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Prefazione

 

 

Così come non esistono esseri umani perfetti parimenti non esistono nazioni perfette. Sarebbe del resto assai strano che la somma di una lunga serie di imperfezioni desse come risultato la perfezione. Gli uomini sbagliano, le nazioni sbagliano e le leggi razziali del fascismo sono, con ogni probabilità, ascrivibili a questa categoria.

La storia, del resto, ci insegna che un errore è spesso peggior cosa che non un delitto. Nello specifico occorre riconoscere che le leggi razziali del fascismo hanno colpito una comunità che, nel panorama europeo di allora, era fra le più integrate e che, anche in considerazione della sua esigua consistenza numerica rappresentava un ben piccolo problema. Certo, lo status socio-economico rispecchiava quello conseguito e detenuto dalle comu- nità maggiori residenti, ad esempio, in Germania o in Francia e, politicamente, era in gran parte schierata con gli avversari del regime, anche se alcuni suoi membri avevano aderito al fascismo fin dai primordi. Ma, in ogni caso, la pochezza numerica (circa l’1‰ della popolazione), la diffusa laicità, l’adesione di massima agli ideali risorgimentali e nazionali ed i molti matrimoni misti avrebbero dovuto consigliare un atteggiamento quantomeno più ponderato e prudente.

Se giudichiamo poi dette norme in funzione dei risultati conseguiti non possiamo negare che – anche se perdere la guerra ed il potere non era certo nelle intenzioni né nelle previsioni dei legislatori del 1938 – hanno prodotto una serie di guasti di gran lunga peggiori del male che volevano curare. L’esclusione, sia pure per pochi anni, dalla compagine nazionale ha sortito l’effetto, presumibilmente latente da sempre, di cancellare alcuni secoli di convivenza, talvolta difficile, spesso pacifica e di radicalizzare a tal punto i comportamenti di questa comunità che neppure l’abolizione di dette norme ha potuto ricondurla (nell’intimo non all’apparenza) nell’alveo nazionale.

Il suo atteggiamento, se pur comprensibile nell’immediatezza dei fatti, ha assunto, con il passare degli anni e con la nascita dello Stato d’Israele in particolare, connotazioni così preoccupanti da far sorgere il dubbio sulla necessità, oggi, di leggi che, un tempo, necessarie non erano.

Di fronte poi alle scuse che, oggi più di ieri, a dispetto del tempo trascorso, in una sorta di parossismo cronologicamente inversamente proporzionale, la comunità ebraica esige dai più svariati settori della società e che le vengono porte con estrema riverenza da chiunque rivesta un incarico appena superiore a quello di vigile urbano non possiamo non essere perplessi.

Gli eventuali errori commessi in altre epoche non possono e non debbono trasformarsi in un’arma di ricatto, tantomeno di un ricatto permanente. La nostra, poi, è una ben strana nazione che ha volutamente focalizzato la sua memoria storica esclusivamente su questo episodio e che per tutto il resto, sia per quanto riguarda la gratitudine (negata) a chi per lei ha combattuto o il de-siderio di fare giustizia nei confronti di chi l’ha tradita o ha mutilato i suoi confini, abitanti compresi,  pare invece aver sposato la tesi partenopea del chi ha avuto, ha avuto…

Non siamo del resto a conoscenza di periodiche scuse presentate a cadenze regolari dai democratici governanti statunitensi ai nativi nordamericani e non crediamo che l’ipotetico bisnipote del generale Custer per concorrere alle presidenziali dovrebbe invocare il perdono della progenie di Toro Seduto o di Cavallo Pazzo. Non ci risulta che Elisabetta II abbia impiegato molto o poco del suo regale tempo in periodiche e soteriche genuflessioni nei confronti delle vittime del colonialismo inglese – altro che discriminazione – o che il re di Norvegia si sia ciclicamente o anche una tantum scusato per le razzie dei vichinghi.

Pur essendo disposti a mettere in dubbio quanto meno l’opportunità delle leggi razziali del 1938 resta comunque il fatto che ogni nazione è, o dovrebbe essere, libera di decidere se ammettere al pieno godimento dei diritti civili e politici popolazioni allogene, sia pur integrate e residenti da molto, anche moltissimo tempo, senza per questo dover implorare il perdono di chicchessia.

 

 

 

 

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