Uhura Message 4
2000 |
Era quanto di più inaudito mi fossi
mai potuto immaginare. Quando Bronchi mi aveva chiamato agli
Studios mai avrei pensato che ci fosse in ballo una storia simile.
Aveva la voce a metà tra l'affanno e la risata trattenuta,
segno che non poteva ridersela di gusto perché in ufficio
con lui ci doveva essere qualcuno di troppo.
Tale era l'affanno e tanto potente la risata soffocata che non
riuscii a capire chi fosse il soggetto della frase. L'oggetto
invece era più che chiaro: i Klakson citati in giudizio
per una specie di plagio.
E chi poteva prendersela con un gruppo così underground
come i Klakson?
Erano del tutto innocui e al di fuori dai grossi circuiti che
nessuno si sarebbe mai sognato di scomodare un tribunale e degli
avvocati per intentare loro una causa. E poi le loro vendite,
tutt'altro che da capogiro, non avrebbero consentito a nessuno
di cavar soldi dalle loro tasche.
Avevamo da poco terminato di registrare le ultime tracce di "I
Klakson da Picchio!", uno dei dischi epocali del gruppo,
e ci trovavamo tutti negli studi della Pussy Galore Records,
per riascoltare le magnificenze scaturite dalle sessions, durate
appena due giorni, ma come sempre ricche di idee e materiale.
Bronchi aggiunse che tutto era sotto controllo, ma che per sicurezza
avrebbe convocato il nostro amico Giò, che faceva il discografico
sul serio a Milano e ci avrebbe consigliati sul da farsi.
Quella sera, senza personaggi importuni nei dintorni, agli Studios,
fummo messi al corrente di ciò che era successo.
Marieluise Zincone era senza dubbio l'astro
nascente della musica sudtirolese. Sia ben chiaro: questo non
vuol dire assolutamente che fosse una brava musicista, o che
producesse cose di qualità.
Il fatto di essere famosi non consegue necessariamente dall'essere
bravi, di questo i Klakson erano degli esperti, ma d'altra parte
a loro di essere famosi non era ma importato un beatissimo cazzo.
Marieluise al contrario aveva deciso che sarebbe stata famosa,
convinta che se fosse stato il caso la bravura sarebbe venuta
da sé, altrimenti tanto peggio, ne avrebbe fatto a meno,
i precedenti non mancavano di certo.
Oddio, la voce c'era per la verità, ma non si trattava
sicuro di talento naturale, era una voce ben educata, frutto
di anni di lezioni, punto.
Dopo qualche anno di tirocinio come "cubista" in discoteca,
si era fatta notare a qualche karaoke e con l'aiuto di un gruppo
di musicisti bravini si era lanciata nell'avventura musicale.
Sicura di sé quanto bastava, per un certo periodo aveva
diviso il materasso con un esperto di public relations che aveva
mollato dopo breve tempo, quello necessario per impratichirsi
della materia e diventare il manager di sé stessa.
Se Marieluise Zincone non era un capolavoro dal punto di vista
artistico, lo era senza dubbio come imprenditrice e venditrice
del proprio prodotto e dopo qualche uscita in pubblico, senza
strafare, aveva inciso una prima raccolta di canzoni e si era
procurata una scrittura come deuteragonista in un film.
Sull'onda del successo del film aveva pubblicato la raccolta
di canzoni (puntualmente inserite nella colonna sonora) e aveva
cominciato a mietere un successo in culo all'altro, con apparizioni
in tv, interviste sui rotocalchi, comparsate alle feste "in"
di Bozen Town. In breve tempo le sue quotazioni erano cresciute
tanto da superare quelle dei paladini del tyrol-powerpop, quegli
Spatzenjaeger che spopolavano da anni su ambedue i versanti delle
Alpi.
Marieluise Zincone, in arte Madoja, era la star assoluta, tra
una canzone alla radio, un'apparizione al Open Air Festival di
Bozen Town (per farsi vedere vicina alle grandi masse), una particina
in una pièce teatrale (per accontentare il pubblico elitario
dell'alta borghesia) ed un paio di foto senza veli sulle pagine
di "Playknabe" aveva battuto quanto a presenze sulla
stampa locale tutti i politici, il vescovo e i serial killer.
Nessun personaggio dello spettacolo a Bozen Town e provincia
era mai riuscito a tanto, e onestamente questo merito andava
riconosciuto all'avvenente ed intraprendente Madoja.
Quando poi era stata invitata ad un importante (sempre per quel
che riguardava i soldi e le apparenze) kermesse canora che si
teneva sulla riviera ligure, era divenuta un caso nazionale.
Nonostante le vive proteste da parte di due famosi alpinisti
della zona, Madoja aveva superato in fama anche la povera mummia
dell'Oetztal, e dal punto di vista estetico questo fatto era
più che legittimo.
Quell'estate poi, il caso Madoja era definitivamente esploso
grazie al successo internazionale "Wie 'ne Jungfrau",
numero uno nelle classifiche in Osttirol, Nordtirol, Grigioni,
Belgio, Minnesota e ovviamente Sudtirolo Imperfetto.
Si era scomodato persino Pippobaldo, che dalla sua villeggiatura
a Cortina d'Ampezzo era sceso a Bozen Town per proporle uno show
sulla sua rete televisiva privata.
Per Marieluise Zincone, in arte Madoja, era il trionfo, la consacrazione
totale.
Persino un asceta del calibro di Capesius Pezzani si era fatto
sorprendere a canticchiare il refrain della canzone di Madoja
mentre si docciava al lido di Bozen Town.
