo il corpo e lo sguardo come per dire "adesso sono tutti cazzi vostri". Colaianni e i suoi fuggirono a gambe levate gridando qualcosa in anglo-siciliano. Quando sparirono oltre la porta dell'autorimessa la risata di Nicholson echeggiò sinistra.

La veglia funebre dell'Arcivescovo Del Rio era iniziata due giorni prima quando si era sparsa la notizia delle condizioni disperate dell'alto prelato. Oltre che al suo capezzale dove si erano radunate numerose autorità ecclesiastiche ed amici, in alcune chiese gruppi spontanei di fedeli si erano passati parola per accompagnare con rosari, preci e litanie la dipartita dell'arcivescovo e, dai piccoli gruppi iniziali, si era passati alle folle che si accalcavano fino sui portoni d'ingresso. Qualcheduno proclamò ad alta voce di essere stato miracolato nel corso della veglia dal morente e sempre più consistenza prese la voce di una sua imminente beatificazione. Ci fu anche chi, dopo una settimana di veglia, dichiarò miracolo il fatto stesso che l'arcivescovo non si decidesse a lasciare questo mondo, ma la curia tutta, formata da gente di ben altra levatura, fu concorde nel ritenere che, se miracolo doveva essere, avrebbe dovuto restituire Monsignor Del Rio in salute e non mantenerlo in uno stato di prolungata agonia. Il nervosismo degli ambienti ecclesiastici cresceva di giorno in giorno, perché non era certamente bello essere costretti a tanto imbarazzo, neanche per Santa Madre Chiesa e già il Vaticano aveva mandato sul luogo una propria "Task Force" a tenere sotto controllo la situazione.
Monsignor Banal, prelato trentino da anni attivo nella diocesi di Puerto Scuerto e principale candidato alla successione di Del Rio, non si dava pace. Per anni aveva percorso in lungo e in largo i corridoi della Curia nell'attesa che si compisse la speranza di subentrare al vecchio e malandato vescovo. Aveva unto le ruote giuste, aveva già stabilito le alleanze fondamentali e si era pure presentato ai suoi fedeli con una serie di editoriali strappalacrime e nazionalpopolari per assicurarsene i favori. E adesso che cosa ti va a succedere? Come Salieri assisteva impotente al trionfo di Mozart, così lui doveva ingoiare amaro vedendo di quanta devozione fosse circondato l'arcivescovo morente. Più l'agonia si prolungava, più la figura di Del Rio avrebbe dato ombra alla sua. Lui sarebbe stato solamente sopportato, mai amato veramente dai fedeli, i quali avrebbero continuato a chiedere Grazie su Grazie mediante l'intercessione dell'arcivescovo, mentre a lui non sarebbe rimasto altro che officiare le messe in suffragio e recitare le omelie che avrebbero pian piano portato alla inevitabile beatificazione.
Era troppo anche per Banal che al decimo giorno di agonia cadde a terra nella sala da pranzo della Curia strozzato da un boccone di tacchino freddo. Paonazzo in volto si era portato le mani alla gola nel vano tentativo di espellere il bolo. Fu trasportato immediatamente all'ospedale (lo stesso dell'arcivescovo Del Rio n.d.r.) dove fu sottoposto a tracheotomia, ma le sue condizioni erano ormai disperate.
Tuttavia, fra lo stupore di tutti i luminari della scienza di ispirazione cattolica e della "Task Force" vaticana, Monsignor Banal si rifiutava a sua volta di morire e rimase paonazzo in volto ancora per diverso tempo. Fu sistemato nella stessa stanza di Monsignor Del Rio e adesso ai pochi visitatori ammessi (la torma dei fedeli stazionava giorno e notte sotto le finestre dell'ospedale oppure sull'enorme scalinata della cattedrale) si presentava l'imbarazzante spettacolo di un vecchio prelato seraficamente adagiato sul cuscino del proprio capezzale di fianco ad un altro più giovane graduato della fede, paonazzo in volto e con un espressione che ricordava certe caricature di Goya.

