Site hosted by Angelfire.com: Build your free website today!


effepi edizioni

Home Su Vendite Sommario

Dal testo

 

 

Luigi XIV non era che un piccolissimo sire in fatto di vittorie a confronto di Felix M. Warburg di New York.

 

Louis-Ferdinand Céline

Bagatelle per un massacro

 

Il più bello è che questa gigantesca espropriazione si è compiuta senza che i veri americani si rendessero conto di quello che accadeva loro. Inizialmente, i primi immigranti ebrei erano loro piuttosto simpatici. Erano così umili, così sorridenti, così abili ad ispirare compassione! Erano inoltre il popolo biblico, i figli di Jehovah, e i puritani del nord erano troppo imbevuti dell’Antico Testamento per non sentirsi in comunione di spirito con della gente che si accreditava per la stessa ispirazione metafisica, che aveva familiarità con le stesse discipline filosofiche, che si abbeverava agli stessi racconti palestinesi. In una certa qual misura, un puritano è più vicino ad un ebreo che ad un cattolico. E poi come gli americani avrebbero potuto diffidare? La loro vigilanza era paralizzata dall’ideologia politica che i fondatori della Costituzione avevano lasciato loro in eredità e della quale l’esito disastroso della guerra di secessione aveva definitivamente consolidato il puerile dogmatismo: un uomo vale l’altro, tutti gli uomini sono fratelli, è sufficiente una generazione per fare di un russo o di uno spagnolo un americano al cento per cento.

E questo era vero, infatti, per i russi, per gli spagnoli, per tutti gli altri rappresentanti della grande famiglia europea. Dopo una o due generazioni, gli immigranti si erano fusi nel crogiolo americano, avevano dimenticato le loro origini, pensavano, reagivano da americani.

Gli Yankees di vecchio ceppo avevano visto tanti nuovi venuti assimilarsi pressoché istantaneamente che non nutrirono diffidenza quando Crémieux, Frankfurter, Warshawsky e Ben Soussian sbarcarono a loro volta. Crémieux si diceva francese, Frankfurter tedesco, Warshawsky polacco e Ben Soussian siriano. Molti altri francesi, molti altri tedeschi, molti altri polacchi, molti altri siriani si erano mescolati senza sforzo agli americani. Si fece dunque loro buona accoglienza. Ma quei nuovi venuti non erano né francesi, né tedeschi, né polacchi, né siriani. Erano ebrei. Erano i razzisti più intransigenti del mondo, i più consci della loro solidarietà razziale e nazionale, gli unici elementi della comunità americana che fossero assolutamente inassimilabili. Essi venivano da tutti gli orizzonti europei, d’Africa o d’Asia. Ma appena sbarcati, facevano blocco e, quale che fosse la loro origine geografica, si agglomeravano non agli americani, ma agli altri ebrei di più antica presenza su questa terra promessa.

Gli americani, che disapprovavano la costituzione di raggruppamenti nazionali, come le associazioni irlandesi o germaniche, perché queste associazioni, prolungando la fedeltà alla madre patria, ritardavano l’assimilazione dell’immigrato, trovavano del tutto legittimo che il “francese” Crémieux, il “tedesco” Frankfurter, il “polacco” Warshawsky ed il “siriano” Ben Soussian si raggruppassero fin dal loro arrivo e si accordassero per un’azione comune. Ignorando completamente le realtà ebraiche, dimentichi del grido d’allarme di Franklin, i vecchi americani contemplavano con un sorriso benevolo la coalizione del “francese”, del “tedesco”, del “polacco” e del “siriano”, e dicevano orgogliosamente: “ Voi lo vedete, questa è la fusione delle razze”.

È straordinario che oggi, ora che la colonizzazione degli Stati Uniti da parte degli ebrei è praticamente ultimata, gli americani non abbiano ancora capito che sono stati conquistati e resi vassalli da un popolo straniero. È straordinario che ignorino ad un grado inimmaginabile i primi elementi della questione ebraica. Il loro candore supera, se è possibile, quello dei francesi d’anteguerra. Il fatto è che essi non hanno, come noi – benché abbiano subito tanto quanto noi, l’avvilimento degli immortali principi – una tradizione di antisemitismo che va da San Luigi a Drumont e a Céline. Il fatto è inoltre che, quando gli americani hanno iniziato ad aprire gli occhi, era già troppo tardi. Gli ebrei che si erano introdotti nella fortezza avevano già conquistato il dominio delle onde-radio, della carta stampata e della pubblicità. Impossibile pronunciare la parola “ebreo”, denunziare il pericolo ebraico senza essere immediatamente imbavagliati, spezzati, annientati.

 

 

Home Su

Copyright © 2003 effepi edizioni