Klaus Piger
Beckett si é fermato a Bolzano/Uhura 4

Uhura Message 4

2000

- Parliamoci chiaro.
Beckett non è arrivato oltre l'Isarco. Non è riuscito ad approdare alla vita reale, a compiere finalmente anche qui il suo lavoro di demistificatore secolare. È rimasto a contemplare, seppure da vicino, la gente di una città satellite, una città popolata da fantasmi dall'atteggiamento spavaldo, che si assomigliano come si assomigliano tanti orsi che, in mezzo a un continente dibattuto tra opulenza e paure di recessione, giocano a vivere una vita normale e produttiva. Ma normale secondo quali norme?
Nei pub parliamo di episodi di vita culturale, di progetti, di avvenimenti, di "events".
Ci dibattiamo in mezzo ai fiumi di parole scritte che i giornali giorno dopo giorno riversano su di noi. In mezzo a questi fiumi abbiamo imparato a scattare vociferando appena toccati o sfiorati non importa dove. Ma proviamo una fatica enorme se da fermi tentiamo di creare enunciazioni verbali che esprimano almeno in qualche modo il nostro stato di salute e le nostre vere aspirazioni.

Se le parole sono sbagliate, sono sbagliati i concetti, e se i concetti sono sbagliati, non possiamo compiere le azioni che vorremmo compiere.

Beckett è presente e nello stesso momento non è presente. Si aggira in incognito tra le vie, nei negozi e tra la gente dei bar in città. Si tiene alla larga soltanto dalle scuole. In nessun altro luogo del mondo, nemmeno sui giornali, si dicono tante bugie quante nelle scuole.

"Non svegliatevi, potreste provare dispiacere, o almeno non svegliatevi troppo presto, potreste ritrovarvi ancora al buio."

Una volta da giovani invocavamo l'aiuto di Pico della Mirandola, Beckett invece non aiuta, non è un genio, lui constata soltanto, si limita a dare il quadro della situazione, della situazione che non cambia.
La nostra città è tutta una grande famiglia, una famiglia unita da un grande interesse comune e dalla massima reciproca incomprensione nelle piccole cose, solida e forte come una montagna, pesante come un macigno sulle spalle di ognuno. Quelli che si portano dietro questo peso, si muovono a ginocchia piegate. Chi invece se lo scrolla di dosso si invola nei cieli in balía dei venti come un palloncino scappato dalla mano di un bambino al mercato del sabato.

"Son tute bale par i mona."

Beckett si aggira di tanto in tanto in città, ma appena si cerca di parlargli, si ritira in un certo punto fuori città. Si potrebbe andare a trovarlo, a chiedere una sua opinione sulle cose di questo mondo, sulle luci di questa città, ma nessuno sembra averne voglia.
Bolzano intanto dorme, dorme il suo sonno che presto sarà centenario, forse millenario. Dorme ad occhi aperti, è indaffarata ed irrequieta, ma non pensa a niente.
Gli altri corrono dietro ai loro sogni veri e quelli improbabili. Questa città invece crede di ottenere la realtà di tutti i suoi sogni senza far niente. Vuole solo dormire e sognare.
Dicono a tutti: "Potrete realizzare i vostri sogni". I sogni di questa città invece si realizzeranno da soli. Dorme Bolzano. Dorme la città degli orsi, degli scoiattoli e dei camaleonti, la città dei gladiatori disoccupati e delle dive mancate. I camion portano in giro il materiale dei loro sogni, materiale solido.
Questa città si fida che tutti gli eroi del duemila si uniranno in un fantastico team per combattere i nemici dei suoi sogni e per proteggere il suo sonno.

Chi si cava il sonno non si cava la fame.

Beckett, sei un bastardo, ci hai lasciati soli in mezzo a un continente opulente e indifferente. Dove ti sei rifugiato? Fatti vivo, parlaci, facci capire come continuare. Vogliamo sentirci vivi. Vogliamo partecipare.
Beckett, lo sai quante sedie elettriche si trovano a Bolzano?
Beckett, scusa se ti ho offeso, ma a furia di cercare un punto di riferimento in mezzo alle nebbie colorate dell' "anything goes" ogni tanto prendo a smaniare. Poi mi controllo, mi rimetto a smaniare, mi ricontrollo. Me la sono presa con te perché speravo in te e nei tuoi amici, come si spera in un padre, un padre spirituale che ti indichi la via.
Beckett, tu che hai capito tutto o quasi tutto, perché non riesci a capire noi?
Sarà perché facciamo parte proprio di quel "quasi"?

