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Prefazione

 

 

Nella prima metà degli anni sessanta ebbi modo di leggere la Storia del terzo Reich di Shirer. Fu una lettura, per me, importante, ma conflittuale, dibattuto com'ero fra l'interesse per l'argomento trattato ed il manicheismo dilettantistico con cui l'autore lo avviliva. Una frase, in particolare, destò in me un interesse profondo e una curiosità rimasta, per molti anni, inappagata.

"Ci è rimasto il suo eloquente rapporto ufficiale, dattiloscritto, di settantacinque pagine su elegante carta a mano pesante, con numerose illustrazioni e rilegato in cuoio".

Quando, poco tempo orsono e per un caso fortuito, sono entrato in possesso di una copia del rapporto, il ricordo di quella lettura giovanile era ancora vivo. Spero mi venga perdonata questa, per fortuna breve, digressione autobiografica, ma utile a comprendere almeno uno dei motivi che mi hanno indotto a pubblicare il rapporto Stroop.

Alcuni amici, messi a conoscenza di questa mia intenzione, non hanno esitato a palesarmi le loro perplessità. La principale obiezione verteva sul suo dubbio valore revisionistico. Personalmente ritengo che il rapporto, nella sua brutale sincerità, sia documento emblematico e di estremo interesse storico, in generale, e ricco di spunti revisionistici, in particolare.

Il testo è redatto in tono tronfio, talvolta sgradevole, l'autore utilizza un linguaggio burocratico nel quale i più logori stereotipi del nazionalsocialismo si fondono e si confondono con un malcelato carrierismo che gli faceva intravedere nella Großaktion l'occasione da non perdere. In effetti questa, nel bene e nel male, condizionerà la vita di Stroop. Decorazioni e promozioni prima, processi, condanne ed esecuzione poi. Per quanto possa oggi, dopo tanta profusione di veleni ed una attività mediatica ottimamente concertata, apparire quantomeno strano, l'operato di Stroop non si distaccò, nel caso specifico, dalle norme internazionali sulla guerra e dagli articoli del codice penale militare di guerra tedesco, varato nel 1871 e, all'epoca dei fatti, ancora in vigore.

Gli accordi dell'Aia, nel riconoscere una lunga serie di diritti alle popolazioni occupate e ai soldati sconfitti o comunque prigionieri, ne concedevano alcuni anche alle truppe d'occupazione. Non essere attaccati alle spalle, da chi indossa abiti civili o, addirittura la divisa portata dagli stessi militari destinati ad essere colpiti, rientra, evidentemente, fra i diritti dell'occupante e le sue reazioni sono pertanto autorizzate e legittime. Abbandoniamo, per un attimo, la vulgata olocaustica che prevede una sorta di autolesionismo bellico da parte dei comandi tedeschi tesi, unicamente, a conseguire i loro fini razziali, e proviamo a chiederci quali siano state le motivazioni alla base dello sgombero, definitivo, del ghetto di Varsavia nella primavera del 1943.

Dopo la caduta di Stalingrado, e la conseguente resa della VIª armata di Paulus, il fronte orientale era caduto in una crisi profonda che solo nuove unità e consistenti rifornimenti potevano, quantomeno, arginare. In una situazione di questo genere era fondamentale, per i tedeschi, che le retrovie, anche le più remote dal fronte, godessero di una totale sicurezza. A maggior ragione un nodo ferroviario, strategicamente e politicamente importante, come Varsavia. 

Non vi è nulla di strano, o di razzista, in queste banali considerazioni militari, di facile comprensione. La durezza di Stroop, inorpellata dai toni retorici e da una sorta di captatio benevolentiae, anche linguistica, nei confronti dei superiori, è dovuta e, forse esasperata, da queste motivazioni.

Se da un palazzo si sparava sui suoi soldati per Stroop tutti gli abitanti dello stabile erano, ipso facto, Banditen. La loro appartenenza razziale, pur rivestendo per l'alto ufficiale della SS una indiscussa rilevanza, era secondaria, una sorta di aggravante, ma non la motivazione principale. I molti ebrei fucilati sono stati uccisi, è importante ripeterlo, in quanto Banditen e non perché Juden. Si può criticare il concetto, decisamente estensivo, applicato da Stroop, ed anche alcuni suoi metodi, ma non il suo buon diritto, inteso in senso generale, di agire contro chi minacciava la sicurezza dello Stato che aveva giurato di difendere. 

Per quanto attiene alla sfera più propriamente revisionistica il rapporto offre il destro alla messa a punto di alcuni problemi storici e, a mio avviso, di uno….morale.

