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Rosenberg

 

 

                                                        Pagine 28, € 5,00

 

Senza volerlo, certi anzi del contrario, i “giudici”di Norimberga condannando Alfred Rosenberg a morte gli hanno reso, in realtà, un buon servizio.
Siamo persuasi che il degrado della Germania, le vessazioni im-poste alla sua popolazione, le deportazioni dei tedeschi dell’est, la divisione in “zone d’occupazione”, le tante mutilazioni inferte al territorio nazionale avrebbero pesato su di lui ben più della morte.

L’uomo era convinto, fermamente convinto, della bontà delle sue opinioni filosofiche, politiche e morali e il suo comportamento al momento dell’esecuzione – unico fra tutti i condannati, in piena coerenza con le idee di tutta una vita, ha rifiutato i conforti religiosi – depone in questo senso. Ma proprio per questo motivo è stato per lui meglio andare con dignità sulla forca che affrontare il dopoguerra e, peggio ancora, i tempi attuali.

Per chi, come Rosenberg, ha vissuto i 14 anni che separano il 1919 dal 1933 come una sorta di indicibile vergogna nazionale da riscattare nel minor tempo possibile, il grigio lasso di tempo che congiunge il 1945 ai giorni nostri non potrebbe non apparigli se non come un incubo.
Lo Stato calpestato, il Reich infranto, la razza tedesca schiacciata e vilipesa, gli ideali affogati in un mare di banale e consumistica quotidianità sono cose peggiori della morte.

“Guarnigioni di negri” hanno occupato ben più della Renania. Un senso di colpa, mediaticamente infuso nella popolazione dagli Alleati, e supinamente accettato dai governanti nazionali, ha paralizzato ogni sentimento di rivincita. Persino la lingua ha subito un colpo ferale. Le nuove generazioni, soprattutto a Berlino, ma un po’ dovunque in Germania, parlano una sorta di dialetto imbastardito che contiene numerose parole di origine turca, curda e dio solo sa di quali altre etnie. Il tessuto discorsivo pare comportare l’uso ripetitivo, addirittura ogni paio di vocaboli, della parola Scheiße, sul cui significato preferiamo sorvolare.

Qualcuno potrebbe considerare questo accenno alla lingua della “nuova Germania” inutile e legato a valutazioni piattamente formalistiche. E questo potrebbe anche essere vero, se nell’animo tedesco non esistesse, o, meglio, non fosse esistito da sempre, il principio che “è Germania là dove si parla tedesco”.
Grazie, signori “giudici”. Grazie a nome di Rosenberg e dei molti altri che, come lui, sono stati da voi privati della vita e ai quali pertanto, in virtù di una sentenza iniqua, è stata  risparmiata una vita “indegna di essere vissuta” e moralmente peggiore della morte stessa. 

 


 

...La grande lotta mondiale fra oro e sangue iniziatasi drammaticamente il 2 agosto 1914 trova la sua gigantesca continuazione nell’urto del 1939-40, però con maggior grado di consapevolezza.

La congiura dell’alta finanza e delle borse delle democrazie mondiali contro il popolo tedesco era già nel 1914 una cosa nota, ma a quell’epoca l’Impero tedesco non aveva un’idea precisa della situazione storica in cui si trovava quando dovette scendere sul campo di battaglia. Nell’anno 1914 la Germania seppe dire semplicemente che doveva difendere il popolo e la patria, ma non era ispirata da un’idea unitaria e non era animata dalla volontà di raggiungere un grande scopo. La divisione della nazione in molte concezioni mondiali e statali, rappresentate da vari partiti politici contrastanti, era il simbolo di questa mancanza di preparazione all’interno come all’estero per il grande conflitto storico che doveva aver luogo. Nonostante tutto, le democrazie non hanno potuto riportare una vittoria militare neppure allora sull’Impero tedesco e sulle sue forze armate. La sconfitta è stata provocata soltanto dalla rivolta scoppiata alle spalle dell’esercito, sconfitta che fu poi seguita da tutte le umiliazioni e dai saccheggi economici che sono stati inflitti al popolo tedesco nei 14 anni che vanno dal 1919 al 1933. Ma nella nazione tedesca non è mai morto il sentimento di non essere stata veramente vinta, ma di essere stata piegata soltanto perché tradita ed affamata, e di essere stata obbligata per un certo periodo di tempo a vivere in condizioni di inferiorità nel mondo...

 

 

 

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