Quale fosse il nesso che collegava tutto questo ad una modesta
(quanto ad ambizioni) band quale erano i Klakson ce lo spiegò
Bronchi quella sera nel silenzio degli studi della Pussy Galore
Records. Bisognava fare un passo indietro, a quando il gruppo
aveva tenuto uno degli ultimi concerti, prima del ritiro dai
palchi del cantante del gruppo che aveva deciso di lavorare solo
in studio. Si parla di quando Marieluise Zincone ballava ancora
con pochi stracci addosso sui cubi delle discoteche. A quell'epoca
i Klakson avevano già una nutrita lista di realizzazioni
all'attivo, ed in attesa di terminare il nuovo disco di studio,
avevano deciso di mettere sul mercato un live, il loro terzo.
Si era trattato di un'operazione fortunata, ai fan era piaciuto
e soprattutto era piaciuto agli stessi Klakson, che amavano crogiolarsi
riascoltando le proprie cose. Con la formazione a cinque (due
chitarre, basso, batteria e violino) avevano stupito tutti, ovviamente
anche sé stessi, ed avevano deciso di mettere quel concerto
in commercio, per dare l'opportunità di sentirlo anche
a chi non aveva avuto la fortuna di assistervi.
Aveva sicuramente rialzato le quotazioni della Pussy Galore Records
che doveva riprendersi dal flop di un disco solista del tristo
Eusebio, ed aveva creato grandi aspettative nei confronti dei
Klakson che dopo un greatest hits ed un live erano attesi alla
prova del nove con qualche nuova proposta.
E da lì scaturiva il problema che ora portava alla causa
giudiziaria intentata dalla conturbante Marieluise Zincone.
Quel disco dal vivo dei Klakson, sottotitolato "I Klakson
dal Live", su una copertina scarna con foto del gruppo tra
palmizi e percussioni, recava a caratteri cubitali il titolo:
"Madoja!"
Lo studio di registrazione fu invaso da
una risata plurima e spontanea quando Bronchi ci disse che Marieluise
Zincone aveva querelato la band per aver usato il suo nome come
titolo di un disco, accusandoci di aver voluto trarre profitto
dal suo successo.
Ora, era vero che il disco era stato recentemente ristampato
e faceva timidamente capolino nelle vetrine di qualche negozio,
ma da qui a dire che il titolo "Madoja!" fosse una
trovata per sfruttare il nome d'arte di Marieluise ne passava,
tanto più che lei, all'epoca della prima pubblicazione
era ben lungi dall'averlo adottato.
Il problema grosso era che i Klakson non avevano la disponibilità
finanziaria per rivalersi sulla cantante ed intentare un controprocesso.
Bronchi ci spiegò che tutto era più che sotto controllo,
e Giò ce lo confermò.
Si trattava solo di lasciare che Marieluise continuasse a parlare
ai giornali del "plagio" effettuato dai Klakson, e
nel frattempo terminare il missaggio del nuovo disco.
Nelle settimane che seguirono, Marieluise apparve ad un paio
di talk-show e fece parlare in proprio favore il grande Pippobaldo,
rubò la prima pagina persino al processo contro gli ex-democristiani
inquisiti per concussione.
Addirittura fece un'azione dimostrativa in Piazza Walter, bruciando
davanti alle telecamere della rete privata di Pippobaldo una
copia del disco dei Klakson.
Si fece fotografare a seno scoperto, a mo' di amazzone nell'atto
di condurre la battaglia contro il plagio, e con commozione e
clamore annunciò ai media che tra qualche mese avrebbe
dato alla luce una figlia cui avrebbe dato il nome di Medjugore
Zincone, tenendo nascosta l'identità del futuro padre,
che secondo indiscrezioni avrebbe potuto essere nientemeno che
lo stesso Pippobaldo, rinvigorito da un recente trapianto di
prostata.
Un mese dopo ci ritrovammo tutti in tribunale,
per quello che doveva annunciarsi come il processo dell'anno.
Ma con sorpresa di tutti Bronchi estrasse un incartamento ricevuto
dall'editore di un vocabolarietto tascabile di termini sudtirolesi.
Era una denuncia nei confronti della superstar del tyrol-powerpop.
L'editore rivendicava tutti i diritti sul termine madoja, che
compariva nel suddetto vocabolario e ne rivendicava il copyright
nei confronti di Marieluise Zincone.
Il giudice prendendo atto dei nuovi elementi emersi da quanto
esposto da Bronchi dichiarò tolta la seduta adducendo
che il processo avrebbe subito un cambio d'indirizzo.
L'aula fu travolta da un'ovazione.
Bronchi, Giò, i Klakson ed io scendemmo in strada a festeggiare,
giacché quella mattina era stato distribuito il nuovo
disco del gruppo, "i Klakson da Picchio!", a cui involontariamente
Marieluise Zincone aveva fornito una campagna pubblicitaria che
portò in giornata all'esaurimento della prima tiratura.
Una settimana dopo, nelle hit radiofoniche
"Don't blame me" dei Klakson superò "Wie
'ne Jungfrau" e, come se non fosse bastato, il figlio che
nacque a Marieluise alcuni mesi dopo era un maschio e non poté
essere battezzato col nome previsto dalla madre, che comunque
continuò ad avere un notevole successo nella sua nuova
attività di editrice, avendo sedotto e sposato l'editore
del vocabolarietto per non dovergli pagare i diritti sul termine
da lei adottato come nome d'arte.
Paolo Crazy Carnevale scripsit,
Bolzano 2 aprile 1998
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