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IMMUNOPATOGENESI DEL
LUPUS ERITEMATOSO SISTEMICO


L. Emmi, F. Chiarini
Centro di Riferimento Regionale per le Malattie Autoimmuni Sistemiche
Dipartimento di Medicina Interna, sezione di Immunoallergologia, Ospedale Careggi


DEFINIZIONE

Il Lupus Eritematoso Sistemico (LES), paradigma delle malattie autoimmuni non organo specifiche, è caratterizzato da un’importante disregolazione del sistema immunitario che coinvolge numerosi organi ed apparati (apparato muscolo-scheletrico, cute, cuore, reni, apparato ematopoietico, sistema nervoso centrale).


EZIOPATOGENESI

L’eziopatogenesi del LES non è ancora del tutto definita, tuttavia è possibile ipotizzare che in soggetti geneticamente predisposti, generalmente di sesso femminile, fattori scatenanti quali infezioni, raggi ultravioletti ed estroprogestinici, possano favorire disordini dell’immunoregolazione rappresentati da perdita della tolleranza dei linfociti T nei confronti di autoantigeni ed attivazione policlonale delle cellule B. Tuttavia sono anche da considerare la disregolazione dei fenomeni apoptotici, nonchè della produzione di citochine e chemochine.

Fattori predisponenti

Fra i fattori genetici implicati nel determinismo della malattia potrebbero assumere un ruolo predisponente geni associati agli MHC II e geni non MHC-correlati, nonché geni presenti sul cromosoma 1. D’altro canto anche la familiarità ha una certa importanza, infatti in gemelli monozigoti è presente una concordanza > del 20%, inoltre sono stati riportati casi di LES familiare (aggregazione familiare 2-3%). Un ulteriore fattore predisponente è rappresentato dal sesso ed in special modo dagli ormoni sessuali femminili. Infatti la malattia è molto più frequente nella donna, ha la massima incidenza nel periodo di fertilità e può riattivarsi in gravidanza in circa il 20% dei casi.  A conferma di ciò studi effettuati su modelli sperimentali dimostrano che: a) nei topi NZB/NZW, MRL e BXSB gli androgeni riducono e gli estrogeni aumentano la produzione di anticorpi anti-DNA; b) topi maschi NZB/NZW F1 sottoposti a castrazione sviluppano più precocemente quadri clinici di LES; c) topi femmina NZB/NZW F1 sottoposti ad ovariectomia o ad impianto sottocutaneo di androgeni sviluppano più tardi quadri clinici di LES.
Di non minor rilievo fenomeni di “mosaicismo” che potrebbero determinare nella femmina la possibile sfuggita alla delezione timica di cellule potenzialmente autoimmuni.

Fattori scatenanti

Appare determinante l’azione svolta da fattori scatenanti come alcuni agenti infettivi (EBV ?), gli estroprogestinici ed i raggi ultravioletti. Quest’ultimi oltre a comportare un’alterazione strutturale del DNA promuovono la produzione da parte dei cheratinociti di citochine pro-infiammatorie, nonché di IL-10.

Alterazioni dell’immunoregolazione

Disregolazione a carico dei linfociti T e B

Come già riferito fattori predisponenti e fattori scatenanti contribuiscono a indurre disordini della immunoregolazione con espansione di cellule T autoreattive e perdita della tolleranza verso il self, nonché attivazione policlonale dei linfociti B. 
A carico delle cellule T sono state documentate alterazioni sia numeriche che funzionali. Le modificazioni numeriche sono rappresentate dalla linfopenia, la cui entità correla con l’attività di malattia. La riduzione è prevalentemente a carico di alcune sottopopolazioni di cellule T, scarsamente dotate di attività “helper” nei confronti delle cellule B.  L’attivazione policlonale dei linfociti B comporta la produzione di un vasto pannello di autoanticorpi con successiva formazione di immunocomplessi. Infatti è stato osservato che: a) il numero di cellule B secernenti IgG anti-DNA è aumentato di 10 volte nei pazienti con LES e di 100 volte in quelli con malattia in fase attiva rispetto ai controlli; b) linfociti B di pazienti lupici, ma non quelli di soggetti di controllo, sembrano esprimere in seguito ad attivazione cellulare CD40L oltre al CD40 costitutivamente espresso.


