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Intervista al Docente di Filosofia Politica ed Etica applicata presso la Universidad Autònoma de Barcelona, il Professor Àngel Puyol González
Intervistatore : Caro Professor Puyol, Lei insegna Filosofia Politica ed Etica applicata: quali sono gli autori a cui Lei ha guardato con maggior interesse nei suoi studi e nelle sue ricerche? E quali sono gli autori che Lei consiglia o vede come centrali in relazione alla discussione morale e politica attuali? Risposta : Gli autori a cui si deve dedicare, credo, maggior attenzione, sono quelli classici. Anche per interpretare la filosofia morale e politica attuale è necessario risalire alle fonti della filosofia. Platone, Aristotele, Spinoza, Hobbes, Locke, Hume, Rousseau, Kant, Hegel, John Stuart Mill, continuano ad essere il riferimento senza il quale non è possibile comprendere il pensiero attuale de John Rawls, Ronald Dworkin, Jürgen Habermas, Amartya Sen, Norberto Bobbio, Michael Walzer o Alasdair MacIntyre, che sono gli autori su cui più ho lavorato finora.
I : Una delle sue linee di ricerca riguarda il tema della libertà e dell'uguaglianza nell'etica contemporanea. Tocqueville diceva che l'umanità procede inarrestabilmente verso la democrazia, che egli considerava come l'unica via per giungere all'uguaglianza. Però, come egli faceva, anche noi dovremmo chiederci quali potranno essere le conseguenze per la libertà. Qual è la sua opinione riguardo a questa relazione? Secondo Lei, è possibile concepire questa uguaglianza come una omologazione? E quale libertà resterebbe in una situazione di omologazione? R : Generalmente, si è vista la relazione tra libertà e uguaglianza come un conflitto, e perfino come un conflitto irresolubile, tale che o si considera la libertà senza uguaglianza (o con una uguaglianza meramente formale, come l'uguaglianza davanti la legge), oppure si considera l'uguaglianza con una notevole rinuncia delle libertà basilari. Credo che in molte occasioni questo conflitto sia falso. L'ideale dell'uguaglianza di opportunità riassume molto bene l'idea che la libertà e l'uguaglianza si richiedano mutuamente. La libertà reale (e non meramente formale e legale) richiede una distribuzione più giusta delle risorse sociali, e d'altro lato, l'uguaglianza non è moralmente accettabile se gli individui non possiedono un margine di autonomia personale più grande possibile.
I : Il filosofo italiano Piovani diceva che la vera libertà risiede nella possibilità di esprimere la propria individualità, però dirigendosi verso l'universalità. E Kierkegaard diceva che «il segreto che sta nella coscienza, [...] il segreto che la vita individuale ha in se stessa, [è] di essere ad un tempo individuale e universale, sebbene non immediatamente come tale, bensì secondo la sua possibilità», poiché «l'universale può effettivamente esistere benissimo con e nell'individuale senza divorarlo». Cosa pensa Lei di questa possibilità? Secondo Lei, Piavani ha ragione quando afferma che «il compito che si propone un individuo etico è di trasformarsi in un individuo universale»? R : L’etica ricerca l'universalità per definizione o, per meglio dire, (con Hare) l'universalizzazione. La Regola d'Oro esige questo: non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te. Però non dobbiamo confondere l'universalizzazione con la totalizzazione, perché altrimenti non saremo sensibili alle differenze degli altri. Quello che accade è che le differenze devono essere tollerate unicamente se possono essere difese anche universalmente. La discriminazione della donna è una differenza culturale illegittima perché difficilmente si può universalizzare. Tanto la totalizzazione quanto il relativismo culturale sono due dei pericoli che minacciano il domani dell'etica.
