Jean-Marc Esposito Torrigiani
La principessa Neurula/Uhura 4

Uhura Message 4

2000

C'era una volta in un reame in fondo al mare, una giovanissima principessa conosciuta col nome di Neurula. I suoi regali genitori abitavano un immenso palazzo che cresceva, cresceva senza sosta. Non si smetteva di costruire, di aggiungere sale, cellule, corridoi, delle corti e canali sotterranei, scale a doppia elica, per facilitare la circolazione, e anche grandi arterie di gala o viuzze che andavano ovunque. Tutto ciò perché l'attività principale e sempre più frenetica, consisteva nel preparare il palazzo all'imminente visita di un principe, "del principe", come diceva il gran ciambellano, e che egli avrebbe dato "vita e lustro" a tutto il reame; vale a dire, come dicevano con meno enfasi i vecchi domestici, "che lui sceglie tra le figlie del re quella che più gli piace per farne la sua sposa e regina". E mentre le sorelle, assecondate da una moltitudine di domestici si sforzavano di accrescere le loro probabilità ed il proprio fascino (si sentiva Morula, chiedere vestiti sempre più scollati per mettere in risalto i suoi seni prosperosi o, Blastula che, dilungandosi, spiegava che i suoi fianchi un po' forti erano una garanzia di fertilità e Gastrula, che non lasciava praticamente più i fornelli, vantarsi delle sue doti culinarie) Neurula, che era di gran lunga la più bella, la più delicata fanciulla del reame ("e la più sexy" mormoravano i rari camerieri ammessi nelle sue stanze), non sembrava assolutamente partecipare a tutti questi febbrili preparativi. Rimaneva nelle sue stanze, in cima al palazzo, mollemente adagiata a non fare nulla. O forse, e quest'ipotesi irritava di molto le sue sorelle, si preparava meglio così; cura con la pigrizia, la sua diafanità sosteneva Morula; recita la parte della "signora delle caramellaie" rognava Gastrula. Camelie, rettificava sorridendo la regina Uterula che osservava la più rigorosa neutralità, e che di solito, non faceva che passare. Anche i giorni passavano, pieni e rapidi come delle minute, o viceversa, ma che fosse per furbizia, indifferenza o per assoluta sicurezza di se stessa, Neurula lasciava le sue sorelle litigare e dimenarsi standosene là su, silenziosa e bella, ad aspettare che giunga il principe e s'innamori di lei all'istante, come nelle favole, appunto.
Finalmente un bel giorno verso mezzo giorno, il principe arrivò, preceduto da un solo domestico, un grande negro che rideva sempre, il quale, senz'altro guidato dal buon odore si diresse senza esitazione verso la sala da pranzo e presentò il suo padrone a Gastrula tutta commossa e imbrattata di sugo di pomodoro, "Sua A'tezza Ca'lo A'mando Ma'ia Azu'o Donatô di Bo'bone Béevi..." che il principe, ridendo pronuncio correttamente e per intero: "Carlo Armando Azzurro Maria Donato di Borbone Belleville" ma principescamente, permise immediatamente a Gastrula di chiamarlo Principe Bellavita o Principe Azzurro "come meglio vi aggrada" disse con la grazia e la noncuranza dei gran signori che, come noto, sono al di sopra di queste piccole miserie, e ciò detto, si accomodo a tavola mentre Gastrula turbata e incantata non seppe dire altro che "buon appetito". Il principe la ringraziò con un bel sorriso e sorvolò sul fatto che questa formula non era più di moda nell'aristocrazia e che nel suo caso era del tutto inutile. Praticamente Sua Altezza Carlo Armando ecc... non lasciò più la tavola di Gastrula dove di spuntino in stuzzichino si andava tranquillamente dalla colazione alla cena senza soluzione di continuità. Gastrula era estasiata di vedere le sue pietanze cosi apprezzate, i domestici, anche se non vedevano che il busto del principe, erano tutti concordi nel trovarlo incantevole, bello, grande e nobile. Il principe era contento di patire questa dolce violenza, opponendovi solo raramente, una resistenza di pura forma, manifestando di tanto in tanto, l'intenzione di visitare il resto del palazzo, il quale a giudicare dallo splendore della sala da pranzo, doveva senz'altro presentare un enorme interesse artistico. Gastrula, non rispondeva e si accontentava di riempirli il piatto e se il principe insisteva troppo sull'argomento dei siti ammirevoli che avrebbe amato visitare, il suo servitore negro, sempre in piedi alle sue spalle, cominciava a tossire o a bofonchiare cose incomprensibili nella sua lingua barbara, che altro non era che broccolinese o siculo-giudeo-americano da gangster, a giudicare dai discorsi che il domestico teneva al suo padrone appena rimanevano soli:
"Listen now, boy, vacci piano capito? Don't fo'get pe'ché siamo qui, righto?" "Yeah, Dick", rispondeva il principe, "lo so che è lei che conta in questa baracca ma insomma, prima di fissare le nozze potrei almeno fare un giro, no? Pare che c'è n'è un'altra con delle tette così, e un'altra ancora, tutt'in alto, bella da rincoglionire ... "
"Lo sei già rincoglionito, fulloshit testadiminchia! P'ima il mat'imonio, capisci razza di schmuck! E poi una volta sposato e p'op'ietario di tutto, chi ti impedisce, dì! cazzone! di dive'ti'ti con le tue cognate, chi? Quella dell'ultimo piano, le alt'e in basso che c'escono nel f'attempo, nice chick too la piccola Anula, wassamatta una volta che sei sposato? Righto? Don't gimme anymore questo crap della bella schiksa, Righto?" Il principe annuiva, e si addormentava beato all'idea di tutta questa felicità che lo attendeva.