Il primo, quello relativo al mito dell'insurrezione del ghetto di Varsavia, è stato magistralmente trattato, sulla scorta del Rapporto, ed in netta antitesi con l'aura che lo circonda, dal prof. Faurisson in due scritti riportati in appendice al volume. 
La gloriosa rivolta cantata dalla pluri premiata ditta Poliakov- Hilberg &C. è stata, nella realtà, poco più di una scaramuccia, un rastrellamento di vaste proporzioni, cosa ben diversa per ardimento, partecipazione di popolo e volontà di lotta dall'insurrezione di Varsavia, quella vera, quella del 1944 per intenderci.

Il secondo problema verte sul linguaggio. Gli storici di regime, in difetto di documenti che potessero suffragare le loro affermazioni, dopo essersi a lungo alambiccati il cervello, confortati in questi sforzi unicamente dalla loro piaggeria, hanno elaborato la teoria del linguaggio criptico, quella sorta di codice per addetti ai lavori, attribuito alle gerarchie nazionalsocialiste, che permette loro di interpretare, nel modo più confacente alle loro necessità, quanto indicato in atti, discorsi e documenti in genere. Quante volte ci hanno spiegato, con l'accondiscendenza supponente tipica dell'iniziato, che i nazisti erano talmente ipocriti e vigliacchi da non aver avuto neppure il coraggio di chiamare le cose con il loro nome? Quante volte hanno asserito che noi tutti dobbiamo alle loro ricerche e alla loro acutezza la scoperta del reale significato di espressioni quali Soluzione Finale od Operazione Speciale? Il rapporto Stroop ci aiuta a risolvere questo problema. 
I vocaboli da lui usati riescono comprensibili anche a noi e senza l'altrui interessata mediazione. Liquidieren, Vernichten, Erschißen sono verbi duri, umanamente inquietanti, ma di facile comprensione e per nulla criptici. 

Rimane il problema….morale, quello della negazione, dell'assassinio della memoria secondo l'espressione resa famosa da un noto cattedratico francese. Vidal-Naquet e i suoi degni discepoli considerano i revisionisti spregevoli eredi del nazismo che, per non vedere la luce della verità che da questi storici e dalle loro opere emana, chiudono gli occhi e, come bimbi colti in flagrante, negano. Negano l'olocausto, negano l'esistenza dei lager, negano l'esistenza di leggi razziali e di una situazione pregiudizievole per gli ebrei nell'Europa del tempo. La realtà è profondamente diversa. I revisionisti non negano, non uccidono la memoria né seppelliscono la testa nella pieghe della storia. Sono consci delle sofferenze patite dagli ebrei in Germania e nell'Europa occupata dalle armate tedesche, sono consci dei morti che questi hanno avuto, ma non per questo si sentono in dovere di avvallare il mito dello sterminio, un mito che prevede la volontà omicida dei vertici, la complicità attiva di interi settori della pubblica amministrazione e, quanto meno, la tacita acquiescenza dell'intera popolazione, il tutto senza fornire alcuna prova certa e incontrovertibile.
Se i revisionisti sono gli assassini della memoria chi li accusa di ciò è, in piena consapevolezza, uno stupratore della verità.

Per concludere mi siano consentiti una nota… ottimistica e un dubbio. Una fotografia è assurta a simbolo del triste destino del ghetto di Varvavia in particolare e della sorte degli ebrei in generale. Tutti l'hanno vista, almeno una volta, raffigura, fra gli altri, un bimbetto ebreo in pantaloni corti, con le mani levate al cielo sotto lo sguardo non benevolo ed il mitra spianato di un poliziotto tedesco. I benpensanti possono tirare un sospiro di sollievo.

Il bimbo è vivo.

Il maturo ultra sessantenne risponde al nome di Tsvi Nussbaum, fa il dentista negli Stati Uniti e gode, compatibilmente con i possibili acciacchi dell'età, di ottima salute. Forse il professor Galli della Loggia dovrebbe scegliere una persona più sfortunata, e non gli sarebbe difficile, per farla assurgere al poco invidiabile ruolo di vittima ignota con tanto di effigie in ogni aula d'Italia. Il crocefisso, professore, è ormai, secondo molti, superato e politicamente scorretto lei lo vorrebbe sostituire con la Shoa? Non mi pare sia politicamente corretto. Armeni e curdi potrebbero accampare seri diritti in materia e così gli indiani d'America, gli italiani delle foibe, i cinesi della rivoluzione culturale, i culachi della Russia stalinista, i cambogiani di Pol Pot e l'elenco è, malauguratamente, troppo lungo per garantire a ciascuno di loro, sia pure per gruppi omogenei, un piccolo posto sulle imbiancate pareti delle aule di quella istituzione ormai allo sbando che è la scuola italiana.

 

 

 

 

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