Nel carcere di Deepmoor in Louisiana, Benito Sakunaga stava consumando l'ultimo pasto del condannato a morte. Non c'era nessuno fuori dal carcere a fare sit-in di protesta o ad innalzare striscioni inneggianti alla giusta punizione. Semplicemente non c'era nessuno e basta. A nessuno sembrava fregare qualcosa di un povero sfigato di origine giapponese che si era trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato e che non aveva avuto permettersi un buon avvocato.
Così Benito (il padre aveva voluto questo nome in ricordo del glorioso Asse) si era rassegnato alla sua sorte e francamente non capiva l'accanimento dei carcerieri nel seguire la procedura che prevedeva la somministrazione di una dose massiccia di tranquillante prima dell'esecuzione. Lui non sarebbe scappato lo stesso. Chissà forse quella era l'unica vera occasione che avesse mai avuto in vita sua e non era certo intenzionato a perderla.
L'incaricato lesse i capi d'imputazione e la motivazione della sentenza. Dall'altra parte del vetro tre personaggi inverosimili chiamati a testimoniare sbadigliavano vistosamente. Il primo stantuffo spinse nella vena di Sakunaga il potentissimo anestetico. Poi fu la volta del liquido paralizzante. Infine scese lo stantuffo del veleno.
Il coroner entrò nell'angusta cella dell'esecuzione per certificare l'avvenuta morte. Ma il cuore di Sakunaga batteva ancora. Il direttore del carcere si consultò con il Governatore via telefono e ordinò di ripetere la procedura. Al di là del vetro un'anziana signora si era finalmente addormentata e gli altri due davano evidenti segni di insofferenza. Il coroner andò per verificare di nuovo l'avvenuta morte del condannato, ma il condannato evidentemente non ne voleva sapere, perché il suo polso batteva ancora. In effetti stava solo dormendo. Il direttore richiamò il Governatore e cercò di convincerlo di quanto era avvenuto. Dall'altra parte della cornetta arrivavano striduli gridolini femminili. Evidentemente il Governatore aveva ben altro a cui pensare che a un condannato a morte che non si riusciva a far morire. Dopo mezz'ora di conversazione telefonica nel corso della quale il direttore prima ed il coroner dopo lo misero al corrente di tutto ciò che a livello di procedura implicava questo "spiacevole inconveniente", il Governatore sentenziò : "Basta, mi sono rotto le palle! Gli do la grazia, così non se ne parla più!"

