Non molto tempo fa ho avuto modo di rileggere per una giovane e dolcissima ragazza una fiaba che si trova pubblicata sul libro "Zingari Ieri e Oggi". Parlava di un bambino gagio di soli 5 anni, che poveraccio, nonostante si dasse molto da fare, lavorando da mane a sera, i suoi genitori non erano mai contenti e continuavano a rimproverarlo e maltrattarlo. Fino a quando un giorno stancatosi di questa vita il piccolo ha fatto i bagagli e se n’è andato di casa. Gira e rigira lavorando e mendicando un pezzo di pane, sempre preso in giro e maltrattato dalla gente che incontrava. Si trovò un giorno nei pressi di un accampamento di zingari e osservava l’andazzo della loro vita. Vide i bambini scalzi come lui che però giocavano allegramente e senza preoccupazioni a riguardo il cibo; quando avevano fame mangiavano. Vide molta attività lavorativa al campo; si trattava di Rom-calderai, ed eravamo all’inizio del secolo. Osservava tutta questa attività ma aveva paura di essere scoperto perché aveva sentito dire che gli zingari sono cattivi e rubano i bambini ma non se ne andava, attratto da quella vita e anche per via della fame che si ritrovava. Scoperto dal vecchio "capo" che gli chiese se aveva fame e ordinò subito alla vecchia Moglie di preparare da mangiare per il bambino il quale aveva un po’ di paura di avere a che fare con una "strega", ma ad ogni modo mangiò come un lupo. Il vecchio gli parlò della loro vita, del loro lavoro di calderai e lo invitò a tornare a trovarli quando voleva, che rivolgendosi a loro o a chiunque altro del campo avrebbe sempre trovato da mangiare. Così fece. Poi venne l’inverno e oltre al problema della fame venne anche quello del freddo. Il bambino gagio vide i fuochi che scaldavano e si avvicinò per scaldarsi. Il vecchio gli disse che se voleva poteva fermarsi con loro, che visto che tutti i loro figli erano sposati e che erano rimasti soli lui poteva diventare loro figlio. Il bimbo accettò, crebbe forte e sano, diventò un ottimo calderaio. E infine una volta un po’ cresciuto il vecchio lo fece sposare con la più bella ragazza del campo. Ebbe tanti figli e come ogni finale di fiaba zingare "se non è morto vive ancora". In questa fiaba si può notare come tutti i luoghi comuni sugli zingari siano stati rovesciati. Non sono i Rom che sfruttano e maltrattano i loro figli; anche quando vediamo in giro per la città i bambini a chiedere si tratta di collaborazione dell’economia famigliare e non ci sono botte se tornano a mani vuote. Non sono i Rom a rubare i bimbi gagi ma spessoe da sempre sono le famiglie Rom vittime di questo abuso da parte dei Servizi Sociali e del Tribunale dei Minori (ne sanno qualcosa alcune famiglie Rom che vivono a Milano). Questa fiaba mi è tornata in mente dopo aver visto il film GADJO DILO (Lo straniero pazzo) del regista Rom-algerino di cittadinanza francese Tony Gatlif. Si chiama Stéphane il giovane gagio francese che attraversa la Romania con una cassetta, dove è registrata una voce e una canzone, alla ricerca dell’interprete femminile della stessa. Si tratta di una scusante del regista per presentarci il mondo dei Rom oggi, per combattere i luoghi comuni, l’intolleranza e il razzismo presente nella nostra società civile alle soglie del 2000. Per darci una lezione non tanto e non solo di tolleranza ma anche a riguardo l’accoglienza. Di fatti se all’inizio il giovane Stéphane, quando giunge al campo dei Rom-Lautari (musicisti) viene visto con sospetto e diffidenza anche a causa del suo abbigliamento sporco e con gli scarponi rotti ( "... si tratta forse di un ladro di polli o di un ladro di bambini?!"), in seguito tutti gli abitanti del villaggio zingaro faranno a gara per farlo sentire a suo agio e per integrarlo nella loro vita. Anche perché il giovane gagio non sa una parola né di rumeno né della lingua Rom. E il film di Tony Gatlif ci mostra il mondo dei Rom in tutti i suoi aspetti; l’immediatezza del linguaggio, le feste di matrimonio a cui i Lautari sono chiamati per suonare la loro musica e ballare, le difficoltà con il mondo dei gagé e del razzismo di cui sono vittime predestinate (la scena in cui la gente civile del villaggio assalta e mette a ferro e fuoco il campo degli zingari deve rimanere nella testa degli spettatori). E l’amore. Come nelle più belle favole a lieto fine Stéphane incontra l’amore impersonato da una bella gitana che ha lasciato il marito in Belgio per tornare presso la sua gente. Grazie anche a lei che conosce il francese riesce a comunicare con la comunità dei Rom e ad imparare la loro lingua e il loro modo di vita. E al termine del film vediamo il giovane gagio disfarsi delle cassette che aveva registrato con le musiche e le testimonianze di vita, degli appunti presi, perché ha deciso che non tornerà più nel mondo civile ma resterà con gli zingari dove ha trovato l’amore e il senso della vita. Mi sovviene di pensare ad un altro film visto qualche anno fa, UN’ANIMA DIVISA IN DUE. In questo film il regista Silvio Soldini tenta l’integrazione di una ragazza zingara nel mondo civile dei Gage. La Romni (donna zingara) trova l’amore, ma nonostante i tentativi, non l’integrazione nel nostro mondo che non riesce a comprendere e ad adattarvisi. Lascerà il suo lui per tornare al campo, in quel di Milano, che però non trova più. Storie che anche oggi dove gli Enti Locali si arrogano il diritto di spostare i campi un po’ più in là, di deportare centinaia di persone da un quartiere all’altro, di far nascere nuove intolleranze e nuovo razzismo, di impedire la sosta a comitive di zingari ancora nomadi o costretti al nomadismo dai continui sgomberi. In precedenza Tony Gatlif aveva girato due film sul mondo dei Rom; L’UOMO PERFETTO E LACIO DROM che purtroppo non hanno avuto programmazione nel circuito cinematografico italiano (andate a vederveli in Francia).
Franco