Anche Neurula attendeva, tutt'in alto, ascoltando in silenzio le descrizioni entusiaste che Tirosina, la sua cameriera più fedele, le faceva del principe, bello, biondo e gentile, troppo gentile forse per sottrarsi all'assedio di Gastrula, ma come immaginare, che un uomo cosi bello potesse scegliere quella neretta grassoccia ... No, non era possibile, il principe sarebbe salito fin qui e vedendola non avrebbe esitato. Neurula, accennando un vago sorriso, faceva capire che voleva rimanere sola, tranquilla, ad aspettare; indifferente agli odori di cucina che venivano dal basso, si preoccupava solo della sua bellezza intatta, piena di una dolce voluttà che gli faceva ogni tanto tendere le braccia al soffitto e la facevano sentire come scavata dal desiderio, offerta come una bocca socchiusa. I giorni passavano come i minuti lenti e grigi che precedono a volte l'alba e anche l'aria della sua stanza pareva a volte impregnato d'untume e di rumore di vettovaglie come se tutto il palazzo sotto di lei si fosse trasformato in una immensa cucina. Passava sempre più tempo ormai, ad immaginare l'istante in cui questo corpo sconosciuto e desiderato si sarebbe chinato su di lei, con le braccia aperte, le labbra tese verso questo bacio tanto atteso; e quando la spossatezza gli faceva ripiegare le braccia e abbracciare il vuoto finiva con lo stringere il proprio corpo, e confortandosi con le proprie carezze non sapeva più se sprofondava nel letto o dentro se stessa. Quando Tirosina la informò che il fidanzamento del principe Azzurro Bellevita e di sua sorella Gastrula era stato ufficializzato così come la data delle nozze, Neurula rimase nella sua postura preferita, quasi del tutto ripiegata su se stessa, e non reagì. Ma già dall'indomani il comportamento della giovane principessa sembrò cambiare radicalmente, si rinchiuse nella sua stanza, e non ammise più nessuno da lei. Non rispondeva neanche alla sua fedele Tirosina, si rifiutava di aprire alle serve che le portavano il cibo che dovette cosi essere passato attraverso minuscole fessure, ma soprattutto dette l'impressione a chiunque avvicinava i suoi appartamenti che la pigrizia e la dolce noncuranza avessero ceduto il posto ad una attività ben più frenetica di quella che regnava negli altri piani del palazzo, dove pur non si faceva altro che preparare incessantemente le nozze della sua rivale. Ma cosa faceva Neurula? Secondo certe donne di servizio, passava il suo tempo a rimpinzarsi e dai suoi appartamenti proveniva un odore di cucina, o perlomeno che sembrava tale. "Troppo tardi" commentavano i cuochi, gli sguatteri, e tutta la servitù legata a Gastrula, "bisognava che ci pensasse prima alle virtù della buona cucina, invece di languire tutto il tempo ..." "Pensare? La mia sorellina?" Ironizzava Gastrula "Pensare stanca, fa male al colorito, fa venire le rughe ... povera piccola ... era cosi carina sapete Armanduccio?" E il principe, colto a metà tra un rutto e uno sbadiglio annuiva e le sorrideva.