Lo sciopero non ebbe effetti immediati e simultanei in tutto l'orbe terracqueo (come si evince da questi due piccoli esempi) e quindi ci fu un periodo, come dire, di adattamento, di progressiva e inarrestabile marcia di avvicinamento all'obiettivo finale.
Così si ebbe modo di assistere meglio all'escalation di stupore e di terrore che invase il pianeta.
Vi chiederete cosa succedeva per esempio in caso di incidenti stradali per così dire "mortali". Ebbene, erano casi difficili perché bisognava prendere atto che i corpi, benchè straziati, erano a tutti gli effetti vivi e quindi, dopo alcuni giorni di degenza e nel frattempo diffondendosi la notizia dei numerosi casi di "morte interrotta", venivano dimessi dai reparti di terapia intensiva per lasciare il posto ad altri che magari si sarebbero rimessi in sesto un po' meglio e un po' prima.
Si poneva così con rinnovata forza un interrogativo morale di non poco spessore, che verteva intorno alla domanda se e quante "risorse" destinare a situazioni difficilmente rimediabili.
In compenso scattò ben presto il businness.
Non essendo morti si era a tutti gli effetti vivi, ma per molti questo era un problema, perché non si poteva certamente andare ad una importante riunione di lavoro con l'accetta che la sera prima la moglie esasperata dai troppi tradimenti aveva piantato nella testa del marito top manager.
Così anche i party, dove è buona regola che i presenzialisti non manchino, ovviamente continuavano ad essere frequentati da personaggi non propriamente nella forma più smagliante e l'imbarazzo serpeggiava.
Estetisti e chirurghi plastici godettero di un momento magico. Nel giro di poco più di un mese non ci fu uno di loro che non fosse quotato in borsa, tanto era il volume di affari prodotto.
Più delicato il caso dei notai ed avvocati, i primi improvvisamente privati dei proventi delle pratiche per la successione, i secondi invece costretti a "congelare" eventuali procedimenti (ed altrettanti sicuri introiti) nei casi di quello che veniva chiamato "omicidio", ma che adesso era tuttalpiù definito come "gravi lesioni personali".
Disperata la situazione degli addetti ai servizi cimiteriali che formarono un nuovo e nutrito drappello del già numeroso esercito dei disoccupati.
Un autentico vespaio si rivelò infine il problema sorto a proposito dei trapianti di organi. Come diagnosticare la famigerata morte cerebrale che di fatto autorizzava l'espianto? E d'altra parte, venendo a mancare il presupposto stesso del trapianto, ovvero il pericolo per la vita del paziente, come giustificare l'eventuale accanimento terapeutico?
Fu chiaro a tutti a quel punto come quello dei trapianti fosse in realtà uno dei più grossi business dell'era contemporanea. Alcune fonti non ufficiali ma attendibili rivelarono che logge massoniche implicate in prima persona nel commercio degli organi (e formate da luminari della scienza medica) erano state lacerate da spietate lotte intestine che vertevano principalmente sul calo verticale degli introiti derivanti dal traffico di pezzi di ricambio umani. Si tentò addirittura la via politica cercando in tutti i modi di far passare in parlamento una legge che rendesse possibile il trapianto anche in mancanza di seri pericoli per la vita del malato e che soprattutto scavalcasse il problema della morte come condizione necessaria per la donazione.
La "vacanza" della Nera Signora diede peraltro impulso a nuovi movimenti pseudo-filosofici di impronta "Age" (new-age, next-age, bio-age, e via dicendo) che riferirono la nuova situazione venutasi a creare come conseguenza di assetti astrali che avevano a loro volta dato vita a nuove configurazioni celesti i cui influssi avevano neutralizzato gli elementi negativi presenti nella sfera terrestre e avevano pertanto spalancato le porte al Karma universale.
I più scettici riguardo a scenari di questo tipo erano gli scienziati e gli economisti che intravedevano dietro questo fenomeno il serio rischio di entropia. Dati alla mano, nei primi sei mesi di sciopero della morte, la popolazione mondiale aveva subito un innalzamento esponenziale ed alcuni paesi avevano già pensato di correre ai ripari con una ferrea politica di controllo delle nascite per evitare crisi da sovrapopolamento. Sarebbe stato auspicabile difatti non aggiungere nuovi nati finchè non si fosse trovata una soluzione per tutti coloro la cui dipartita era stata per così dire congelata. Le previsioni a tale proposito erano apocalittiche: in due anni la popolazione dell'Asia si sarebbe triplicata, quella dell'Africa quadruplicata e l'Europa avrebbe invocato un'altra peste nera. Le risorse energetiche ed alimentari infatti erano in serio pericolo di rapido esaurimento.
Vale la pena citare a tale proposito una notizia giunta da fonti non controllabili e che, se confermata, getterebbe ben più di un'ombra inquietante sulla vera natura dell'uomo e sulle sue reali inclinazioni. Sembra infatti che ad un certo punto di tutta questa vicenda un'organizzazione para-governativa di un Paese del Sudamerica con stretti legami commerciali con un Paese europeo abbia condotto segretamente degli "esperimenti" che prevedevano le uniche due modalità possibili per aggirare il problema morte, ovvero la trasformazione della materia in questione, cioè i corpi umani, tramite processi di passaggio a stato gassoso o liquido. In poche parole lo "smaltimento" sistematico dei corpi mediante roghi o mediante potentissimi solventi. Questo trattamento si applicò anche a buona parte dei membri dell'organizzazione una volta che iniziarono a circolare strane ed incontrollate notizie che allarmarono non poco la popolazione locale. Ovviamente i grossi capi la fecero franca.