Alterazioni dei meccanismi apoptotici

Recentemente, sono stati identificati due modelli sperimentali di malattia LES-simile peraltro caratterizzati, a differenza di quanto si verifica nel LES umano, da un deficit di apoptosi. Infatti ceppi di topi MRL/lpr/lpr e topi gld/gld geneticamente deficienti rispettivamente in Fas e FasL sviluppano una malattia sistemica Lupus-like caratterizzata da linfoaccumulo a livello tissutale.
I suddetti modelli sperimentali hanno importanza in quanto hanno permesso di comprendere in maniera più definita i meccanismi di apoptosi, nonché di chiarire alterazioni simili che potrebbero essere alla base di altre malattie autoimmuni quali la Sindrome Autoimmune Linfoproliferativa. Quest’ultima presenta spiccate analogie cliniche e biologiche con i disordini linfoproliferativi descritti nei modelli murini e si differenzia in quattro tipi: a) Tipo Ia nel quale la mutazione è a carico del gene Fas; b) Tipo Ib caratterizzato da una spiccata linfoadenopatia e dalla mutazione a carico del gene  di FasL; c) Tipo II che presenta una mutazione della caspasi 10; d) Tipo III nel quale non è stata ancora identificata la mutazione genetica.
Tuttavia studi condotti nell’uomo non permettono di trasferire ciò che accade nei modelli sperimentali nella patologia umana. Si può al contrario affermare che nel LES umano è presente un incremento dei fenomeni apoptotici. Infatti: a) linfociti T isolati da pazienti lupici vanno maggiormente incontro ad apoptosi rispetto alle cellule T di soggetti normali; b) l’entità dei fenomeni apoptotici è correlata all’attività di malattia; c) l’aumentato rilascio di materiale nucleosomico è responsabile di una maggiore produzione di autoanticorpi.
Nel LES è stata inoltre dimostrata un’abnorme metilazione dei    nucleosomi, responsabile dell’aumentata resistenza di quest’ultimi alla DNasi. Tale fenomeno, unitamente alla ridotta “clearance” del materiale apoptotico, determina un aumento delle proprietà immunogeniche dei nucleosomi nei confronti delle cellule T e B.


Disregolazione della produzione di citochine

Per quanto riguarda la disregolazione della produzione di citochine sono coinvolti TNF-, IFN-, IL-6 ma soprattutto di IL-10.

TNF-: monociti di pazienti affetti da LES Dqw1 o DR2 positivi producono minor quantità di TNF- rispetto a pazienti DR3+. 
In pazienti con LES la concentrazione sierica di TNF- può non differire da quella di controlli sani, ma un incremento del recettore solubile del TNF- sierico sembra correlare positivamente con il grado di  attività di malattia. La quota di TNF- legata al recettore solubile è cruciale poiché quest’ultimo agisce come inibitore per il TNF- diminuendo la sua attività biologica. Nel 52% di biopsie renali di 19 pazienti affetti da nefrite lupica sono stati dimostrati, mediante immunofluorescenza, a livello glomerulare e tubulare depositi di TNF-. I dati a disposizione non permettono al momento di trarre conclusioni definitive circa il possibile ruolo patogenetico di tale citochina.

IFN-: è stata dimostrata una significativa correlazione tra la produzione di IFN- da parte di cellule mononucleate di sangue periferico ed attività di malattia misurata mediante SLAM. Tale citochina potrebbe essere uno dei fattori che promuovono l’attivazione policlonale B oltre ad essere capace di indurre il “switching” da IgG1 a IgG2  ed IgG3 che sono le sottoclassi di Ig prevalentemente coinvolte nella patogenesi della forma sistemica di Lupus.

