Uhura Message 4
2000 |
- Parliamoci chiaro.
Beckett non è arrivato oltre l'Isarco. Non è riuscito
ad approdare alla vita reale, a compiere finalmente anche qui
il suo lavoro di demistificatore secolare. È rimasto a
contemplare, seppure da vicino, la gente di una città
satellite, una città popolata da fantasmi dall'atteggiamento
spavaldo, che si assomigliano come si assomigliano tanti orsi
che, in mezzo a un continente dibattuto tra opulenza e paure
di recessione, giocano a vivere una vita normale e produttiva.
Ma normale secondo quali norme?
Nei pub parliamo di episodi di vita culturale, di progetti, di
avvenimenti, di "events".
Ci dibattiamo in mezzo ai fiumi di parole scritte che i giornali
giorno dopo giorno riversano su di noi. In mezzo a questi fiumi
abbiamo imparato a scattare vociferando appena toccati o sfiorati
non importa dove. Ma proviamo una fatica enorme se da fermi tentiamo
di creare enunciazioni verbali che esprimano almeno in qualche
modo il nostro stato di salute e le nostre vere aspirazioni.
Se le parole sono sbagliate, sono sbagliati
i concetti, e se i concetti sono sbagliati, non possiamo compiere
le azioni che vorremmo compiere.
Beckett è presente e nello stesso
momento non è presente. Si aggira in incognito tra le
vie, nei negozi e tra la gente dei bar in città. Si tiene
alla larga soltanto dalle scuole. In nessun altro luogo del mondo,
nemmeno sui giornali, si dicono tante bugie quante nelle scuole.
"Non svegliatevi, potreste provare
dispiacere, o almeno non svegliatevi troppo presto, potreste
ritrovarvi ancora al buio."
Una volta da giovani invocavamo l'aiuto
di Pico della Mirandola, Beckett invece non aiuta, non è
un genio, lui constata soltanto, si limita a dare il quadro della
situazione, della situazione che non cambia.
La nostra città è tutta una grande famiglia, una
famiglia unita da un grande interesse comune e dalla massima
reciproca incomprensione nelle piccole cose, solida e forte come
una montagna, pesante come un macigno sulle spalle di ognuno.
Quelli che si portano dietro questo peso, si muovono a ginocchia
piegate. Chi invece se lo scrolla di dosso si invola nei cieli
in balía dei venti come un palloncino scappato dalla mano
di un bambino al mercato del sabato.
"Son tute bale par i mona."
Beckett si aggira di tanto in tanto in
città, ma appena si cerca di parlargli, si ritira in un
certo punto fuori città. Si potrebbe andare a trovarlo,
a chiedere una sua opinione sulle cose di questo mondo, sulle
luci di questa città, ma nessuno sembra averne voglia.
Bolzano intanto dorme, dorme il suo sonno che presto sarà
centenario, forse millenario. Dorme ad occhi aperti, è
indaffarata ed irrequieta, ma non pensa a niente.
Gli altri corrono dietro ai loro sogni veri e quelli improbabili.
Questa città invece crede di ottenere la realtà
di tutti i suoi sogni senza far niente. Vuole solo dormire e
sognare.
Dicono a tutti: "Potrete realizzare i vostri sogni".
I sogni di questa città invece si realizzeranno da soli.
Dorme Bolzano. Dorme la città degli orsi, degli scoiattoli
e dei camaleonti, la città dei gladiatori disoccupati
e delle dive mancate. I camion portano in giro il materiale dei
loro sogni, materiale solido.
Questa città si fida che tutti gli eroi del duemila si
uniranno in un fantastico team per combattere i nemici dei suoi
sogni e per proteggere il suo sonno.
Chi si cava il sonno non si cava la fame.
Beckett, sei un bastardo, ci hai lasciati
soli in mezzo a un continente opulente e indifferente. Dove ti
sei rifugiato? Fatti vivo, parlaci, facci capire come continuare.
Vogliamo sentirci vivi. Vogliamo partecipare.
Beckett, lo sai quante sedie elettriche si trovano a Bolzano?
Beckett, scusa se ti ho offeso, ma a furia di cercare un punto
di riferimento in mezzo alle nebbie colorate dell' "anything
goes" ogni tanto prendo a smaniare. Poi mi controllo, mi
rimetto a smaniare, mi ricontrollo. Me la sono presa con te perché
speravo in te e nei tuoi amici, come si spera in un padre, un
padre spirituale che ti indichi la via.
Beckett, tu che hai capito tutto o quasi tutto, perché
non riesci a capire noi?
Sarà perché facciamo parte proprio di quel "quasi"?
Non voglio finire come te o come Joyce
che avevate capito tutto ma siete rimasti incompresi da tutti.