La Morte non era particolarmente arrabbiata con l'umanità. E' vero che gli altri animali avevano continuato a morire nel frattempo, ma essa non era intenzionata a punire, quanto a far riflettere l'uomo sulla propria necessità e sulla propria, per così dire, ragion d'essere. Venne quindi il momento anche per lei di dichiarare la fine dello sciopero e di restituire quello che da allora in poi sarebbe stato considerato anche come un sacrosanto diritto e non solo come una sciagurata necessità o un castigo divino.
Quello che più infastidiva Bo Nicholson era che, dopo essere stato sforacchiato da quel fetente di Colaianni, non riusciva più a gustarsi come si doveva il cibo, ed in particolare la colazione, che riteneva il pasto principale e più importante della giornata. Era come se quei dannati buchi non trattenessero il sapore delle ciambelle o dello sciroppo d'acero, così che tutto aveva un gusto dimezzato. Dalla radio quella mattina si diffondevano le note di "I sing Amore" nell'interpretazione di Nicola Arigliano. Bo aumentò la dose di sciroppo d'acero visto che non riusciva a sentire ancora quel piacevole pizzicore alla gola che un tempo lo faceva per qualche magico istante sentire ancora bimbo. Il contenitore era quasi vuoto , si alzò per prendere dell'altro sciroppo. Davanti al piano cucina cadde improvvisamente in ginocchio, pesantemente, con un rumore sordo di ossa fracassate. Adesso la vedeva la vita che gli passava davanti tutta d'un fiato, per l'ultima volta.

Monsignor Del Rio e Monsignor Banal si guardarono increduli dai rispettivi letti. Banal paonazzo e con gli occhi fuori dalle orbite tentò invano di rigettare il boccone assassino. Cadde dal letto e la botta che ricevette non lo aiutó a venire a capo della sua delicata situazione. Rantolò ancora un paio di minuti prima di morire. Monsignor Del Rio invece fu rapito da un sonno lieve. Mentre il suo corpo rimaneva nel letto d'ospedale, lui si alzò sopra la stanza di degenza e poi sopra l'ospedale e poi ancora sopra la città, sempre più in alto. Davanti alla cattedrale nulla era rimasto della folla orante. Anche chi è in odore di santità deve morire al tempo giusto.

Benito Sakunaga fumava una sigaretta alla fermata del Greyhound che l'avrebbe portato a Seattle. Non solo gli era stata accordata la grazia, ma a causa del sovraffollamento delle patrie galere e della confusione che lo sciopero della morte aveva provocato, era stato rimesso in libertà. Aveva creduto che l'esecuzione sarebbe stata la sua grande occasione e invece ecco che si trovava nuovamente alle prese con le occasioni della vita. Seattle non era un cattivo posto per ricominciare e soprattutto non era peggio di altri. Un'ambulanza poco distante era arrivata a sirene spiegate forse per soccorrere qualche homeless in coma etilico. Le parole di uno dei medici attirarono l'attenzione di Sakunaga: "Lo stiamo perdendo, non c'è più polso!". Poco distante la Morte osservava anch'essa la scena in attesa di fare la sua parte. Guardava Sakunaga e guardava l'uomo che stava morendo e guardando pensò che quel suo strambo sciopero era servito a qualcosa. Il greyhound si fermò con uno sbuffo e Benito Sakunaga salì non senza gettare un ultimo sguardo al marciapiede.

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