IL-6: nel siero di pazienti con LES sono stati dimostrati livelli elevati di IL-6. Tale citochina è coinvolta nel meccanismo autocrino di mantenimento di attivazione policlonale dei linfociti B, inoltre il suo recettore è costitutivamente espresso sulle cellule B di pazienti con LES, a differenza di quanto si verifica in soggetti sani. IL-6 e mRNA per IL-6 sono stati documentati in oltre il 50% delle biopsie renali di pazienti con LES; tale citochina è inoltre determinabile nelle urine di pazienti con nefrite lupica.
 
IL-10: recentemente è stato particolarmente enfatizzato il ruolo patogenetico di un’abnorme produzione di IL-10 sia in modelli di LES murino che in patologia umana.
La somministrazione continua di IL-10 in topi geneticamente predisposti accelera l’insorgenza della malattia, mentre il trattamento precoce in topi NZB/W con anticorpi monoclonali anti-IL-10 ritarda la comparsa del LES. La somministrazione di anticorpi anti-IL-10 è in grado di inibire la produzione di anticorpi anti-DNA in topi SCID cui siano state inoculate cellule mononucleate di pazienti con LES.
Nell’uomo alterazioni a carico del gene per l’IL-10, localizzato nella regione 31q del cromosoma 1, determinerebbero un incremento della produzione di suddetta citochina da parte di monociti, di “subset” di cellule B e di linfociti T CD4+CD45Ro+. I livelli sierici di IL-10 correlano positivamente con il titolo anticorpale di anti-ds-DNA e con lo SLEDAI score, e negativamente con i livelli di complemento. Inoltre l’IL-10 è capace di aumentare la produzione di IgG da parte di linfociti B di sangue periferico di pazienti con LES, nonché di promuovere la differenziazione e l’attivazione di suddette cellule. Un contributo ulteriore a tale attivazione è dato dalla disregolazione del sistema CD40/CD40L facilitata sempre da IL-10. Inoltre tale citochina incrementa l’apoptosi in cellule mononucleate di pazienti con LES ma non in quelle di soggetti di controllo. Infine il trattamento con anticorpi monoclonali anti-IL-10 sembra dimostrarsi efficace in pazienti con LES in fase attiva.
Non si può peraltro escludere che l’aumento di IL-10 osservato nei pazienti con LES sia l’espressione di un meccanismo di controregolazione da parte delle cellule Th2 della risposta immunitaria.

Disregolazione della produzione di chemochine

Sia nei modelli sperimentali che nell’uomo è stata dimostrata in corso di nefrite lupica un’alterazione nella produzione di MCP-1. In particolare in topi NZB/W nei primi mesi di malattia è stata dimostrata una "up-regulation" dell'mRNA per MCP-1, sia a livello delle cellule glomerulari che delle cellule tubulo-interstiziali che di quelle infiammatorie. Nei suddetti topi il trattamento con ciclofosfamide ha aumentato il tempo di sopravvivenza e ridotto la proteinuria, nonché l'espressione di MCP-1 a livello glomerulare. Un risultato analogo è stato ottenuto con la somministrazione di Bindarit.
Nell’uomo elevati livelli urinari di MCP-1 sono stati dimostrati in corso di nefrite lupica in fase attiva nei confronti di controlli sani. Peraltro i livelli urinari di MCP-1 sono ridotti da alte dosi di corticosteroidi e rimangono bassi durante la fase di remissione della malattia. Durante la progressione della nefrite lupica sono stati dimostrati una graduale riduzione dei livelli sierici di RANTES nonchè un aumento di MCP-1.

Conclusioni

Le recenti acquisizioni di ordine biologico hanno contribuito in maniera determinante alla comprensione della patogenesi del LES. Tuttavia dovranno ancora essere condotti studi relativi alla caratterizzazione delle cellule costituenti gli infiltrati infiammatori, nonché delle molecole coinvolte nel controllo del “traffico” cellulare. Al momento è comunque possibile affermare che alcune citochine o chemochine, unitamente ad altri parametri sierologici, potrebbero assumere una certa importanza come marcatori biologici di attività di malattia.   




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