Qualche tempo dopo, una giovane serva di nome Lisina, che vista la sua statura molto minuta era riuscita ad infilare la testa attraverso una delle fessure della stanza di Neurula, dichiarò a Blastula e Morula che la loro sorellina era sì un po' appesantita ma che la sua unica e costante occupazione non era la cucina ma il lavorare a maglia. "Lavorare a maglia? Wattashitfor?" Esternarono in coro le due principesse, che avevano preso la detestabile abitudine di ricevere nei loro appartamenti, il domestico del principe e stavano imparando il suo gergo, e, altre cosette altrettanto riprovevole ma molto distraenti. "Lavorare a maglia?" disse Gastrula, informata dallo stesso domestico che sempre più di frequente pranzava seduto allo stesso tavolo dei suoi padroni, "Che idea graziosa! La mia sorellina ci offre il corredino avete capito Armanduccio?". Il principe, alzò un attimo gli occhi dalla sua zuppa, indirizzò un vago sorriso ad un labile punto tra la sua fidanzata e Dick, e riprese i suoi glùglù; era ingrassato parecchio, è vero, ma quantunque ne dicesse Dick, era ancora decisamente troppo bello a confronto con quella bruttona panciuta che doveva sposare.
Ben presto però, altre indiscrezioni, concordanti e inverificabili fecero capire che semmai Neurula avesse avuto veramente l'intenzione di fare a maglia il corredino per la futura progenie della sorella rivale, ebbene lei vedeva grande, molto grande. All'ultimo piano si sentiva giorno e notte un crepitio costante di ferri da maglia, un rumore di mobili che venivano spostati, di pareti abbattute o che crollavano sotto il peso dell'eccessiva produzione maglifera di Neurula. Se, realmente, si trattava di lavoro a maglia, giacché le rare anime-buone, che ancora spiavano, non riuscivano in realtà a scorgere altro che una massa indistinta e imbrogliata di fili, di gomitoli e di nodi inestricabili. "Chemerdaper?" si chiedeva Dick, che era appena stato promosso segretario generale e che dunque curava un po' di più il suo linguaggio, "Se almeno sapessimo a cosacazzo serve, potremmo cercare di trovarle uno sbocco, nevvero?" Il principe, che non si era mai sentito così a suo agio da quando avevano trasformato la sua poltrona della sala da pranzo in seggetta, sospirò, annuì e Dick facendo spalluccia lo lasciò alla sua felicità. "Dopotutto, cosa c'è da stupirsi che la piccola sia Schmuck? Lo sono tutti in questo posto, altrimenti quando mai si sarebbero fatti raggirare da questo guitto che non sa neanche stare a tavola?" pensò Dick che come ogni "figlio di buona donna" aveva un senso molto acuto della realtà.
Qualche giorno prima delle nozze, la regina Uterula e il re Zizyllo IV, che per l'occasione aveva interrotto una importante partita di caccia nonostante l'orrore risaputo di tutti i veri gran signori (cfr. come sopra ) per i dettagli e le piccole miserie della vita, salirono fino all'ultimo piano per convincere Neurula a farla finita con la sua puerile musoneria e affinché partecipasse come di dovere alle varie cerimonie e festeggiamenti. Ma nonostante gli sforzi della numerosa scorta che li scortava non riuscirono ad oltrepassare lo spessore della massa informe di questa "cosa" che si accumulava, si arrotolava, si attorcigliava e si ammucchiava in ogni minimo angolo di tutto l'ultimo piano senza lasciare neppure un passaggio.
Il re, la regina, e la scorta, provarono tutte le strade, tutte le scale, aprirono tutte le porte e pertugi per trovarsi sempre davanti la stessa massa amorfa.
Ormai disperata, la regina si rivolse a quel garbuglio di fili: "Neurula, piccola mia, mi senti? Siamo noi il tuo babbo e la tua mamma ... cara, volevamo solo vederti ... solo un minuto ..." Non ottenne alcuna risposta. Allora il re con tono fermo ma indulgente esclamò: "Andiamo! Che modo è questo ! Rispondete almeno a vostra madre che si preoccupa per voi!" Ma non si sentiva ancora nulla ... Una giovane dama di compagnia però, affermò che sentiva, oh appena appena, una specie di gorgoglìo, no, "è una specie di rumore metallico" precisò un altro cortigiano. Con un gesto il re impose il silenzio e tutti ascoltarono. Dopo un po', si sentì il soffio asmatico del gran ciambellano, poi, il fruscio di una veste, una risatina soffocata, qualche sospiro e qualche scricchiolio del pavimento, cioè il rumore prodotto dal silenzio indifferente di tutta questa gente che ascoltava, al quale si aggiungeva un fondo sonoro lontano, appena percettibile, o differentemente percepito, che veniva da fuori, dai viali dove scalpitavano dei cavalli fantasmi, o vapore, dalle grondaie dove si riunivano dei piccioni e forse anche dai campi aldilà delle mura del palazzo dove qualcuno cantava con una voce sottile e dolce che poteva appartenere, pensò il re, ad una ragazza o ad un ragazzo, era altrettanto bella, grave, ed infinita ...