I : Tornando alla questione del legame tra libertà e uguaglianza, Lei ha scritto alcune pubblicazioni su questo tema, come "La antropología moral de la igualdad" e "El discurso de la igualdad". È questo un argomento centrale nella sua riflessione? E come la giudica in relazione alle politiche attuali e all'espansione dell'Unione Europea? R : Certamente, l'uguaglianza è uno dei temi centrali nella mia riflessione, una uguaglianza che non significa nulla senza la libertà e la differenza, come ho già detto. In realtà, i due testi citati, soprattutto il secondo, è dedicato all'analisi dell'uguaglianza delle opportunità, al suo significato e alla sua connessione con la giustizia distributiva. Credo che sia imprescindibile decifrare ciò che è realmente l'uguaglianza delle opportunità per sapere quali esigenze politiche ne derivino. L'espansione dell'Unione Europea, con la massiccia entrata di immigranti dall'Africa, dall'America e dall'Asia, senza dubbio rappresentano una nuova sfida per le politiche del benessere dei nostri Paesi. Ma se vogliamo costruire un'Europa coesa e giusta dobbiamo saper priorizzare, cioè convincerci che tutte le persone hanno un'uguale dignità (che è inseparabile dalla nostra tradizione), che necessita l'aiuto di tutti. Tutto dipenderà dalla presenza o meno dell'idea dell'Unione Europea come una comunità di uguali.
I : Nell'etica contemporanea si è parlato molto del significato e della funzione della norma. È anche emersa una distinzione tra norma morale e norma giuridica. Secondo lei, quali sono le possibilità di un'etica sostantiva e normativa in un pluralismo e in un relativismo etici? E quale potrebbe essere lo spazio lasciato all'individuo in una tale etica? R : Poc'anzi ne ho fatto cenno. Abbiamo bisogno di uno spazio normativo sostantivo, almeno, basato fondamentalmente sui diritti umani, che serva da punto di riferimento etico per la tolleranza delle differenze e per la denuncia delle abitudini e delle norme morali e giuridiche ingiuste. Ciò è compatibile col rispetto delle differenti concezioni della buona vita (etiche di massima) che gli individui liberamente sviluppano. La chiave della convivenza giace nel trovare una buona combinazione di norme etiche e giuridiche basilari, minime e sostantive, che permettano un ugual rispetto delle libertà individuali.
I : Tornando al tema del relativismo e del pluralismo etici, lei è d'accordo con l'affermazione di Piovani, secondo cui «il vuoto di valore sta nell'indifferenza, non nella differenziazione, combattiva e no. Se l'altro vive secondo valori diversi dai miei, non significa che non ci sia alcun valore, ma che ci sono molti valori»? Il vero caos starebbe, pertanto, non nella pluralità dei valori, bensì nel vuoto assiologico, nella anomia? R : Sono perfettamente d'accordo, però non è certo che sia possibile l'assenza di valori. Siamo esseri assiologici, agiamo sempre per valori. Quando si parla della crisi dei valori, si fa riferimento al fatto che i giovani o la gente in generale abbia perduto i valori, in realtà dovremmo dire che queste persone non agiscono per i valori tradizionali o previsti, e non che non hanno valori: li hanno sostituiti con altri. Forse hanno perdutol la forza di volontà, l'energia vitale, per vivere secondo determinati valori, però non possiamo vederli senza valori, quali che siano. I giovani che non lasciano sedere gli anziani sull'autobus non hanno perduto i valori, ma hanno sostituito il valore del rispetto per la gente grande con valori più individualisti. Ciò che è certo è che viviamo in una pluralità di valori, e ciò, che è buono in quanto espressione di libertà, causa problemi per la convivenza. Bisogna trovare l'equilibrio necessario tra le due necessità. P : Nonostante sia un bene considerare il pluralismo più vicino alla realtà, è vero che alcuni valori sono realmente differenti e, come dice la Prof.ssa Sánchez, non possono essere presi seriamente? Ciò comporta, come afferma il Prof. Mordacci, che «l'uomo deve immaginare un campo comune di confronto tra le ragioni opposte», nonostante il pluralismo? R : Bisogna trovare un equilibrio tra la convivenza in comune e la pluralità di valori. Possiamo cercare un modus vivendi (che ha come oggetto la paura sociale, però mantiene le comunità morali incomunicanti), come proponeva Hobbes e sosteneva il liberalismo di John Gray. Inoltre, possiamo cercare un consenso intorno ad alcune norme o principî comuni (almeno in politica), come propone il liberalismo politico di Rawls. Ed inoltre, possiamo cercare dei valori comunitari vincolanti, come affermano i comunitaristi come MacIntyre. Personalmente, propendo per la proposta rawlsiana, che è l'unica che raccoglie l'eredità kantiana, e che riconosce che le critiche dei comunitaristi e del realismo morale e politico di Hobbes non sono ragioni minori, ma devono essere tenute in conto.