Beckett, ti prego, non fare come il tuo eroe inedito, Victor
Krap. Entra in città, dichiarati, vogliamo vedere cadere
a brandelli i falsi costumi della gente abituata a dire bugie
sull'anima del mondo. Potrei farti vedere la stazione delle ferrovie,
la statua della sottomissione di re Laurino, potremmo discutere
di storia, di cultura, della gente, delle sue aspirazioni, delle
sue paure, dei suoi amori.
Potresti venire con me a vedere l'arc de triomphe, come lo chiameresti
tu. Vorrei proprio sentire la tua opinione in merito, lo conosci
giá, ne hai sentito parlare? Conosco dei commercianti,
dei professori, dei commercialisti, dei commessi e delle commesse.
Sarebbe interessante vederli discutere con te. Potremmo andare
al circolo della stampa per una serata doc. Vedi, il "doc"
sarebbe proprio uno di quei temi sui quali ci potremmo incontrare.
Fare e disfare, è tutto un lavorare.
Chi ha parlato, chi c'è là?
Beckett, vogliamo rinascere, dopo che ci hai fatto morire di
solitudine.
Beckett, detto tra di noi facevi proprio sul serio?
Beckett gira e rigira la città. Non si da pace, non si
sa in che speri, rimane composto e serio.
Tutto il mondo è paese.
Beckett, i tuoi occhi, abituati a mettere
i più grandi difetti umani di questo secolo e di sempre
sotto il microscopio, ingrandendoli fino al punto che nessuno
riusciva a capirci più niente, i tuoi occhi assomigliano
a quei piccoli laghi che raccolgono l'acqua gelida dei ghiacciai.
Vorrei tanto che tu riuscissi almeno a piangere su di noi, a
far scorrere un poco di questa acqua limpida sulle nostre teste.
Ma bisogna sentire un minimo di calore vero per poter piangere.
Come quando una mano amica ci copre con una calda coperta in
un momento di disperazione. Solo che qui da noi rischiamo che
quella coltre rassicurante che aspettiamo arrivi come la neve
bianca che cade fitta formando strati soffici, e che il nostro
pianto e il tuo appena liberati gelino sotto il manto morbido
e rappacificante della neve del sonno eterno.
Gente di confini, o ladri o assassini.
Fino a ieri ci potevamo accontentare di avere in te un super-testimone
delle nostre disgrazie culturali. Ma col trascorrere degli anni
ci accorgiamo sempre di più che queste disgrazie, i mutismi
e i balbetii delle nostre opere non hanno luogo sui quaderni
di poeti sciagurati, che il vuoto che ci guarda dai palcoscenici
non scompare dietro il sipario o dentro i battenti dei teatri,
quando torniamo a casa.
Cominciamo a renderci conto pure che i suoni e le melodie che
sentiamo senza sentirci innalzati non sono solamente frutto di
esperimenti musicali necessari, ma sentiamo che tutte le disgrazie
possibili e immaginabili rappresentate nelle arti succedono dentro
di noi, in ogni momento. Non importa se ridiamo o piangiamo,
non importa se facciamo sport o guadagnamo soldi, non importa
se ci sposiamo o muoriamo, non importa se parliamo tedesco o
italiano o ladino o ceco o arabo. Dal momento che la coscienza
di questo stato ci cresce dentro come un arbustello che si sviluppa
rapidamente in una corona dalle mille ramificazioni, abbiamo
bisogno di qualcosa di più di un mero testimone che ci
assista nella vita a venire.
Devi deciderti a venirci in aiuto con
tutti i mezzi che possiedi, devi darci man forte nella grottesca
e contemporaneamente speranzosa impresa di ricostruire una città
ricca ma addormentata.
Beckett, ogni tanto mi viene il dubbio che tu non ti interessi
veramente a noi e ai nostri destini, e che questo sia il motivo
del tuo silenzio. Ma perché poi avresti dovuto arrivare
proprio fino alle porte della nostra città, per fermarti
lì, senza agire, senza spiegare, senza parlare, senza
scrivere?
Di quel che non ti cale, non dir né
bene né male.
Non posso credere che il nostro incontro finisca dove sono andati
a finire i tuoi eroi. Perché tu fai parte di noi come
noi facciamo parte di te e sono certo che tu o quello che hai
lasciato di buono nel mondo ci verrete in aiuto. Quando la bugia
dagli stivali e dai guanti dorati avrà terminato il suo
corso e ognuno dovrà mettere fuori le mani nude e uno
spirito asciutto volto alle prime cose tu ci sarai. Perché
tu sei soprattutto un uomo onesto e dopo aver contribuito ad
aprirci gli occhi sarai presente pure nel momento nel quale le
nostre membra si libereranno per compiere i gesti che decideranno
se questa città e questa terra saranno domani un posto
dove ognuno vorrà vivere, non per fare i propri interessi,
ma perché vuol vivere dove vivono degli altri riconosciuti
come suoi simili.
(gennaio 1999)
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