"Eh, basta!" esclamò improvvisamente il re, e dando il braccio alla regina, senza neanche degnarla di uno sguardo, uscì seguito dalla corte sollevata e rumorosa come una classe all'ora della ricreazione.

Ci volle una intera settimana prima che il rumore e la confusione delle nozze, si placassero e si depositassero, per tornare alla normale attività, alla vita quotidiana, e che gli stessi domestici e le donne di servizio, che avevano a suo tempo riferito rumori, indiscrezioni e supposizioni su quello che succedeva dalla principessa Neurula, cominciassero a diffondere le nuove nuove: non si sentiva più niente lassù, né movimenti, né scricchiolii, né crepitio di ferri, niente insomma. Una vecchia guardarobiera costretta a letto il giorno del matrimonio in uno sgabuzzino appena sotto gli appartamenti di Neurula, affermò anzi che ogni rumore era cessato nell'istante stesso in cui le ovazioni della folla avevano salutato l'apparizione della coppia principesca sulla scalinata del castello. La maggior parte dei domestici assicurò che la vecchia era sempre stata piuttosto schmuck (il Dickese aveva fatto passi da gigante nel palazzo). Ma il parrucchiere della regina, che era anche l'astrocartomante by appointment di sua graziosa maestà, dichiarò che, vero o falso, il racconto della guardarobiera era un buon segno, molto buono anche. Questo significava che l'amarezza di Neurula si era calmata, che la sua mania di fare a maglia sarebbe cessata e che presto avrebbe ripreso a condurre la vita normale di corte. In seguito pero si poté costatare che come spesso succede con i professionisti della divinazione, il parrucchiere aveva torto e ragione a metà. Appagata o sfinita, la bella Neurula aveva sì smesso di fare a maglia molto probabilmente all'epoca delle nozze della sorella, ma in un modo o nell'altro era scomparsa nello stesso momento, perché nessuno la rivide mai più nella sua vita "normale", e neanche sotto qualsiasi altra forma "anormale" di vita. Qualcuno suggerì, fra lo scherzoso e il serio, che aveva finito col fare a maglia se stessa.
Quando, qualche anno più tardi, Dick tornò in qualità di Mr. Richard Pricky, vicepresidente della Hoky Pokyliday Inc. per supervisionare l'inventario del castello, parco e dipendenze annesse che stavano per diventare il "Gran Casinò & Golf Club Princess of Sky" ebbe la curiosità o la delicata attenzione di assistere dall'inizio alla fine, allo sgombero degli appartamenti della principessa Neurula; l'unica parte del castello scampata finora alle liti tra eredi, vendite all'incanto, rigatteria o altre forme di saccheggio per cause naturali di valore nullo e non avvenuto. Si tirò fuori dagli appartamenti in questione un numero, talmente elevato di minuscoli e improbabili maglioncini che il giovane e brillante harwardiano che aveva la carica di portaborse del signor vicepresidente e che registrava ogni parola e prendeva nota di tutto, lo scrisse, in mancanza di zeri sufficienti sul suo calcolatore, sotto la forma di 10, e siccome aveva sentito tutte le frottole e chiacchiere che costituivano la famigerata leggenda di Neurula, non riuscì a non pensare che era curioso, strano anche, che lei avesse lavorato a maglia tanti di quei "cosi" quante sono le stelle censite nella nostra galassia, come se avesse voluto, chissà? Spargere il suo amore inutile, la sua bellezza e la sua femminilità sprecata in questa specie di ruota lattiginosa che ci sembra polvere e che ci rende ancora più microscopici dell'infinita perdita verso la quale era fuggita ... Ma, in quell'istante i suoi occhi incontrarono lo sguardo freddo e leggermente sprezzante di Dick ed ebbe la sensazione che il signor vicepresidente avesse "sentito" i suoi pensieri, questo assurdo slancio assolutamente fuori luogo, e farfugliò: "oh! Mi scusi Mr. Pricky, scusatemi vi prego, mi ero distratto ... ascoltando questo canto laggiù in quel campo di mais, si, laggiù Mr. Pricky ... mi chiedevo se è una donna o un uomo che canta, ecco ...". Dick rimase un istante a fissare la direzione indicata, poi si girò verso il suo assistente, lo guardò dal di sopra delle sue lenti bifocali e disse, con tono nello stesso tempo definitivo e stanco: "E' un transistor."

(1998)

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