I : Lei si occupa anche di filosofia della bioetica. Cosa pensa dell'affermazione di Toulmin, secondo cui la bioetica ha dato nuova vita all'etica, e ha avuto la capacità di condurla fuori dalle sterili riflessioni metateoriche e d'invitarla e non sottrarsi alle questioni bioetiche? R : Sono totalmente d'accordo con la diagnosi di Toulmin e mi sento sempre più convinto della necessità che l'etica, senza abbandonare les questioni metaetiche, debba entrare molto di più nei problemi etici e reali della vita quotidiana, come quelli che emergono dalla medicina, ma anche altri come la guerra, l'ambiente, le etiche professionali, ecc. Il pericolo, quindi, che dobbiamo evitare tra tutti è la tendenza alla moralizzazione, a dettare il bene e il male. Ciò non porterà alcun vantaggio alla nostra disciplina. Ma possiamo essere molto utili nell'aiuto a comprendere la natura morale dei problemi con cui ha a che fare la gente giorno dopo giorno nella convivenza sociale e contribuire, in questo modo, a risolverli quando è possibile farlo.
I : Un'altra sua linea di ricerca concerne la filosofia dell'educazione. Il Prof. Mordacci (intervistato da noi) afferma che il futuro della filosofia è in pericolo se non si avrà un'innovazione nei programmi di studio e una connessione disciplinare solida tra filosofia e scienze biomediche e psicologiche. Qual è la sua opinione? E come vede il futuro della ricerca umanistica nel suo Paese e in relazione a quella nelle altre nazioni? R : Oggigiorno, un buon filosofo deve avere delle conoscenze minime riguardo ai progressi nelle scienze sperimentali, come la medicina, la biologia, la psicologia e la fisica. La filosofia non può voltare le spalle alla scienza se vuole creare un discorso cha stia coi piedi per terra e non sia meramente speculativo, ma è anche vero che la filosofia non si può ridurre alla scienza, e ancora meno all'etica. D'altro canto, la formazione scientifica affronta il problema che la scienza abbia sofisticato tanto le sue conoscenze che risulta di difficile accesso ai non scienziati. Ma è uno sforzo che i filosofi e gli umanisti in generale devono fare per comprendere lo stato della conoscenza scientifica nel nostro mondo attualmente. Ciò arricchirà molto il discorso della filosofia e degli umanisti e, ciò che è ancora più importante, lo saprà orientare adeguatamente.
I : Caro professore, nel ringraziarla per la sua cortesia e per la sua disponibilità, la invitiamo per un possibile e interessante incontro qui in Italia. Speriamo che possa godere della nostra ospitalità un giorno. R : Molte grazie a voi per il vostro interesse nel mio lavoro e per il disturbo presovi nel realizzare questa intervista in catalano: è una stata una vera piacevole sorpresa per me e dimostra che con buona volontà e rispetto per le particolarità si può contribuire alla creazione di un discorso universale (in questo caso quello dell'etica). Voglio anche esprimere il mio supporto all'iniziativa che avete avviato con la comunicazione tra diversi professorie e istituzioni internazionali. E accetto incantato l'invito per visitare il vostro Paese e partecipare con tutti voi agli eventi che organizzerete.
Il Professor Àngel Puyol González insegna Filosofia Politica e Etica applicata alla Universitat Autònoma de Barcelona Interviu de Massimo Vittorio 26/03/03 |
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