Non voglio finire come te o come Joyce che avevate capito tutto ma siete rimasti incompresi da tutti.
Beckett, ti prego, non fare come il tuo eroe inedito, Victor Krap. Entra in città, dichiarati, vogliamo vedere cadere a brandelli i falsi costumi della gente abituata a dire bugie sull'anima del mondo. Potrei farti vedere la stazione delle ferrovie, la statua della sottomissione di re Laurino, potremmo discutere di storia, di cultura, della gente, delle sue aspirazioni, delle sue paure, dei suoi amori.
Potresti venire con me a vedere l'arc de triomphe, come lo chiameresti tu. Vorrei proprio sentire la tua opinione in merito, lo conosci giá, ne hai sentito parlare? Conosco dei commercianti, dei professori, dei commercialisti, dei commessi e delle commesse. Sarebbe interessante vederli discutere con te. Potremmo andare al circolo della stampa per una serata doc. Vedi, il "doc" sarebbe proprio uno di quei temi sui quali ci potremmo incontrare.

Fare e disfare, è tutto un lavorare.

Chi ha parlato, chi c'è là?
Beckett, vogliamo rinascere, dopo che ci hai fatto morire di solitudine.
Beckett, detto tra di noi ­ facevi proprio sul serio?
Beckett gira e rigira la città. Non si da pace, non si sa in che speri, rimane composto e serio.

Tutto il mondo è paese.

Beckett, i tuoi occhi, abituati a mettere i più grandi difetti umani di questo secolo e di sempre sotto il microscopio, ingrandendoli fino al punto che nessuno riusciva a capirci più niente, i tuoi occhi assomigliano a quei piccoli laghi che raccolgono l'acqua gelida dei ghiacciai.
Vorrei tanto che tu riuscissi almeno a piangere su di noi, a far scorrere un poco di questa acqua limpida sulle nostre teste. Ma bisogna sentire un minimo di calore vero per poter piangere. Come quando una mano amica ci copre con una calda coperta in un momento di disperazione. Solo che qui da noi rischiamo che quella coltre rassicurante che aspettiamo arrivi come la neve bianca che cade fitta formando strati soffici, e che il nostro pianto e il tuo appena liberati gelino sotto il manto morbido e rappacificante della neve del sonno eterno.

Gente di confini, o ladri o assassini.
Fino a ieri ci potevamo accontentare di avere in te un super-testimone delle nostre disgrazie culturali. Ma col trascorrere degli anni ci accorgiamo sempre di più che queste disgrazie, i mutismi e i balbetii delle nostre opere non hanno luogo sui quaderni di poeti sciagurati, che il vuoto che ci guarda dai palcoscenici non scompare dietro il sipario o dentro i battenti dei teatri, quando torniamo a casa.
Cominciamo a renderci conto pure che i suoni e le melodie che sentiamo senza sentirci innalzati non sono solamente frutto di esperimenti musicali necessari, ma sentiamo che tutte le disgrazie possibili e immaginabili rappresentate nelle arti succedono dentro di noi, in ogni momento. Non importa se ridiamo o piangiamo, non importa se facciamo sport o guadagnamo soldi, non importa se ci sposiamo o muoriamo, non importa se parliamo tedesco o italiano o ladino o ceco o arabo. Dal momento che la coscienza di questo stato ci cresce dentro come un arbustello che si sviluppa rapidamente in una corona dalle mille ramificazioni, abbiamo bisogno di qualcosa di più di un mero testimone che ci assista nella vita a venire.

Devi deciderti a venirci in aiuto con tutti i mezzi che possiedi, devi darci man forte nella grottesca e contemporaneamente speranzosa impresa di ricostruire una città ricca ma addormentata.
Beckett, ogni tanto mi viene il dubbio che tu non ti interessi veramente a noi e ai nostri destini, e che questo sia il motivo del tuo silenzio. Ma perché poi avresti dovuto arrivare proprio fino alle porte della nostra città, per fermarti lì, senza agire, senza spiegare, senza parlare, senza ­ scrivere?

Di quel che non ti cale, non dir né bene né male.
Non posso credere che il nostro incontro finisca dove sono andati a finire i tuoi eroi. Perché tu fai parte di noi come noi facciamo parte di te e sono certo che tu o quello che hai lasciato di buono nel mondo ci verrete in aiuto. Quando la bugia dagli stivali e dai guanti dorati avrà terminato il suo corso e ognuno dovrà mettere fuori le mani nude e uno spirito asciutto volto alle prime cose tu ci sarai. Perché tu sei soprattutto un uomo onesto e dopo aver contribuito ad aprirci gli occhi sarai presente pure nel momento nel quale le nostre membra si libereranno per compiere i gesti che decideranno se questa città e questa terra saranno domani un posto dove ognuno vorrà vivere, non per fare i propri interessi, ma perché vuol vivere dove vivono degli altri riconosciuti come suoi simili.

(gennaio 1999)

  zurück