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sboom!
con maddalena crippa
teatro della pergola 


Buono spettacolo a conti fatti, questo Sboom! con Maddalena Crippa, per la regia di Cristina Pezzoli. One girl show con orchestra, alla ricerca musical letteraria dei beneamati anni Sessanta. La musica è il vero filo, la colla che lega insieme le parti di un qualcosa che non è concerto, recital e tantomeno piece. Ma viaggio nelle memorie ingiallite, mai troppo compulsate. Dagli echi del boom a quelli delle bombe: i Sessanta si aprono all’insegna della "vita agra" evocata da Tenco, e si chiudono nel cratere di Piazza Fontana. C’è molta vita, e tanta perfettibilità in Sboom!, per ammissione della stessa Maddalena Crippa. Che balla, canta e recita Testori, talvolta non azzeccando alla perfezione le note, talvolta mettendo troppa enfasi. Ma con volontà apprezzabile, con capacità di raccordo e sorpresa. Non cerchiamo la storia, tra le pieghe. Né quella collettiva, né quella individuale. Se è di spigolature che si ha bisogno, qui se ne troveranno di già viste, o di troppo banali. Cerchiamo la profondità, il racconto culturale. Riconosciamo che alcune maniere di cantare quegli anni formidabili furono forse più formidabili di quella stessa temperie. Vince il neorealismo meneghino di Enzo Jannacci, così preso tra volti del passato e modernità emergente, tra il Naviglio e la fabbrica. Vincenzina, più che La religione del mio tempo dell’usato Pasolini, o della libertà dell'amico Gaber. E la folgorante visione del mondo di Luigi Tenco, che fu il primo ad intravedere il doloroso punto di contatto tra l’artista della canzone e il sempre più preponderante mercato del disco. Il primo a dire "è meglio bruciare, che svanire", a non voler morire a stento. Punti di vista più o meno inediti per far quagliare il quadro di un paese in forte cambiamento, che in un tempo rapido come mai dovette fare i conti con una mutazione impressionante. Dai carri nei campi, agli aerei nel cielo. La forbice non si è ancora ricomposta, nella riflessione degli storici. C'erano meno aranciata, meno tintarella di luna e più inquietudine di quanto ci abbiano mai fatto credere, negli anni Sessanta. Quel velo, che separa a tratti la Crippa dalla sua orchestra, è un diaframma della conoscenza ancora da svelare. Chissà se quelli che non ci sono più mai potranno farlo.




Riccardo Ventrella